IL CIRCUITO DEL MUGELLO 1968
Avevo promesso di raccontarvi un aneddoto sull'Ingegnere per antonomasia, Carlo Chiti ed ora che ho un po' di tempo lo faccio volentieri soprattutto per il piacere di ricordare non solo un grandissimo tecnico, ma anche un personaggio di grande spessore umano.
Dunque, è il luglio torrido del 1968, la "33" 2000 cresce bene, ma ancora non è mai riuscita a battere le Porsche, nonostante alla Targa Florio ci sia andata vicinissima e solo un mostruoso Vic Elford aveva strozzato in gola l'urlo della vittoria ad un Carlo Chiti impaziente di raccogliere quanto ha seminato.
L'occasione è ghiotta: si sta per correre il Circuito del Mugello, corsa appena uscita dal calendario del Mondiale, ma prestigiosa.
L'Autodelta schiera quattro "33" 2 litri ed altre due le iscrive il Team V.D.S., è una partecipazione massiccia.
Anche gli equipaggi dell'Alfa sono validissimi: Vaccarella, "Nanni" Galli, Giunti, Biscaldi, Facetti sono piloti fra i migliori della specialità.
La Porsche, invece, sembra snobbare la corsa, ma è solo un'apparenza.
La casa tedesca, infatti, non partecipa direttamente ma appoggia alcuni privati decisamente "poco privati" se è vero che schierano le Porsche 910 per campioni del valore di Jo Siffert, Vic Elford e Gerhard Koch.
Siffert, che ha appena vinto il Gran Premio d'Inghilterra, è una vedette, ma l'incubo di Carlo Chiti è rappresentato dalla Porsche "inglese" di Vic Elford che fa coppia con Gijs Van Lennep.
Una coppia ben assortita, senza debolezze, soprattutto forte di un pilota ritenuto, in quel momento, il numero uno delle ruote coperte.
Vincitore a Daytona al Nurburgring ed alla Targa, secondo a Sebring, terzo a Brands Hatch, queste le credenziali di "Fast Vic" Elford.
In prova accade però l'imprevisto: Koch distrugge la sua 910 e lo stesso fa Vic Elford.
In una località dal nome inquietante di "Omo morto", quando il misto veloce del primo tratto sta per cedere il passo ai primi strappi del Passo del Giogo, Elford fa un errore in una curva. Il tracciato non concede sconti e la bianca 910 si sfascia contro il muro che asseconda la montagna.
Il danno è grave, probabilmente irreparabile.
Alla Porsche si ritrovano quindi con una sola macchina e tre piloti di primo piano appiedati: Elford, Koch e Van Lennep.
La paura di Chiti è che decidano di appiedare Rico Steinemann, compagno di Siffert, ed affiancare al campione svizzero Vic Elford, creando una coppia imbattibile o quasi.
Carlo Chiti, allora, gioca d'anticipo e d'astuzia.
Contatta, platealmente, e pubblicamente Elford offrendogli un sedile, e subito si attiva con gli organizzatori facendo in modo che tutti, ma proprio tutti, vengano a sapere che non solo è deciso a far correre l'asso inglese con uno dei suoi prototipi, ma, anzi soprattutto, che Vic Elford ne sarebbe felice.
Elford dal canto suo forse non comprende neppure bene la proposta di quell'omone in camicia bianca e bretelle. Capisce poco l'italiano, quel tanto che basta per capire che vogliono farlo correre, cosa per la quale è venuto in Italia e dà l'impressione di accettare con entusiasmo quella soluzione, prima ancora di sentire le proposte tedesche.
Chiti fa in modo che la cosa sembri fatta, vuole evitare che i tedeschi facciano la stessa offerta a Elford che l'accetterebbe senz'altro e quindi parla dell'inglese come di uno dei suoi piloti, gran pacche sulle spalle ai box ed in Piazza dei Vicari dove si ritrovano tutti alla fine delle prove.
Alla Porsche non la prendono bene ed arriva la decisione di lasciare tutto com'è: Siffert correrà con Steinemann, gli altri resteranno a piedi.
Naturalmente quello di Chiti è un bluff clamoroso, non solo non sarebbe facile scegliere chi mettere a piedi fra i suoi piloti, ma ci sarebbero comunque problemi di assicurazione e gli organizzatori dovrebbero chiudere non uno, ma entrambi gli occhi.
Naturalmente non lo fanno e per Vic Elford il giorno dopo c'è solo il ruolo di starter d'eccezione.
