LO SBAGLIO DI LUCIO

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Allora, amici del Forum, cominciamo a parlare di Mille Miglia.
Non è facile farlo per uno che, come me, è nato due anni dopo l'ultima edizione, ma è impossibile non averne la tentzione dopo un'infanzia passata sentendo raccontare le storie ed i miti dei campioni che avevano gareggiato sulle strade di casa.
Pensateci bene, quale altra corsa ha meritato tante attenzioni non specialistiche ? Nessuna, forse.

Lo sbaglio di Lucio

La scintilla per me scoccò nel lontano '76.
Facevo il Liceo e un mio amico aveva comprato, con grandi economie, l'ultimo LP di Lucio Dalla e un sabato pomeriggio mi aveva invitato a sentirlo, perchè ognuno i soldi li utilizzava secondo la propria scala di valori: lui per i dischi, io per la Fiorentina.
Quando accese l'impianto Hi-Fi con i gesti misurati di un sacerdote all'altare ed estrasse il prezioso LP (magia del vinile...) mi colpì la copertina: c'era un'auto da corsa, rossa, l'album, d'altronde, si intitolava "Automobili".
La musica andava da qualche minuto quando il padre del mio amico entrò un attimo proprio nel momento in cui Lucio aveva attaccato "Nuvolari".
Di solito, in situazioni simili, se ne andava subito, quella volta rimase come sorpreso.
Mi accorsi che ascoltava.
Mi sarei meravigliato meno se avessi visto dalla finesta un somaro volare.
Inforcò gli occhiali "per leggere",  prese in mano la copertina e la guardò attentamente.
"Questa" - disse - "è un'Alfa Romeo da Grand Prix..."
Lucio descriveva Nuvolari (...è basso di statura.. ha la maschera tagliente... di morire non gl'importa niente)
"Nuvolari, nel '48, lo vidi passare dagli Ischieti. Aveva la macchina che aveva perso tutto, il parafango, il cofano anteriore. Stava male.
Al bivio, quando la strada curva a novanta gradi e c'era tanta gente che lo acclamava, si fermò per un attimo.
Tossiva e qualcuno gli porse una bottiglia d'acqua.
Bevve un sorso poi la passò al suo compagno. Tutta la scena sarà durata cinque, dieci secondi, ma non me la sono mai dimenticata."     
Il mio amico che credo non sapesse neppure che con le auto si poteva gareggiare (era ed è rimasto, un appassionato di musica) guardò il padre come se non l'avesse mai visto prima.
Intanto dopo averci parlato di Nuvolari nel nostro attonito silenzio ("il suo sguardo è di un falco per i  figli..." cantava Lucio e lui:- "povero Nuvolari due figli ha dovuto veder morire...") decise di meravigliarci davvero.
Lucio aveva attaccato la "Mille Miglia del '47" e lui ascoltava ancora, se possibile ancora più attento.
D'un tratto disse: "No, è sbagliato. Lui parla della Mille Miglia del '48, non di quella del '47, fa confusione..."
-"Ma babbo, è una canzone"- cercò di protestare il mio amico.
Lui non ascoltava, stava parlando con Lucio Dalla.
O forse con Nuvolari.
-"Nel '47 Nuvolari correva con la Cisitalia 1100, ma fu nel '48 che la macchina gli si smontò, ed era una Ferrari. Sia nel '47 che nel '48 e nel '49 vinse sempre Biondetti. Un asso. Il vostro cantante ha preso un abbaglio."-
Chiuse la porta e uscì.
Fu da quel giorno forse per cogliere in fallo il padre del mio amico o Lucio Dalla che cominciai a cercare notizie, episodi, curiosità, storie, leggende, personaggi, tragedie legati alla "corsa più bella del mondo".
E non ho ancora smesso, perchè la Mille Miglia comincia tutti gli anni a Brescia, ma non finisce mai.


(continua)


LA CORSA DEL CUORE

Torniamo a parlare di Mille Miglia "vere", o di "vere Mille Miglia".
Quella del '48, inconsapevolmente cantata da Lucio Dalla (e raccontata da Littlewomen nel suo libro "Il rombo del cigno"), ma prima ancora quella del '47: la prima "Mille Miglia" del dopoguerra.

