Sopra: Nigel Mansell impegnato al limite al volante dell’invincibile Williams-Renault FW14B durante le Prove Ufficiali del Gran Premio del Belgio 1992, disputato sul circuito di Spa-Francorchamps;
Mansell domina, vince e se ne va
Ma, lontano dalla pista, le cose stavano diventando amare. Nigel era estremamente caricato a questo punto della stagione, con un milione di persone intorno che volevano una parte di lui, quindi iniziò a essere molto confuso. Convinto che avrebbe continuato a correre per la Williams nel 1993 con lo stesso compagno di Squadra (o un altro equivalente), fu destabilizzato dalle voci secondo cui la Williams aveva ingaggiato Alain Prost (reo di un’antica promessa della Renault) e stava continuando a trattare con Ayrton Senna. Nigel avrebbe potuto gestire entrambi quei piloti se fosse rimasto nel team nella Stagione successiva, calmo e fiducioso, ma il suo ego, che gli imponeva di prendere il controllo della situazione prima che venisse annunciato un nuovo pilota, lo distolse dal Campionato. Nel contempo, ricevette delle offerte interessanti per correre nella IndyCar in America, dove sarebbe stato un grosso pesce in un piccolo stagno. L'ingaggio era buono, avrebbe avuto pochi impegni con gli sponsor e un motorhome tutto per sé...”Nigel mi chiese di leggere una dichiarazione che aveva intenzione di rilasciare alla stampa a Monza. Apportai alcune modifiche, diedi alcuni suggerimenti ma, prima di tutto, cercai di dissuaderlo dall'agire d'impulso. Avrebbe potuto vincere con facilità un secondo Titolo” ricorda Peter Windsor. “La Williams-Renault non era mai stata tanto competitiva. “Peter”, gli confidò Nigel, d'improvviso molto stanco. “Non ne ho più voglia. Sono stanco di tutto. Ho bisogno di cambiare”. Non c’era molto che potessi dire”. Frank Williams fece di tutto, così come Bernie Ecclestone. Uno sconcertato Ron Dennis arrivò persino ad offrigli un sedile a fianco del pilota americano Michael Andretti per la Stagione 1993. Ma Nigel nel suo comunicato accusava la Williams, dicendo che i negoziati erano stati cambiati o portati avanti con altri piloti, alle sue spalle. La realtà, invece, era ciò che aveva confidato all’amico Peter Windsor: non era più motivato. E la motivazione, per lui, era sempre stata tutto.
Sopra: Partenza del Gran Premio d’Italia 1992 disputato sul circuito di Monza. Nigel Mansell (Williams-Renault) scatta al comando davanti ad Ayrton Senna (McLaren-Honda), Jean Alesi (Ferrari) e Riccardo Patrese (Williams-Renault);
Il giorno seguente, la domenica della gara a Monza, Mansell cercò di regalare la vittoria al suo amico e valente compagno di squadra, Riccardo Patrese, ma entrambi i piloti vennero rallentati dallo stesso problema il cedimento della pompa idraulica. Vinse comunque all'Estoril, restando in testa dalla Pole Position all’arrivo, ma ricorderò sempre quel giorno per via dell'incidente di Riccardo Patrese. Era all'inseguimento della McLaren-Honda di Gerhard Berger, in lotta per il secondo posto, quando entrarono nel curvone veloce “Ayrton Senna” a destra prima dei box. Berger impostò la curva come sempre, puntò verso il solito apice, iniziò ad avvicinarsi all'uscita e poi, d’improvviso, senza alcun avvertimento, si ributtò all'interno, frenando bruscamente per entrare nella pitlane. La Williams di Riccardo venne scagliata in alto, dopo essere salita sulla ruota posteriore sinistra della McLaren. In quel momento, sul muretto dei box, gli addetti ai lavori videro a sinistra la macchina di Rick a mezz’aria, come fosse un film. Se la vettura incidentata fosse atterrata all’interno, l’intera pit-lane sarebbe stata annientata. La macchina si distrusse, ma lo fece contro il guard-rail proprio prima della pit-lane. Fu un vero miracolo. Più tardi, con la gara ancora in atto, i piloti furono chiamati nell’ufficio dei commissari per riferire la versione di Riccardo dell’incidente. Berger era ancora in seconda posizione, ma si presumeva gli avrebbero dato bandiera nera o peggio. Invece, sorprendentemente, Peter Warr, l'ex team manager Lotus e allora commissario FIA, lo dichiarò un “incidente di gara”. Berger prese posto sul podio, felice di aver evitato non solo di restare ferito o di ferire altri, ma anche una punizione per una manovra a dir poco molto pericolosa A riprova della resistenza della monoscocca della FW14B di Brian O'Rourke, Riccardo emerse indenne dal relitto.