In gara Siffert dà del filo da torcere a tutte le Alfa 33, ma il suo compagno Steinemann non si rivela nè all'altezza del compito, nè fortunato.
Alla fine la spunta la "33" di Bianchi-Vaccarella, cui nel finale dà una mano anche Nanni Galli.
L'Alfa Romeo conquista così la prima vittoria dai tempi delle invincibili Alfetta e il presidente Luraghi può inviare il primo di una lunga serie di telegrammi di felicitazioni a tecnici e piloti.
Il Professor Vaccarella, molti anni dopo, mi ha confidato che se Elford avesse corso con Siffert forse sarebbe stata un'altra storia, e non è il solo a pensarla così.
Lo sapeva già allora Carlo Chiti.
LA MAIONESE E "L'EFFETTO CORIOLIS"
Amici di GPX avrete notato in questo anno e mezzo che ci frequentiamo che sono molto parco nell'apertura di nuovi 3D.
Con l'anno nuovo cercherò di migliorare.
Ne apro uno completamente scollegato dal modo dei motori e delle corse, dove, chi ne ha voglia, potrà raccontare storie di ogni tipo, vere o inventate.
Comincio io con questa che spero vi piacerà.
Buona lettura a tutti.
La maionese e "l'effetto Coriolis"
Negli ultimi anni della mia frequentazione universitaria studiavo con assiduità assieme al mio amico Marco, fidanzato da tempo con Cristina, paziente nel tollerare i nostri estri universitari, che ne ritardavano le giuste nozze, e cuoca a cinque stelle.
Una sera in cui stavamo studiando assieme a casa sua. Marco mi invitò a cenare con alcuni loro amici in una casa che avevano preso in affitto sull'Appennino. Accettai di buon grado (eravamo e siamo entrambi buonissime forchette) soprattutto perchè ero (sono e sempre sarò) un profondo estimatore della cucina di Cristina, autentica "hors categorie" dell'arte più difficile.
Eravamo una dozzina ed il menu si presentava invitante come sempre.
Ricordo una gran varietà di antipasti, un primo, appetitoso certamente, ma che non saprei descrivere, mentre quello che ricordo perfettamente è che essendo venerdì, quindi vigilia, il secondo era di pesce: uno splendido salmone lessato con contorno di verdure ed altre delicate delizie.
Naturalmente tutti erano tenuti a contribuire secondo le loro caratteristiche: le ragazze si affaccendavano a pulire la verdura, a preparare le tartine ed i dolci, i ragazzi più affidabili erano incaricati della preparazione della tavola e dell'accensione del caminetto (era autunno inoltrato).
Io e Marco, laureandi in ingegneria elettronica quindi quanto di meno pratico esista in natura, venimmo destinati da Cristina che, oltre che occuparsi dei piatti più difficili, coordinava i volonterosi aiutanti, alla preparazione della maionese.
Ci vennero consegnati, oltre alle uova - "Solo i tuorli così evitiamo che mi sbattiate anche le chiare"- il limone -"Già strizzato, così c'è solo da versarlo" - e l'ampolla dell'olio - "Un filo sottile e costante mentre sbattete i tuorli con le due forchette"-
Infine la raccomandazione più importante fatta cona la voce che non ammetteva repliche "da ingegneri" : -"Si sbatte sempre dalla stessa parte, non importa quale, basta che sia sempre la stessa. Se partite verso destra proseguite sempre verso destra, se invece partite verso sinistra proseguite sempre verso sinistra. Guai a invertire il senso altrimenti la maionese 'impazza' "
Dalle nostre parti si dice che la maionese 'impazza' quando perde la consistenza faticosamente conquistata attraverso l'emulsione dell'olio e del limone con il rosso dell'uovo e l'aria (ottenuta a spese dell'energia meccanica trasmessa alla miscela) e si trasforma da morbida crema a liquido scivoloso: una maionese 'impazzata' è commestibile solo nel senso che non avvelena, ma non è più maionese. Inoltre per preparare una buona maionese ci vogliono dieci minuti, per farla 'impazzare' bastano dieci secondi.
Ci organizzammo: io con in una mano l'ampolla dell'olio e nell'altra quella col succo di limone garantivo l'apporto di una quantità costante nel tempo dei fluidi reagenti, Marco, impugnate le forchette si occupava di fornire al composto la necessaria quantità di lavoro meccanico propedeutico all' emulsione ed un pizzico di sale.
Dopo qualche minuto l'ingegnere ebbe la meglio.