La corsa del cuore

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Nel '47 la Mille Miglia viene organizzata nuovamente.
Le fa bene, e anche su questo giocano gli organizzatori, l'opposizione del regime che l'aveva messa la bando nel '39 e trasformata in una gara in circuito nel '40, quando aveva vinto la BMW 328 "aerodinamica" con al volante Huschke Von Hanstein.
Le strade sono devastate dalla guerra, mancano i ponti, ma soprattutto mancano pneumatici e benzina.
E auto da corsa.
Solo la Cisitalia, di fatto, ne ha prodotte di nuove.
Macchine innovative, spinte da motori piccoli 1100 cc, ma leggere e agili e una di loro ha Nuvolari al volante.
Il tracciato della Mille Miglia del '47 è completamente diverso da tutti gli altri: si passa da Torino, in omaggio alla rinascita della Fiat.
Si iscrivono in molti, moltissimi anche perché agli iscritti vengono consegnati quattro pneumatici nuovi il cui prezzo sul mercato (nero) è molto superiore a quello d'iscrizione.
Siamo in Italia e ci arrangiamo: di 254 iscritti se ne presentano al via solo 155, gli altri, prese le gomme, non si fanno più vivi.
Da Firenze, dove dopo l'8 settembre con i suoi camion ha  trasportato il pane  per i fiorentini ed aiutato come poteva chiunque ne avesse bisogno a rischio spesso della pelle Clemente Biondetti, vincitore dell'ultima edizione stradale è partito per Brescia, con mezzi propri.
Nella città lombrada sperava di trovare un'auto per correre. E'già considerato anziano, e non è Nuvolari che è già leggenda.
Rischia seriamente di restare a piedi,  poi un intraprendente concessionario dell'Alfa Romeo, Emilio Romano, gli offre il posto di co-pilota sulla sua monumentale Alfa 2900 cui, per regolamento, ha tolto il compressore.
E' un'auto gigantesca, assomiglia più ad una limousine che ad un'auto da corsa.
Biondetti accetta, ma dopo un po' si fa cedere il volante e ingaggia una lotta esaltante con Nuvolari, un duello che si decide solo nel finale quando, sotto un nubifragio Biondetti, con l'Alfa coperta riesce a prevalere su Nuvolari, fradicio ed infreddolito, con la barchetta Cisitalia.
Fu uno scontro di titani, due piloti della vecchia generazione che vollero mostrare a tutti che loro c'erano ancora, più forti di tutto, capaci di lasciarsi alle spalle anche la tragedia della guerra.
Nuvolari e Biondetti guidarono col cuore e col cuore vinsero entrambi.
Anzi, quell'anno alla Mille Miglia vinsero tutti.

(continua)


UNA CORSA CHE PASSA DA CASA

Beh, torniamo all'argomento.
La Mille Miglia viene da lontano.
In quegli anni c'è necessità di lanciare l'Italia al tavolo dei grandi, le corse automobilistiche sono ancora elitarie, anche come partecipazione di pubblico.
Si pensa a qualcosa che dia una svolta, una scossa, ad un movimento che non sembra decollare.
E l'idea arriva...


Una corsa che passa da casa /1

Per rendere popolare qualcosa è necessario farla conoscere.
Nei primi anni venti le auto sono misteriose per la quasi totalità del popolo italiano.
Nell'intero Mugello, per fare un esempio, un territorio comprendente diversi comuni e relativamente prossimo sia a Firenze che a Bologna, le auto si contano sulle dita di una mano.
Una è di proprietà di un certo Martini, possidente terriero che quando passa è solito gettare spiccioli ai ragazzi che gli fanno ala sulle strade polverose e che quando vedono la nuvola che ne annuncia il passaggio accorrono a frotte.
Nel resto d'Italia, paese ancora prevalentemente agricolo, eccezion fatta per le principali città la situazione è analoga.
Il regime spinge per la modernizzazione, le auto da corsa sono considerate un ottimo veicolo propagandistico, ma sono confinate su circuiti brevi, o nel caso della Targa Florio, periferici rispetto a Roma che Mussolini vuole centrale in ogni attività.
Logico quindi pensare ad un corsa che "passi dalle case degli italiani" e i primi a farlo seriamente, con i mezzi per realizzare le loro idee e gli appoggi giusti, sono quattro ragazzi di Brescia: Aymo Maggi, Franco Mazzotti, Carlo Castagneto e Luigi Canestrini.
La prima idea è una Brescia-Roma, che poi diventa Brescia-Roma-Brescia che salva capra e cavoli. (continua)
Il nome glielo danno per caso perchè coincide, miglio più miglio meno, con la lunghezza del percorso che attraversa davvero l'Italia centro-nordorientale.
Il regime sposa con "entusiasmo fascista" la proposta che dà dell'Italia un'immagine moderna ed efficiente non foss'altro a livello di rete viaria, capace di sopportare i bolidi da corsa.
(continua)

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Una corsa che passa da casa /2

La prima edizione, grazie alle molte porte che si spalancano grazie all'appoggio del Segretario del Fascio bresciano, S.E. Turati autentico appassionato delle corse, si svolge pochi mesi dopo.
Vincono Giuseppe Morandi e Fernando Minoja con una O.M. 665, una marca che diventerà famosa per i veicoli industriali, ma che all'epoca lo è soprattutto per le auto da corsa. La 665 si comporta bene anche a Le Mans e ha vinto diverse altre gare importanti, come il Circuito del Mugello.
Il modello stradale è stato ribattezzato "Superba" e con questo nome entra nella storia.
Non è tempo di comunicazione di massa, ma la notizia della "grande corsa" arriva ovunque e sulle strade la gente aspetta per ore il passaggio dei concorrenti.
Lo sforzo organizzativo è eccezionale: si parla di oltre 25.000 militi mobilitati per garantire la sicurezza (!?) di piloti e spettatori e, cosa che fa indubbiamente piacere al regime le marche concorrenti, con la sola eccezione di tre piccole cilindrate francesi, sono tutte italiane: Alfa Romeo, O.M., Lancia, Isotta Fraschini, Itala, Ceirano, Diatto, Ansaldo, Bianchi, Fiat.
Ancora più soddisfacente è il risultato: la media oraria del vincitore, rispettabili 77Km/h, e superiore a quella  "di un treno direttissimo"- scrive la stampa.
Il primo classificato torna a Brescia dopo oltre 21 ore di gara, Giuseppe Cazzulani, vincitore della classe H con una Peugeot 5HP, arriva oltre dodici ore dopo.
Quando, dopo 33 ore dal via, taglia il traguardo se ne sono andati via tutti ed i giudici vengono richiamati da casa per ufficializzare l'ordine d'arrivo.
Il successo è comunque enorme, tanto da convincere gli organizzatori che in un primo tempo l'avevano pensata come un evento unico a ripeterla a cadenza annuale.
Non saprei dire in quanti realmente quell'anno  "abbiano visto" la Mille Miglia, di sicuro sono stati molti di più quelli che l'hanno aspettata per ore e ore sul bordo della strada.
E da allora ogni anno saranno di più.