Sopra: Nigel Mansell vincitore del Gran Premio del Portogallo 1992 a Estoril. Fu l’ultima vittoria del “Leone d’Inghilterra” dopo un’annata ricca di successi e grandi soddisfazioni;
Come consolazione per i suoi guai, Patrese finalmente vinse in Giappone. Nigel scattò di nuovo dalla pole ma, come a Monza, rallentò permettendo al suo numero due di raccogliere la gloria (e anche in questa occasione nessuno protestò). Ma, come si vide poi, avrebbe anche potuto evitarlo, visto che Nigel fu costretto al ritiro dall'unico KO dell'anno del motore V10 Renault. Adelaide, in Australia, restava l'ultimo Gran Premio sia per Nigel Mansell sia per la FW14B. Nigel conquisto l’ennesima Pole Position (staccando di mezzo secondo Senna, la cui McLaren era motorizzata Honda per l’ultima volta). I due seminarono il gruppo nei primi giri, con l’inglese come sempre calmo e pulito davanti a Senna. Nigel entrava in curva prima rispetto al brasiliano e molto rapidamente prese un ritmo vincente, con il casco che si piegava leggermente avanti e indietro verso il suo solito apice anticipato. Senna aveva un controllo fenomenale dell'acceleratore, ma prediligeva un apice convenzionale. Incollato al leader della corsa e viaggiando ad almeno 60 Km più del dovuto, Senna mise fuori gioco Nigel dal Gran Premio. Secondo molti esperti, Ayrton avrebbe dovuto essere punito: con le severe Regole attuali avrebbe avuto almeno uno Stop-and-go. Ma, in Australia 1992, non fu presa alcuna misura - e Frank Williams, grande amico di Ayrton, non fece ricorsi, anche perché lo stesso Senna era finito KO nell’incidente. Nigel fu incensato.
Sopra: Nigel abbraccia il compagno di Squadra Riccardo Patrese dopo il Gran Premio del Giappone 1992. Avendo conquistato 9 successi quell’anno, Mansell gli aveva lasciato strada, permettendogli di vincere la gara;
L’Anno del Leone
Così si chiuse la Stagione di Formula 1 1992 – con irritazione e frustrazione - e Record memorabili. Nigel Mansell viveva come un pugile, ma guidava con la finezza e la sensibilità di un artista. Amava la morbidezza e il lavoro delle sospensioni e guidava con l’anteriore, con il retrotreno di soli pochi gradi fuori traiettoria. Su 16 partenze, vinse 9 Gran Premi, stabilì 8 Giri più Veloci, 4 hat tricks e scattò per 14 volte dalla Pole Position. Per trovare risultati confrontabili con questi, è necessario risalire al 1952/1953, a quelli di Alberto Ascari con la Ferrari 500 F2. E, comunque, la maggior parte di quelli di Mansell sono ancora oggi dei Record.