-"Marco" -dissi in forma dubitativa- "ma secondo te come fanno le uova, il limone e l'olio ad accorgersi che il moto si inverte? Chi è che gli dà il sistema di riferimento ?"-
-"Già"- mi rispose Marco-"ma se anche riesce ad accorgersi dell'inversione del moto, cosa sarà che rende instabile il composto. L'energia meccanica fornita è la stessa e si trasforma comunque nella stessa quantità di calore che dev'essere quello che serve a trasformare uova, olio e limone in maionese..."-
-"Il lavoro meccanico"- conclusi neppure fossi Isaac Newton- "è una grandezza scalare...e l'equivalenza calore-lavoro"-intervenne Joule-"non dipende dalla quantità di moto"-
Marco annuiva sempre più convinto in cuor suo di tradire i tre principi della Dinamica.
-"Certo che dev'essere un bel mistero..."- replicai continuando a fornire olio e limone in giusta misura.
-"Ma che mistero ! Saranno tradizioni senza fondamento scientifico, oscurantismo medievale !"- tagliò corto Marco -"Non è possibile una cosa del genere...non si spiega"
-"Di sicuro, secondo me anche cambiando senso non succede niente."- conclusi incamminandomi su un sentiero pericoloso
-"Ma certo"- rispose Marco-"cosa vuoi che succeda, sono superstizioni..."- mi seguì Marco.
-"Comunque ..."-
-"Proviamo e vediamo quel che succede..." - disse galileianamente Marco dando il comando di macchine ferme e indietro tutta.
-"Tanto chi vuoi che se ne accorga, la fisica è con noi..." - ribadii io.
Per fortuna, con noi, oltre ai padri della Fisica moderna c'era anche Cristina che, conoscendo i suoi polli ,ci teneva d'occhio e con un intervento non descritto in nessun testo di Meccanica classica o di Termodinamica, ci strappò di mano la zuppiera dove dopo qualche minuto d'inversione del moto la maionese stava rapidamente trasformandosi in un brodo giallastro, e in pochi minuti al ricondusse ad un comportamento dignitoso.
Recuperata la salsa per il salmone ci guardò e si limitò a scossare la testa allontanandosi.
La cena, non per merito nostro, fu splendida.
Al dolce, un tiramisu dalla preparazione del quale eravamo stati tenuti a prudente distanza, tornò fuori la domanda.
-"Oh Francesco"- mi chiese serio Marco con un bicchiere di vinsanto ed un cantuccino in mano- "ma che sarà stato che cambiando verso al moto..."-
-"Dev'essere l'effetto Coriolis..."- risposi mentre finivo la seconda coppetta di tiramisù.
E fummo felici così, perchè la colpa l'aveva presa un francese.
LE RISERVE DI ZOFF, GRANDE SENZA RISERVE.
Qui siamo istituzionalmente OT, quindi sfoghiamoci.
Negli ultimi venti giorni si è parlato molto della Juve e della sua crisi... musica per le orecchie di un tifoso viola come me.
Casualmente ho ritrovato un breve racconto che ha per protagonista un grande della Juve di ieri e del calcio di sempre: Dino Zoff.
Buona lettura, se ne avete voglia, s'intende...
Le riserve di Zoff, grande senza riserve.
Questa storia comincia a Napoli, tanti anni fa.
La prima protagonista è una buca del terreno del San Paolo, nella quale Dino Zoff, portiere del Napoli, infila un piede, distorcendosi la caviglia.
Zoff è a Napoli da cinque anni e sono 150 domeniche che Trevisan, promettente riserva, siede in panchina.
Mai un raffreddore, mai una sciatica, mai un “colpo della strega”, hanno fermato Zoff, grande portiere e soprattutto portiere dotato di una salute di ferro.
Quella stessa estate Zoff passò dal sole di Napoli alle umide nebbie di Torino.
La Juve lo aveva scelto anche per far crescere tranquillo il giovane e promettente Piloni, visto che Zoff si avviava ormai alla trentina.
Piloni crebbe tranquillo, tranquillissimo.
Crebbe soprattutto in peso perché non giocava mai.
Neppure il cambio di clima aveva minato la proverbiale salute del portiere friulano.
L’influenza asiatica metteva a letto 15 milioni di italiani ?
Per Zoff neppure una linea di febbre.
Zoff si fratturava un dito in una gara di Coppa ?
Non solo finiva la partita, ma la domenica dopo giocava con una fasciatura sotto i guanti.
Niente lo scalfiva, niente lo fermava.
Dopo Piloni, un altro giovane portiere venne scelto da Boniperti per crescere tranquillo e raccogliere l’eredità di Zoff, che ormai la trentina l’aveva passata da un pezzo.