IL GIORNO DEI GIORNI

Il giorno dei giorni /1
Nella storia della Mille Miglia è ovvio che, accanto alle note di costume, sia sempre protagonista la velocità.
Dai 77,238 Km/h della prima edizione, già nel 1930 viene superata la "soglia psicologica" dei 100 Km/h.
Ci riesce Tazio Nuvolari in coppia con Giovan Battista Guidotti.
Tazio, che sta diventando un mito anche sulle quattro ruote, dispone di una macchina eccezionale , perfetta per quel tipo di gara: l'Alfa 6C 1750 compressore, l'ultima evoluzione dell'auto già vittoriosa nelle due precedenti edizioni con Campari.
Di un'auto identica dispone anche Achille Varzi, campione di stile, forse uno dei più completi e raffinati piloti di ogni epoca, e già fra il mantovano volante e l'asso di Galliate si annuncia una rivalità avvincente.
I due, infatti, nonostante pilotino entrambi l'ultimo modello dell'Alfa Romeo e siano compagni di squadra nell'Alfa Corse corrono entrambi per vincere, in questo assecondati anche dalla superiorità del loro mezzo.
Per la prima volta si presenta al via anche la "Scuderia Ferrari" fondata a Modena da Enzo Ferrari, ex pilota dal carattere impossibile e dalle idee immense.
Dispone di auto identiche (almeno sulla carta) a quelle di Varzi e Nuvolari, affidate a Scarfiotti, Caniato  e Tadini, che ancora non espongono sul cofano il simbolo destinato al mito: un cavallino rampante nero su fondo giallo.
(continua)

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(segue)
La gara è subito avvincente.
Varzi parte dieci minuti prima di Nuvolari, ma la prima parte della corsa, fino a dopo il primo passaggio per Bologna, è dominata da un altro futuro asso dell'Alfa Corse, il romagnolo Luigi Arcangeli che corre per la Maserati.
Arcangeli, come Nuvolari e Varzi, è stato un asso delle due ruote, se possibile ancora più ardimentoso e focoso del mantovano volante del quale forse non possiede la lucidità agonistica.
Lo hanno soprannominato Gigione, per la sua corporatura che, accanto a quella di Nivola sembra imponente.
Proprio per la sua generosità chiede troppo ai freni della sua "Tipo 26" che lo tradiscono sull'Appennino toscoemiliano, esce di strada e la sua Mille Miglia finisce.
Restano al comando Nuvolari, in vantaggio, e Varzi che però precede ancora il mantovano lungo il percorso essendo partito prima.
Varzi è impeccabile, ma Nuvolari continua a guadagnare e come d'incanto ecco l'episodio più leggendario della storia dell'automobilismo eroico.
Poco dopo Padova e prima del bivio per Venezia(*), che quell'anno veniva sfiorata dalla corsa,  Nuvolari e Guidotti scorgono davanti a loro la sagoma dell'Alfa di Varzi.
Le due Alfa Romeo procedono per un po' l'una in vista dell'altra, Canavesi, il meccanico di Varzi si volta, la distanza è ancora cospicua. Forse Varzi accelera l'andatura.
Giovan Battista Guidotti racconta allora che Nuvolari aveva spento i fari per far credere a Varzi che si era fermato e indurlo a rallentare ormai certo della vittoria.
Correndo a fari spenti Nuvolari si era avvicinato al rivale  e poi aveva addirittura sorpassato Varzi, sorpreso, che cavallerescamente aveva a quel punto ceduto la strada con un saluto.
Su questo episodio si è scritto molto, anche una parte della leggenda di Tazio Nuvolari.
Molti hanno confutato le parole di Guidotti osservando che a quell'ora i fari erano inutili perchè già era sorto il sole.
Probabilmente hanno ragione questi revisionisti, ma perchè toglierci il gusto del mito ?

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(*) anche il luogo del leggendario fatto non è univocamente riconosciuto: questa è una delle ipotesi, forse neppure la più accreditata.