SCHEDA TECNICA Williams-Renault FW14 / FW14B
SILVERSTONE – Sembrava essere tornati indietro di almeno 10 anni se non di più quando, giovedì 21 marzo 1991, ci siamo ritrovati sul circuito di Silverstone in attesa di vedere per la prima volta la nuova Williams FW14. La giornata fredda, grigia e piovosa si addiceva benissimo allo scarno scenario del praticello sul quale stavano i due camion della Williams con i bianchi teloni tirati giù. A intervalli usciva un meccanico trafelato, che osservava quasi indispettito questi strani curiosi venuti a «disturbare» il debutto della vettura. Così, senza sfarzo, senza scenografie realizzate da importanti firme dello spettacolo, la Squadra Williams, come avveniva molti anni fa, ha messo in pista la monoposto per la stagione ormai alle porte. Badando al sodo, senza fronzoli né discorsi, come piace al progettista del Team Patrick Head, tipico esempio della Scuola anglosassone di cui, con John Barnard, è rimasto uno degli uomini guida. Dopo una lunga attesa, dovuta al fatto che la neonata vettura necessitava degli ultimi ritocchi, tutti sotto la piccola tenda con la curiosità di vedere le nuove linee, ma forse, per qualcuno, soprattutto per trovare un po’ di sollievo al freddo patito sino a quel momento. Lo stesso Frank Williams guardava soddisfatto l'ultima opera dei suoi uomini, senza scendere dalla vettura che lo aveva portato da Didcot, sede della scuderia. Qualche foto con i due piloti, le brevi interviste di rito a Nigel Mansell e Riccardo Patrese e poi subito in pista, ovviamente con gomme scolpite da bagnato. Un battesimo secondo le vecchie tradizioni, senza nessuna concessione al superfluo. D’altronde questa Williams-Renault FW14 ha un compito duro da assolvere: quello di fare dimenticare al più presto il precedente modello FW13, che aveva evidenziato diversi errori di progettazione. Frank Williams si era ostinato a mantenere questo numero a dispetto delle superstizioni, ma alla fine la monoposto dello scorso anno non ha lasciato un buon ricordo. Lo stesso Head, descrivendocela, ha subito precisato: “Non c’è nemmeno un bullone della vecchia vettura. È stato rifatto tutto”.
Nuovo Corso
Può essere definita la monoposto della svolta, questa FW14, poiché, dopo tanti anni di vetture firmate ufficialmente Patrick Head, è la prima che esce da Didcot progettata da un’altro ingegnere: Adrian Newey. E si vede subito: la nuova monoposto ricorda per molti aspetti le Leyton-House del periodo 1988/90, con un cocktail di raffinatezze aerodinamiche basate però sulla razionalità. Patrick Head deve aver tenuto a freno il desiderio di esasperare ogni concetto aerodinamico del fantasioso Newey, imponendo soluzioni facili da gestire e soprattutto comode per i piloti. Uno degli imperativi deve essere stato: “Al diavolo un decimo di secondo guadagnato in galleria del vento, se a pagarlo è il comfort del pilota o l'affidabilità meccanica dell'insieme”. Così Patrese, soddisfatto e tranquillo nel suo ruolo di spettatore con Mansell calato in quello di prima guida per gli onori della cronaca, ha dichiarato: “Conoscendo Newey soltanto per sentito dire ero un po’ preoccupato,ma appena ho potuto provare l'abitacolo ho avuto la piacevole sorpresa di vedere che vi sto quasi più comodo che sulla vettura dello scorso anno. Mi piace questa nuova vettura, ma mi è piaciuto ancora di più vedere con quanta determinazione tutti, nella squadra, hanno lavorato sodo in questi ultimi mesi”. Vediamo di descrivere nei dettagli questa nuova Williams-Renault FW14.