Il destino di Alessandrelli fu, se possibile, ancora più gramo.
I primi tempi, leggendo sul viso di Zoff una smorfia dolorosa, svestiva di corsa la tuta e si infilava i guanti, pensando fosse arrivato il suo momento.
Quando capì che quella, per Zoff, era l’espressione normale, si mise il cuore in pace ed un auricolare nell’orecchio per dare i risultati a Trapattoni.
Si innamorò della radio.
L’ascoltava sempre: da “Tutto il calcio”, con Ciotti ed Ameri, ad “Ascolta si fa sera” con Padre Virginio Rotondi.
Poi, un’ultima domenica di un campionato già perso, con la Juve sul 3-0, il Trap richiamò Zoff e mandò in porta Alessandrelli.
Che prese tre gol in meno di venti minuti.
Al rientro negli spogliatoi il povero Alessandrelli dichiarò che “mai la Juventus era stata rimontata da 3-0”, poi cercò di suicidarsi facendo a testate con Pietro Paolo Virdis.
Zoff, perfido, non gli lasciò neppure questo record : anni dopo, in un derby, incassò tre reti in tre minuti, e Boniperti ha sempre sospettato che l’avesse fatto apposta.
Dopo Piloni ed Alessandrelli, due marcantoni di 1,90, la Juve scelse Bodini: un piccoletto a misura di panchina.
In Nazionale era la stessa musica.
La panchina di Zoff era stata scaldata, da Albertosi, Castellini, Conti e Bordon, ma neppure un sospetto di scarse diottrie, dopo i mondiali argentini, riuscì a scalzare Zoff dal suo posto.
Per non perdere il quale vinse addirittura i mondiali in Spagna.
A quarant’anni suonati.
E continuò a giocare, inesorabile: sempre e solo lui.
Fino alla sera in cui Magath, ad Atene, gli segnò l’ultimo gol.
La leggenda vuole che quella sera, in un locale sull’Adriatico, Trevisan, Piloni, Alessandrelli, Castellini, Bordon e Conti brindassero a champagne.
Bodini, che non poteva esserci, perché impegnato in panchina, fece avere a Magath un biglietto di ringraziamento.
Boniperti lo venne a sapere e comprò Tacconi.
Così finì anche l’infinito Zoff, grande senza riserve.
LA FOTO DELLA NOSTRA VITA
Se avete meno di quaranta anni l'argomento che tratteranno le prossime righe probabilmente non vi dirà granché, ma se avete più o meno la mia età, sono sicuro che capirete bene quello che voglio dire.
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Sessanta anni fa, il 15 gennaio 1950 si giocava Fiorentina-Juventus al Comunale di Firenze.
Era la prima giornata del girone di ritorno, esattamente come domenica prossima, ma quella domenica accadde qualcosa che difficilmente potrà accadere di nuovo, domenica prossima o un'altra domenica a venire.
Non c'entra il calcio, o almeno, non solo.
E' il mondo che è cambiato da allora.
Partita poco spettacolare, un dimenticabile 0-0 in anni in cui è il risultato meno frequente, e certamente il meno prevedibile in una partita fra due squadre che alla fine del campionato segneranno un totale di 176 gol !.
Una grande Juve che sta raccogliendo il testimone lasciato dal Grande Torino scomparso a Superga scende al Comunale in una nebbiosa giornata d'inverno con la formazione tipo: Viola, Bertuccelli, Manente, Mari, Parola e Piccinini, Boniperti, Martino, Vivolo, John Hansen e Praest.
La Fiorentina risponde con Costagliola, Eliani, Cervato, Chiappella, Rosetta e Magli, Nagy, Janda, Galassi, Sperotto e Pandolfini.
Buona squadra anche quella viola che alla fine sarà quinta: gioco brillante, e la promessa di un radioso avvenire.
Nonostante la potenza di John Hansen ed i guizzi del dottor Galassi (era medico dentista) il risultato non si schioda; quando mancano cinque minuti, anche meno, alla fine in campo si tira a campare.
E' allora che Corrado Banchi, fotografo, decide di aver sofferto abbastanza.
Gli scappa la pipì da parecchio, ma provate voi a trovare quel minimo di privacy necessario alla minzione, in uno stadio gremito. Corrado, però, ora non ne può più. Dietro la porta difesa da Viola c'è una fossa usata per i sacconi del salto in alto, non è il luogo ideale, ma c'è poco da fare i difficili.
Corrado scende dentro la buca e trova sollievo vuotando finalmente la vescica.