Il giorno dei giorni /3
(continua)
Quella Mille Miglia del 1930, si è detto, fu anche al corsa di Gigione Arcangeli.
Gigione è un romagnolo sanguigno, coraggioso sulle due ruote,  che è stato portato a correre in auto da un altro grande del tempo, il mio quasi compaesano Emilio Materassi.
Materassi l'aveva chiamato, un paio d'anni prima, a far parte della "Scuderia" che aveva fondato  rilevando la squadra corse della "Darracq-Talbot". Purtroppo Emilio era morto quello stesso anno, il 9 settembre del 1928, nel tragico incidente nel Gran Premio a Monza, che costò la vita anche a numerosi spettatori.
La "Scuderia Materassi" aveva vissuto momenti difficili, anche poco documentati, Brilli-Peri aveva continuato il lavoro iniziato da Emilio di cui era fraterno amico, ma poi Arcangeli era passato alla Maserati.
Un bel tipo, Gigione.
Correva spesso con un cappello di paglia, di quelli dei contadini delle sue parti sulla cui fascia c'era scritto "Io, Forlì e il Mondo", era infatti innamorato della sua città.
In quella Mille Miglia, a Bologna era in testa, sulla Raticosa mantenne il vantaggio, nonostante a inseguirlo fossero campioni del valore di Varzi, Nuvolari e Campari, gente difficile da trattare ed oltretutto dotati di auto forse superiori.
Uscì di strada in qualche punto fra la Raticosa e la pianura del basso Mugello.
Non sono riuscito a determinare il luogo esatto in cui Gigione terminò la sua corsa.
Probabilmente fu nel tratto fra il Passo della Futa e la località chiamata Monte di Fo, poco prima dell'abitato di Santa Lucia, in quel tratto di strada, percorso in discesa in quella edizione, che dalla mie parti viene chiamato "Le scalette", un tratto ripido con una serie di curve strette, alternate a qualche tornante.
In una di quelle Arcangeli rimase senza freni e volò fuori strada, cavandosela con un bello spavento.
La sua grande corsa non passò inosservata, l'Alfa Corse lo chiamò subito.
A Monza, nelle prove del Gran Premio dell'anno successivo, Gigione dispone dell'Alfa Tipo A, V12 ottenuto accoppiando due motori V6 da 1750 cc, macchina non facile, ma dalla quale si aspettano tutti molto.
Arcangeli cercò di cogliere l'occasione della vita, ma il destino dispose diversamente, la sua Alfa uscì a Lesmo (mi pare) e per Gigione non ci fu scampo.
Il suo funerale fu un avvenimento epocale.
Quand'ero un ragazzo, qualche vecchio romagnolo malato di "mutor" che incontravi magari al mercato, lo ricordava ancora.
Me ne ricordo uno. Avrà avuto fra settanta e ottant'anni, ma da Forlimpopoli scendeva nel Mugello ancora in moto e parlava volentieri di corse, ma soprattutto amava raccontare di aver conosciuto Arcangeli e tutte le volte finiva per raccontarne la storia.
-"Un dispiasé che a Furlé un'inera sté"- (un dolore così a Forlì non c'era mai stato), con queste parole  concludeva il racconto del funerale che ogni volta aveva più persone, più campioni, più auto, più soldati.
L'unica costante erano gli occhi lucidi che nascondeva soffiandosi il naso con "la pezzola".
Avrò sentito raccontare questa storia decine di volte, ma nessuno che mi abbia mai saputo dire dove uscì quella volta Gigione Arcangeli, dopo il Passo della Futa.
"Era veloce come il vento"- diceva qualcuno -"il leone di Romagna"