Ha appena finito, quando sente il pubblico che rumoreggia. E' il sonoro che di solito precede il gol. Parte con un brusìo che diventa sempre più forte, rotolando sugli spalti.
Sta succedendo qualcosa.
Magli, mediano viola ha conquistato il pallone, e ha lanciato lungo verso Egisto Pandolfini, ventiquattrenne fiorentino di Lastra a Signa, talento purissimo e futura bandiera viola.
La difesa della Juve è messa male come le accade spesso ora e più raramente allora.
"Porca miseria" - pensa Corrado - "vuoi vedere che mi perdo il gol della vittoria per una pisciata !..."
Ma ha ancora la Laica al collo, la impugna, inquadra da quella posizione scomoda aspettando lo stop ed il tiro di Pandolfini, che però non arriveranno mai.
Nel suo mirino Carletto Parola si staglia contro il cielo grigio di Firenze e con un gesto atletico perfetto rinvia con una rovesciata acrobatica.
Anzi con quella che diventerà per tutti "la rovesciata di Parola".
Il giorno dopo, nella vetrina del negozio di Foto Fiorenza, in Via San Gallo, vengono esposte come al solito le foto di Corrado Banchi che documentano la partita. Allora quando la TV, gratis o a pagamento, è ancora lontana quanto la luna, quelle foto pubblicate su "Il Calcio Illustrato", su "La Nazione", su "La Gazzetta dello Sport" o su "Il Campione" sono l'unica documentazione visiva.
Nella vetrina di Via San Gallo ne espongono una ventina tutti i lunedì. Le comprano i giocatori viola, in tempi in cui anche i calciatori di Serie A possiedono al più l'ultima creazione dell'Innocenti di Milano, la Lambretta, e qualche tifoso con gli spiccioli in tasca che sacrifica magari la "nazionale senza filtro" per il ricordo di un gol..
Restano in vetrina fino alla successiva partita casalinga della Fiorentina, poi vengono sostituite.
Da quel giorno, invece, "la rovesciata di Parola" non uscrà più da quella vetrina, né dalla vita degli italiani.
Qualcuno ha calcolato che sia stata riprodotta in varie forme in oltre un miliardo di copie, in Cina come in Islanda..
Nella vita di chi ha la mia età entrò qualche anno dopo, nel 1966.
Fu per merito di Wainer Vaccari, allora diciassettenne illustratore alla Panini di Modena, la sua città.
Wainer, che oggi è un affermato artista, era nato pochi giorni prima della "rovesciata" e la disegnò come simbolo sulle bustine delle "figurine Panini" e sull'album.
Quante ne abbiamo strappate di quelle bustine ! Quella sagoma inconfondibile si trasferì, così, elastica e leggera, nella nostra vita scandita dai "celo, manca" durante la ricreazione.
Non era più Carlo Parola, non si riconosceva più la maglia della Juve, rappresentava tutti i calciatori del mondo con tutte le maglie del mondo.
Era diventata un simbolo del calcio.
E lo è ancora.
Il lato positivo sta nel fatto che perfino Schittone nota come le macchine di un tempo avessero un'anima, un'anima propria che le distingueva una dall'altra, mentre quelle di oggi son tutte uguali o quasi e tutte insipide o quasi.
Punto, il bello finisce qui. Molto del resto è un elenco di dati, date e nomi e le caratteristiche tecniche sembrano/sono un copia e incolla dei siti ufficiali Alfa.
Due chicche, ovviamente non citate in cdc, ve le passo io.
La Giulia GT, e quindi la GTA, fu omologata nella categoria Turismo nonostante le ridotte dimensioni interne grazie ad un illuminato trucchetto: di serie veniva fornita con una panchetta posteriore e il posti imbottiti, il cui ingombro non avrebbe permesso l'omologazione, erano citati come opional al prezzo di lire 70.000 Ovviamente questo optional era .... obbligatorio

Schittone cita giustamente una 1750 GTAm e una 2000 GTAm. Quello che dimentica di dire è che già la 1750 montava un "quasi" 2 litri e che la dicitura iniziale 1750 era solo un richiamo alla serie. Chiti ebbe il suo bel daffare per portare la cilindrata a 2 litri: l'interasse tra i cilindri non era più sufficiente per far entrare quattro canne nel monoblocco. Niente paura: aprì longitudinalmente il basamento, s'inventò un'unica canna a forma di due 8 uno in fila all'altro ed ecco una camicia pluricilindrica! Certo veniva a mancare lo spazio per la circolazione dell'acqua di raffreddamento nelle parti contigue dei cilindri e questo avrebbe potuto portare ad uno stress sui pistoni.
"Ovvia, 'sto motore chi lo spacca?!!" esclamò Chitone ai perplessi collaboratori.
Ed anche quella volta ebbe ragione lui


Se c'è stata una "regina" delle strade che si inerpicano sull'appennino tosco/emiliano fino al culmine del Giogo per poi precipitare nella valle laterale del Santerno e poi, dal Passo della Futa in quella scavata dalla Sieve questa è stata senza dubbio l'Alfa Romeo GTA, prima, e la GTA Jr, poi.
La GTA nel ricordo di chi l'ha guidata è diversa da caso a caso.
Era una macchina che andava interpretata, e di interpreti ne aveva avuti di eccezionali sulle strade del Mugello: Nanni Galli, Ignazio Giunti, Enrico Pinto, Carlo Benelli, detto "Riccardone" sono stati senza dubbio i più famosi, ma certo non i soli.
La rinascita del Mugello stradale, negli anni '60, è legata a doppio filo alla GTA che, se non vado errato, esordì proprio al Mugello nel 1965, quando, non ancora omologata, venne iscritta dal vulcanico Chiti nella classe Prototipi fino a 1600cc... inventata apposta per le due nuove Alfa.
Una venne affidata a Teodoro Zeccoli, penalizzato, come Carlo Facetti, nella sua carriera di pilota dalla sua bravura come collaudatore, e Riccardo Di Bona, l'altra all'equipaggio "di punta" composto da Roberto Bussinello (che mi pare fosse Campione d'Italia) e a Giacomo "Geki" Russo in quell'anno passato nelle fila degli "ufficiali" Alfa Romeo.
Da allora non si contano gli aneddoti legati alle GTA sulle strade del Mugello.
Mi hanno raccontato che lo stile di guida di Enrico Pinto era inimitabile, che sia stato lui, assieme a "Nanni", e a Giunti, il migliore interprete in assoluto della GTA. Ma il più popolare - assieme a Pinto - era senz'altro "Riccardone": un mito, un autentico specialista. Il suo duello con la GTA blu e oro e la targa FI373737 con la nuova GTA Junior (1300 a iniezione) di Enrico Pinto nell'edizione del 1968 resta una delle pagine più esaltanti della storia della grande corsa... Alla fine entrambi vinsero la propria classe, ma in classifica generale la spuntò Enrico Pinto per soli 59"8/10 causa anche qualche problema occorso a Carlo Benelli durante un rifornimento.
Un altro episodio lo raccontava Giancarlo Casati, pilota mio compaesano scomparso un paio d'anni fa, cui nell'edizione 1968 si bloccò "lo slittone" al ponte posteriore nel tratto in salita da Scarperia al Giogo: -"Un feci nemmeno in tempo a accorgermene che me l'ero bell'è messa in capo la GTA nuova..."- raccontava "Carlino".
Infine (m'avete stuzzicato...peggio per voi) una chicca raccontatami dal grande "Nanni".
"Si correva ad Aspern (vicino a Vienna ndR dove ora, sia detto per inciso non farebbero entrare nulla che abbia quattro ruote...) era il '66 o il '67.
Non mi ricordo vinsi tutte e due le volte...
Comunque quell'anno (era il '66 e la corsa era la Donaupokalrennen ndR) l'Alfa aveva ingaggiato Jochen Rindt che era già un pilota di Formula 1 e andava forte dappertutto. In prova però feci il miglior tempo perché Rindt poteva mettermi dietro in F1 o in F2, ma sulla GTA era da vedere...
Allora Jochen chiese di poter usare in gara la mia GTA. Le due macchine erano identiche come lo possono essere due macchine da corsa, ma siccome era austriaco, e soprattutto era Rindt, non ci furono discussioni anche se mi fecero in*****are. In gara partii bene e non ce ne fu per nessuno, e il povero Jochen, per starmi dietro ruppe il motore.
"Bravo pratese"- mi disse poi Chiti che era di Pistoia - "tu vai forte..."-
"Bravi" - gli risposi a voce bassa - "ma un'altra volta accorgetevene prima !"-
Intendiamoci Rindt era un campione come ce ne sono stati pochi. Con le ruote scoperte pochi davvero, ma sulla GTA, a parità di macchina, i' Nanni non aveva paura di nessuno.
Di nessuno, capito ?"


Pedro latita troppo

Beh, allora cercherò di farmi perdonare.
Questa me l'ha raccontata Nedo Coppini, "il Maestro", fotografo (e che fotografo...) e articolista di AS negli anni eroici.