DAGLI APPENNINI AL MESSICO

Dagli Appennini al Messico

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Accanto a tanti campioni ed episodi ad essi legati, fino dalle primissime edizioni venne prepotentemente fuori la caratteristica più vera della "Mille Miglia", quella che realmente avrebbe contribuito a renderla unica: accanto ai bolidi dei Nuvolari, dei Campari, dei Caracciola prendevano il via e si impegnavano in lotte furibonde anche piloti della porta accanto, con normali auto da turismo.
Ancora nel '30, per esempio, al 42° posto assoluto e vincitore della categoria VU (vetture utilitarie) si piazzano Carlo Mazza e Riccardo Pezzoni con una Fiat 514 Spider, precedendo di poco Franco Spotorno e Ghiringhelli su una macchina analoga.
Il risultato è importante, la Fiat 514 è infatti un'auto da turismo e precede in classifica generale auto da corsa come l'Alfa Romeo 1500 SS e la Maserati 26 e riesce a concludere la corsa in meno di 24 ore.
Ma non è il solo caso.
Per trovare il più clamoroso, forse, occorre però arrivare al '53.
La Corsa incorona per la seconda volta Giannino Marzotto, ma la lotta più appassionante è nelle retrovie e l'accendono quattro giovanotti che all'epoca sono dei perfetti sconosciuti: i fratelli Guido e Carlo Mancini, Fabrizio Serena e Walter Piccolo.
Guidano due Fiat 1100/103 che partono a tre minuti di distanza l'una dall'altra, alle 23:46 quella di Serena-Piccolo, alle 23:49 quella dei fratelli Mancini ed ingaggiano una lotta che durerà, sul filo dei secondi per ogni metro dei 1512 Km di quell'edizione, la più corta della storia della Mille Miglia.
Alla fine, dopo oltre 14 ore di corsa, Guido Mancini la spunta per 16" (!), e i giovani piloti conquistano, giustamente l'attenzione degli sportivi.
E non solo.
Quello è un anno importante per la storia delle corse.
E' stato infatti per la prima volta il Campionato Mondiale Sport, che si articola su sei prove: Sebring, la Mille Miglia, le 24 Ore di le Mans e Spa, il Tourist  Trophy e, infine la Carrera Panamericana.
Alla vigilia della decisiva ultima prova, la Carrera,  la Jaguar è in vantaggio sulla Ferrari di un punto, ma la casa inglese ha deciso di disertare la grande corsa messicana.
Ferrari tentenna, non vuole accollarsi l'onerosa trasferta, ma non vorrebbe nemmeno lasciare il titolo agli inglesi, e riesce, al solito, a prendere due piccioni con una fava.
Le "Cartiere Ricci", importante azienda del bolognese produttrice fra l'altro dei sacchetti di carta marrone che in quegli anni '50 erano lo standard per il commercio di alimentari, attraversava un periodo difficile e affidò le sue fortune ad un affare azzardato, ma che se fosse andato a buon fine avrebbe potuto raddrizzare le sorti dell'azienda.
Ricci avrebbe comprato da Enzo Ferrari le "375" che avevano disputato il Mondiale, le avrebbe fatte correre come sponsor alla Carrera (con l'aiuto logistico di Chinetti) e poi le avrebbe rivendute sul mercato americano guadagnando una cifra notevole, specie se le Ferrari avessero vinto la Carrera.
Naturalmente l'esposizione finanziara dei Ricci era notevole e fu deciso di puntare su un solo pilota di fama, Umberto Maglioli, amico, allievo ed erede di Giovanni Bracco di cui era concittadino, e di far correre le altre tre auto "in appoggio" affidandole a piloti giovani e, di conseguenza, poco cari.
Ferrari forse si ricordò dei due giovani leoni che avevano lottato così bene alla Mille Miglia con le Fiat 1100, o forse fu solo una coincidenza, ma una delle poderose Ferrari 375 MM, un mostro col motore V12 di 4 litri e mezzo, capace di erogare 310 CV venne affidata proprio alla coppia Guido Mancini - Fabrizio Serena.
Le altre due andarono una a Stagnioli-Scotuzzi e l'altra a Mario Ricci.

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Fu una gara tragica la "Carrera" del '53: Felice Bonetto, con la Lancia D24 morì nell'attraversamento del  paese  di Silao, e prima di lui avevano incontrato la stessa sorte proprio Stagnioli e Scotuzzi, cui era dechappata una ruota ad oltre 260 Km/h.
Alla fine le "Cartiere Ricci" conquistarono tre vittorie di tappa con Maglioli passato al volante dell'auto di Mario Ricci dopo che la sua era stata costretta al ritiro, ma soprattutto grazie ai punti conquistati da Mancini e Serena, terminati al quarto posto assoluto nella gara dominata dalla Lancia con tre auto ai primi tre posti  (Fangio, Taruffi e Castellotti), la Ferrari sorpassò la Jaguar e vinse il titolo.
Serena e Mancini furono regolari, conquistarono un terzo ed un quarto posto di tappa poi si mantennero costantemente nei primi dieci ed alla fine portarono a casa anche la pelle oltre che i punti, traguardo questo non trascurabile. Dopo la "Carrera" Mancini vinse anche qualche corsa per rimpinguare col montepremi la casse della spedizione di Ricci e vendere al meglio le Ferrari in Messico e negli Stati Uniti.
Fabrizio Serena di Lapigio, anni dopo sarebbe diventato presidente della CSAI.


"L'ENFANT DU PAYS"

"L'enfant du pays"
Li chiamano così, nel ciclismo, al Tour, i corridori che vengono lasciati andare in fuga perché passino al comando   per le strade del paese dove sono nati.
Alla "Mille Miglia" c'é stato un campione che si comportava un po' allo stesso modo: per lui, aldilà della vittoria finale, era importante passare per primo dalla sua città, Terni.
Era Baconin Borzacchini, uno dei tanti piloti degli anni '20 e '30 schiacciato dalla titanica ed onnicomprensiva figura di Tazio Nuvolari il cui mito, meritato sulle piste e sulle strade di mezzo modo, ha offuscato troppo le gesta di altri campioni che sono finiti, spesso ingiustamente, in secondo piano.
Borzacchini è uno di questi, campione umile, introverso grande amico di Tazio, quasi suo scudiero.
I due erano divantati inseparabili tanto che venivano chiamati "i fratellini".
Era nato a Terni e dal padre aveva avuto quel nome rivoluzionario (derivava da Bakunin, ideologo dell'anarchia) che portava con rassegnazione, mentre un certo Amerigo Tomassini gli aveva attaccato il morbo della velocità.
Nel '29 corre per la prima volta la "corsa più bella del mondo" con una Maserati "Tipo 26", in coppia con Ernesto   Maserati, e lascia il segno: per oltre 700 Km non ce n'è per nessuno: in testa a Bologna, a Firenze, persino a Roma dove passa con tre minuti di vantaggio su Campari, poi vincitore per il secondo anno consecutivo.
Fa segnare il tempo record sia a Bologna (oltre 127 Km/h di media)  che a Roma (dove giunge in 6h23') la sua sembra una marcia trionfale, nonostante la sua Maserati sulla carta sia inferiore alle Alfa Romeo, se non altro per affidabilità.
Infatti, proprio a Terni è costretto al ritiro.
Nel '31 è all'Alfa Romeo, con la 8C 2300, ma l'avversario è Caracciola con la Mercedes SSK un osso duro.
Borzacchini lo impegna strenuamente, approfittando anche di qualche problema del tedesco, dopo Roma, fino a Perugia, va addirittura in testa, nonostante debba cambiare un numero impressionante di pneumatici, letteralmente mangiati dalla sua guida aggressiva al limite della spericolatezza.
Alla fine si trova sui cerchioni e senza freni, e solo allora si arrende, però dopo essere passato al comando da Terni dove lo acclamano come un eroe.