Inverno del '75. La Ferrari è tornata finalmente a fregiarsi del titolo di Campione del Mondo grazie a un austriaco dagli occhi penetranti e dai denti da coniglio e sta provando all'Autodromo del Mugello la monoposto senza "air-scope". Fa freddo, chi vi scrive è al Correntaio con in mano la fida Canon FTb e uno scomodo 300mm prestatogli da un amico fotografo, Nedo invece col suo inseparabile VW "maggiolino" è ai box, il dito è caldo e Sabbatini non si lamenterà delle foto fatte alla nuova Ferrari "senza mutande".
Sono prove di gnagnera assoluta, mirano a trovare qualcosa che forse manco c'è. Noiose, ripetitive, poi col freddo le gomme vanno in temperatura con difficoltà. Regazzoni ha salutato la compagnia, l'austriaco coi denti da coniglio e il cuore di leone invece è lì che spiega che "qvando entro in Arrappiata fa di qvesto, no bene ..." e così via. Niki, si chiama così l'austriaco coi denti da coniglietto, dice che racconterà quello che gli succede "a incegner Fochieri così lui dice cosa tu defe ti fare".
"Incenier Fochieri" però non c'è. E' andato via, forse parla con Maranello, insomma non c'è. Le prove sono sospese. -"Io defe parlare con lui"- insiste Lauda - "kosì non può handling *****a, kasino" -.
In quel momento arriva un amico di Lauda, diciamo che si chiami Franco per comodità. E' qualcuno, e arriva nel retro dei box con la sua macchina nuova una fiammante, una Fiat 131 Abarth (o something like this).
Non c'è niente da fare, e una bella macchina è sempre un buon diversivo, e allora tutti si avvicinano, compreso Lauda che saluta l'amico.
La macchina è davvero bella, assetto sportivo, "muscoloso", cerchi in lega davvero seri, gomme nuovissime con la marca bianchissima che spicca sulla spalla e promette meraviglie.
Ad un certo punto Niki dice:-"Pella Franko, tu fai profare ?"-
L'altro incassa bene e accetta, non potendo certo dire di no.
Niki si mette al volante e l'amico, cui prestano un casco da motociclista, gli siede al fianco.
Chi vi scrive poco dopo vede entrare al Correntaio non la Ferrari F1 ma questa Fiat e pensa che Remo Cattini, il Direttore dell'Autodromo, voglia dare un'occhiata al tracciato.
Al giro successivo mi accorgo che non è andatura da tutti, le gomme fischiano nel silenzio del gelido pomeriggio nel quale ogni tanto volteggia un fiocco di neve.
E' un modo di guidare un po' diverso dai soliti "manici": la ruota interna anteriore tende a sfiorare il cordolo sollevata quel tanto da sormontarlo, ma nessuna derapata, nessun salto, nessun controsterzo. Fluidità pura.
All'uscita della curva la macchina non si raddrizza, ma "buca" la Biondetti in pieno disegnando la "esse" in modo perfetto.
-"Questo è uno bravo"- sentenzia un infreddolito spettatore.
-"Uno di fuori, a Firenze così non c'è nessuno"- dice un altro che nell'ambiente dev'essere ben introdotto.
-"Con questo freddo mi si dev'essere sciupato il cronometro"- si lamenta un terzo che ha provato a prendere il tempo.
Al quarto o quinto passaggio si capisce che sta davvero facendo sul serio, sta chiedendo tutto dopo aver saggiato la risposta del mezzo. La ruota esterna ora appoggia decisamente la spalla, il sibilo è più alto, ma ancora nessuna scodata, nulla che non sia naturale, perfetto.
Poi non passa più.
-"Quando tornò ai box"- racconta Nedo - "I'Lauda scese di macchina e spiegò al suo amico (un po' provato) che modifiche di assetto avrebbero migliorato la sua macchina, si inginocchiò nei passaruota e aperto il cofano indicò qualcosa inclinando il palmo della mano rivolto verso il basso."
-"Mi avvicinai"- è sempre Nedo che parla - "e mi accorsi che la scritta bianca sulla spalla delle gomme non c'era più... In quel momento arrivò Forghieri e ripresero a lavorare, la ricreazione era finita."
LE PROVE DELLA TECNO F1 SUL CIRCUITO DI SAN PIERO A SIEVE
Citazione di: "Powerslide"
(...)