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Nel '32, finalmente, vince la Mille Miglia, ma a Terni in testa c'è Taruffi e la cosa non gli va giù nonostante il trionfo di Brescia che raccoglie nell'ultimo tratto grazie al ritiro del battistrada.
E' una Mille Miglia un po' sotto tono, l'unica fra le quattro cui prende parte che non lo vede all'assalto.
Anche l'anno dopo, infatti, Borzacchini domina la prima metà gara, a Roma è al comando poi, sulle strade di casa sua, ma prima del suo personale traguardo di Terni, gli cede il motore cosa che gli provoca una delusione amarissima.
Si racconta che sieda in lacrime su un paracarro, invano consolato dal meccanico Ascanio Lucchi che continua a dirgli "sarà per l'an che viene !"
Per Baconin Borzacchini non ci sarà un'altra Mille Miglia, muore infatti, assieme a Campari dal quale lo divideva una fiera rivalità, a Monza in quello stesso anno.     
La sua generosità in gara ed il suo carattere schivo, quasi timido, che gli hanno attirato molte simpatie fra gli sportivi, non giovano altrettanto alla sua memoria.
Baconin (diventato poi, per sua scelta, Mario Umberto) Borzacchini, infatti, non viene ricordato in maniera proporzionata al suo grande valore e, ingenerosamente, spesso viene considerato alla stregua di un gregario di Nuvolari.
Niente di più falso, Borzacchini, oltre a figurare sul podio di molti Gran Premi, spesso in allenamento era veloce quasi come Tazio e qualche volta più degli altri compagni di squadra, gente come Varzi, Campari e Arcangeli.


"C'ERA ANCORA NEBBIA?"

"C'era ancora nebbia ?"

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Molte delle storie più belle e divertenti della Mille Miglia sono quelle che si raccontano nelle retrovie.
Questa è una di quelle.
1956: la Renault presenta ufficialmente in Corsica la sua nuova vettura: si chiama Dauphine
Per la verità avrebbe dovuto chiamarsi Corvette, come la Chevrolet, poi i francesi avevano ripiegato su un nome che evocava confronti meno impegnativi.
Ed avevano fatto bene.
La Dauphine è una tre volumi dalle forme inconsuete, ha un motore di 850 cc capace di una trentina di cavalli, il cambio a tre marce e non è un fulmine di guerra, ha però un prezzo abbordabile e questa è sempre stata un'attrattiva in ogni epoca.
Alla presentazione è invitato anche Bernard Cahier, francese, figlio di un generale, che ha fatto della fotografia sportiva un mestiere.
E' anche un discreto pilota e conosce tutti nel mondo delle corse, giovane ed esuberante ed è anche buon amico del Direttore  Commerciale della casa francese che gli offre di acquistare una Dauphine ad un prezzo di favore.
Bernard accetta di buon grado e, siccome è un avventuroso, appena ricevuta la sua Dauphine decide d'iscriverla alla Mille Miglia, giusto per divertirsi.
Anche la Renault ha pensato la stessa cosa, ma per altri scopi.
Sulla Dauphine si è scatenata una campagna stampa contraria, soprattutto da parte delle autorevoli riviste anglosassoni che riportano le prove su strada della nuova Renault non nascondendo un certo sarcasmo di fondo: "per misurare il tempo di accelerazione da 0 a 60 mph, sarebbe più utile un calendario che un cronometro" arriva a scrivere un redattore di Road&Track.
Per rispondere la casa francese punta sulla grande corsa italiana ed iscrive alcune Dauphine rivedute e corrette da Amedée Gordini: motori più potenti, cambio a cinque marce, telaio e carrozzeria alleggeriti ed irrigiditi e, soprattutto, grandi firme al volante: Trintignant, Louis Rosier e Paul Frère, tutti piloti da Gran Premio.
Un'altra super-Dauphine viene affidata, sempre per scopi promozionali ad una coppia di belle ragazze ed ottimi piloti: la belga Gilberte Thirion e la svizzera Nadège Ferrier.
All'ultimo momento la Thirion "scarica" la Ferrier per motivi mai resi pubblici e la svizzera, sapendo che Bernard Cahier corre da solo gli chiede di ospitarla.
Nadège Ferrier è la sorella di Jacques Washer,che nell'ambiente delle corse è qualcuno, ed è una piacevole compagnia pertanto Bernard l'accoglie volentieri.
In cambio le chiede di provvedere ai viveri e Nadège si presenta al via alle prime ore del mattino con un cesto pieno di vivande compreso due o tre bottiglie di ottimo chianti.
L'edizione del '56 è famosa per la pioggia che flagellò tutti i 1600 chilometri e i nostri amici si trovano subito a fare i conti con l'impianto di circolazione dell'aria della Dauphine che non riesce a evitare l'appannamento del parabrezza e costringe presto Bernard e Nadège a correre con i finestrini aperti, imbarcando acqua in abbondanza.
Nonostante tutti gli sforzi il parabrezza continua ad appannarsi, ed i nostri, fortemente penalizzati dalle prestazioni della Dauphine di serie galleggiano lontano dalle posizioni di eccellenza della classe Turismo e gran Turismo fino a 1000 cmc.
A Firenze, nell'ultimo terzo di gara, sono stanchi ed infreddoliti e prima di attaccare il tratto appenninico che,
attraverso la Futa e la Raticosa li porterà a Bologna, decidono di rifocillarsi. Per scaldarsi le ossa innaffiano
abbondantemente il pranzo col chianti e la cosa aiuta non poco il morale.
L'ascesa verso la Futa è a passo di lumaca perchè il motore della Dauphine è davvero poco adatto a certe scalate, ma una volta sul culmine le cose cambiano decisamente. Bernard si trova fra le mani un'auto agile e maneggevolissima che sulle curve strette e in discesa è un fulmine, inoltre si è ormai abituato a guidare con i finestrini appannati e i numerosi concorrenti che si trova a superare appaiono e scompaiono come fantasmi scuri sullo sfondo indistinto.
Dal culmine della Futa a Bologna la Dauphine numero 71 è letteralmente un fulmine, tanto da recuperare oltre cento posizioni in classifica generale e stabilire sui 107 chilometri della tappa Firenze-Bologna il miglior tempo della sua classe !
Al controllo di Bologna uno dei commissari si avvicina a Bernard e gli chiede:-"C'è ancora tanta nebbia su in alto ?".
Sulle prime Bernard è peplesso, poi all'improvviso capisce: non era il suo prabrezza ad essere appannato, c'era un gran nebbione sull'Appennino e per questo motivo gli altri avevano rallentato, mentre lui, convinto che si trattasse del solito problema di appannamento che lo aveva perseguitato per tutta la gara, aveva guidato oltre il limite.
Naturalmente sui rettilinei della pianura da Bologna a Brescia, la Dauphine di serie perse quasi molte delle posizioni che aveva guadagnato ed alla fine si Bernard e Nadege si classificarono al 154° posto, 10° di classe.    
Le Dauphine si presero però una bella soddisfazione: delle sette partite solo una si era arresa e quella di Gilberte Thirion si era piazzata al secondo posto di classe ed aveva colto un onorevolissimo 82° posto assoluto.
Niente male per quella che ancora oggi viene considerata "una delle cinquanta auto peggiori di sempre" e "la peggior prodotto dell'ingegneria francese dopo la linea Maginot".


L'ALLUNAGGIO

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C'ero, dunque, anch'io.
Avevo dieci anni compiuti.
Che la mia vita avesse a che fare con la passione dei motori era scritto nella data del mio compleanno: 30 maggio, il Memorial Day, il giorno in cui si corre la 500 miglia di Indianapolis.
Quell'anno l'aveva vinta un italiano, anzi un italoamericano, di cui eravamo tutti orgogliosi come accade sempre quando qualcuno vince e puoi metterlo dalla tua parte: Mario Andretti.
Ma quello era "l'anno della luna".
Non c'era rivista (da "Epoca" a "Panorama") che non avesse dedicato all'evento inserti a colori che farebbero sorridere mia figlia, ma che per me erano meravigliosi. Ricordo ancora una mappa della Luna con tutti i nomi dei crateri e dei mari che mi sembrava di una bellezza incredibile.
Valo a spiegare a chi ora è abituato a Google Earth...
Beh, io ero in fibrillazione, ma crollai dal sonno.
Ricordo mio padre, più gasato di me, che al momento giusto venne a chiamarmi, di nascosto a mia madre, e le parole di Tito Stagno che traduceva quelle degli astronauti:-"Qui Mare della Tranquillità, Aquila è atterrata". Sì, disse così "atterrata" - o almeno io capii così - e mi sembrò sbagliato. Non si atterra sulla Luna, si alluna, la mia maestra me l'avrebbe segnato con la matita, rossa magari e non blu, ma non l'avrei fatta franca.
E non volevo che la facesse franca neppure Tito Stagno.
Così cercai di attirare l'attenzione di mio padre che non mi rispondeva. Quando, dopo un po' di insistenza, si volse verso di me mi accorsi che aveva gli occhi lucidi.
Allora feci la mia rima azione "da adulto" e  non gli dissi nulla, lasciai che atterrassero sulla Luna, perchè capii che la cosa importante era un'altra.
Che tornassero via, sani e salvi, perchè, magari, anche loro a casa avevano dei figli.