2) Nello stesso numero è riportata la discesa in pista della Tecno F1. I piloti sono Nanni Galli e Gigi Fontanesi (con quest'ultimo che si farà prestare casco e guanti da Galli, ma che guiderà in jeans, maglione a collo alto e gilet di lana!)
A parte questa curiosità, forse già allora fuori tempo massimo, è per noi interessante sapere dove si svolse il test. Si trattava di un circuito di un chilometro scarso autocostruito nel Mugello da tal Lando Baldissini, nella vita inventore di macchine tessili. Il luogo dove sorge/sorgeva questa pista è San Piero a Sieve paese natale e di residenza del nostro Pedro59 (da tempo purtroppo un po' latitante dal forum).
Spero che Pedro legga questo intervento e lo corredi di eventuali ricordi di prima mano!

Mi scuso per la "latitanza" giustificata dall'impegno per "chiudere" l'ultima fatica...letteraria e "avviare" un'altra faccenda di cui parleremo.
Dunque per capire bene la storia di quella Formula 1, la prima che mai sia apparsa nel Mugello dove le corse erano di casa allora più che adesso, occorre una premessa ...storico-geografica.
San Piero a Sieve si trova su quella che all'epoca era la direttrice Firenze-Bologna, arteria fondamentale per il commercio e gli affari della Firenze dei Medici.
Per garantire la sicurezza dei viaggiatori fu costruita la Fortezza di San Martino, simile come pianta alla celebre Fortezza da basso che si può ammirare a Firenze, solo che per renderla più efficace venne costruita sullo sprone roccioso che sorge alle spalle dell'attuale abitato, diciamo, per usare un eufemismo, un po' fuori mano.
Bene, giusto sotto gli spalti della Fortezza di San Martino, Lando Baldassini costruì la sua pista, un nastro d'asfalto senza guard-rail (non scherziamo) e con un paio d'alberi a filo di carreggiata, così come l'angolo di una casa colonica che si trovava al centro dell'impianto. La costruì con l'intento di farci correre la Formula 850 o la Formula Italia sottovalutando molto i problemi logistici e il fatto che, quattro chilometri più su lungo la statale che punta il Passo del Giogo la caparbia ostinazione di due personaggi senza eredi: Amos Pampaloni (detto "il Pampa") e l'ingegner Pasquale Borracci, rispettivamente Direttore e Presidente dell'ACI di Firenze stavano costruendo l'Autodromo Internazionale del Mugello che sarebbe stato inaugurato meno di due anni dopo.
Nel 1972 io facevo la terza media e leggevo Autosprint dalla prima all'ultima pagina, almeno due volte.
In quel pomeriggio di primavera l'aria era tiepida ed io, lo ricordo bene, ero sul balcone quando ai profumi si mischiò il rumore inconfondibile di un motore da corsa. E che motore !
Casa mia era in linea d'aria a meno di un chilometro dal circuito di Croce ai Monti (quello è il toponimo del luogo dove si trova il tracciato) e mentre cercavo di capire da dove arrivasse quella musica ecco uno dei miei migliori amici sfrecciare in bici "Vieni !" - mi gridò con quanto fiato aveva - "in Fortezza c'è una Formula 1 !"-
Era come dire, più o meno, "guarda c'è un ciuco vola !".
Per arrivare alla pista, infatti, c'è (e c'era) una sola strada che si arrampica sul Poggio, così si chiama la parte più alta e del paese vecchio, e poi, divenuta sterrata, sale fra sassi e buche fino ai piedi dell'ultima rampa che si inerpica alle porte della Fortezza: una Formula 1 lassù era probabile come un banano in Antardide !
Invece c'era.
Quando arrivammo, io e il mio amico che aveva lasciato la bici sotto casa mia e si era avventurato con me sul sentiero di Buon Riposo (nome chiaro per la via breve che permetteva di salire rapidamente a mezza strada), avevamo il cuore in gola, non tanto per la fatica di aver fatto tutta la strada di corsa, quanto per la curiosità, l'ansia di scoprire cos'era quella macchina che qualcuno, probabilmente non sapendo di cosa parlava, aveva chiamato Formula 1.
Mi bastò un'occhiata per riconoscere l'inconfondibile livrea Martini della Tecno Formula 1 e il rumore del 12 cilindri "che aveva fatto arrabbiare Forghieri" era davvero accattivante.
Al volante c'era un mito, il pratese "Nanni" Galli uno che andava forte dappertutto.
Ancora oggi quando lo incontro, e per fortuna mi capita abbastanza spesso, mi torna in mente quel pomeriggio nel quale fece una passeggiata in Formula 1 sotto gli spalti della Fortezza di San Martino.