Per noi italiani, infine, il 40° anniversario è oggi, quel 20 luglio di attesa, quarant'anni fa, era una domenica e si era disputato il Circuito del Mugello, quella che sarebbe stata la penultima edizione.
Vinse Merzario, con l'Abarth 2000 "a cuneo", strana come il LEM.

Un salto di quattordici anni: Univerità degli Studi di Firenze, lezione di Microonde con il Prof. Tiberio, figlio dell'inventore del radar. Si parla delle applicazioni di telemetria.
Quando si arriva ai tracking-radar (i radar d'inseguimento), invece di parlarci delle contraeree o dei sistemi d'arma, tira fuori delle eliocopie.
In alto hanno un logo inconfondibile, quello delle missioni Apollo.
Sono i tracciati di allunaggio con i profili altimetrici del Mare della Tranquillità.
Silenzio fra noi tutti.
Poi con la voce calma di sempre ci disse una frase che mi fece fare un salto indietro a quella notte di bambino:-"Ricordatevi che non è vero che gli americani dimostrarono la loro eccellenza tecnica andando sulla Luna, lo fecero andandoci e tornando a casa."-

E da allora l'ho sempre pensata così.


COL CUORE A TAVOLETTA

"Col cuore a tavoletta"

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Difficile dire quale sia stata la più bella vittoria in una Mille Miglia.
Ognuno ha la sua opinione, c'è chi indica il record di Moss, chi la vittoria di misura di Brivio, chi, infine, il prodigio di Bracco, al limite dell'incoscienza e chi preferisce le calligrafiche vittorie di Giannino Marzotto, un improvvisatore di classe.
Tutti, ma proprio tutti, specialmente coloro che hanno vissuto quei giorni, non mancheranno però di ricordare la Mille Miglia del '56, quella su cui Giove pluvio aveva aperto le cateratte del cielo: la Mille Miglia di Eugenio Castellotti.
Quella domenica piove in tutta Italia, una pioggia pesante, continua, una tenda d'acqua che scende da Brescia a Roma e viceversa.
Piove una pioggia sottile anche quando Eugenio Castellotti, giovane campione del volante, scende con la sua Ferrari 290MM dalla rampa di Viale Rebuffone, facendo urlare già sul rettifilo bordato d'ombrelli il 12 cilindri della sua "barchetta".
Sono le 5:48 di mattina.
Da quell'istante la pioggia non lo abbandonerà un attimo.
Moss e Fangio, con la Maserati e l'altra Ferrari, sono i grandi favoriti, ma a Verona, al primo significativo controllo cronometrico Castellotti ha già un netto vantaggio, 47", su Taruffi, gli altri seguono più distanziati. Fangio, sotto il diluvio e con la macchina scoperta che imbarca acqua dappertutto, soffre il freddo ed è preceduto anche dai compagni di squadra Musso e Collins.
Dopo Padova l'intensità della pioggia aumenta e Moss sembra in rimonta.
L'asfalto, lucido di pioggia, è un'insidia continua, la potenza diventa un handicap: Cabianca con l'Osca 1500 precede Fangio, in netta crisi, Collins e Musso, mentre in testa passa un nobile tedesco Wolfgang Berghe Von Trips che ha il vantaggio di guidare una Mercedes 300SL, coperta. 
Da Pesaro a Pescara, con la strada tutta un rettifilo, Castellotti affonda il piede e non ce n'è più per nessuno.
Sotto una pioggia battente la sua poderosa Ferrari divora i chilometri fino a Pescara, gli spettatori sotto teloni di fortuna, ombrelli, impermeabili con la coppola, salutano il giovane campione che guadagna manciate di secondi sugli avversari.
A Pescara, dove piove a secchi, ha già vinto: il secondo è ad  oltre due minuti e Taruffi si è fermato.
Resta Moss che attacca come un forsennato sui monti d'Abruzzo, più che il recordman della corsa e il pilota considerato l'erede di Fangio, sulle curve attraversate da torrentelli di fango, sembra un aspirante suicida.
Guadagna qualcosa , ma lo salva un alberello che ferma la sua Maserati impazzita quando sembra destinata a volare in un burrone.
Da Roma in poi è una marcia trionfale, più accelera e più piove, più piove e più lui accelera.
A Firenze Fangio, mezzo assiderato, è quarto, davanti a lui ci sono i giovani Musso e Collins.
L'Appennino è l'ultima insidia, ma Castellotti la doma con piglio ed a Bologna un Enzo Ferrari, orgoglioso, lo attende in un mare d'ombrelli.
Si tratta solo di conservare il vantaggio, di amministrarlo, gli dice Ferrari.
Castellotti l'aumenta addirittura.
A Brescia, in vista del traguardo, sotto una pioggia scrosciante si trova davanti la sagoma filante della piccola Osca di Cabianca, nono assoluto, partito un'ora e venti minuti prima di lui.
Mancano poche centinaia di metri al traguardo quando gli arriva in scia.
Tutti pensano gli si accodi, la gara ormai è stravinta, ma Castellotti, sollevando una gran nuvola d'acqua affonda il piede e lo sorpassa.
Quando pochi metri dopo taglia il traguardo, oltre alla Mille Miglia, ha conquistato il cuore degli italiani.