Aerodinamica
È sicuramente la parte più interessante di questa monoposto. Molti particolari, ovviamente, ricordano le March e l’ultima Leyton House ma ancora più raffinati nei dettagli, pur senza esagerazioni dimensionali. La forma della parte centrale, con quel muso lungo e curvo «da formichiere», ricorda le precedenti realizzazioni di Adrian Newey, alle quali si è aggiunta la soluzione del muso rialzato in stile Tyrrell-Honda. L’alettone anteriore, tuttavia, non presenta una V accentuata come quello proposto dall’aerodinamico francese Jean-Claude Migeot, bensì un leggero raccordo a salire nella parte centrale. Molto sofisticate le paratie anteriori (o minigonne anteriori), da sempre un pallino di Newey. Sono una combinazione di quelle viste in precedenza sulla Leyton House con quelle della Jordan-Ford 191 e persino quelle della Ferrari 641 “papera”, ma di lunghezza molto maggiore. Presentano infatti una parte verticale che rientra, ma con una generosa superficie orizzontale che si protrae persino oltre la tangente posteriore delle ruote anteriori. Le fiancate sono più lunghe rispetto a quelle della vettura dello scorso anno, mentre la presa d'aria del motore è tornata verticale. Molto interessante anche la parte terminale della vettura. Nella parte superiore ricorda quella della Ferrari e della Tyrrell, ma è nel profilo estrattore che sono racchiuse le novità. Grazie ad un cambio trasversale dagli ingombri ridottissimi, Newey ha rifatto completamente l’aerodinamica inferiore. Il prof1lo estrattore è più corto nelle parti laterali per diventare più lungo e più arcuato nella sezione centrale, dove presenta anche una forma vagamente a goccia. In questa zona dovrebbe avvenire l'evacuazione dell’aria calda proveniente dalle fiancate, che però presentano già un piccolo sfogo aggiuntivo in vista del primo Gran Premio della Stagione a Phoenix Park. L’alettone posteriore è dotato di un corto supporto fissato sopra il cambio al profilo inferiore.
Zona Anteriore
Esaminiamo attentamente la sezione anteriore della Williams-Renault FW14B, la parte più interessante, a mio giudizio, di questa monoposto. È stata subito battezzata “formichiere” a causa del muso lungo e incurvato, lo nuova FW14 disegnata da Adrian Newey, controllato a vista da Patrick Head. Il muso è sollevato verso l’alto, sulla scia dell’esempio Tyrrell, ma non presenta i vistosi pattini tipo aliscafo ai lati per sorreggere gli alettoni. Questi sono raccordati alla parte centrale con due zone che vanno a salire gradualmente. Sulla vettura sono presenti degli estensori aerodinamici dell’ala anteriore che terminano fin a ridosso dei bracci delle sospensioni. Molto sofisticate le paratie laterali (o minigonne anteriori), prive di minigonne per lo nota limitazione imposta dalla Federazione. Sono incurvate verso l’interno come sulla Jordan-Ford 191 e presentano anche una parte orizzontale sul tipo della Ferrari, ma sono molto lunghe arrivando oltre le ruote stesse. Il braccio anteriore del triangolo della sospensione è infulcrato nella parte inferiore del telaio. Le sospensioni attive presentano delle sporgenze verso l’esterno dando l’impressione di una certa ingrombranza aerodinamica. Gli ammortizzatori sono piazzati orizzontalmente in una nicchia ricavata nella parte superiore del telaio. Il muso rialzato ha obbligato a realizzare il coltello (finto fondo piatto) che è ancora più pronunciato rispetto a quello della Tyrrell. Di chiara scuola Newey la forma a V dell’abitacolo, molto chiuso in alto per migliorare il flusso dell’aria in questa zona, la parte anteriore delle fiancate ricorda molto quella della nuova Leyton House. La scocca, come nella Fw13, misura fino a 80 cm in larghezza, per contenere tutto il carburante alle spalle del pilota.
Zona posteriore
I radiatori sono arretrati e disposti a V come sulla Fw13. La presa d'aria del motore è ricavata direttamente nella struttura del telaio. Il motore ha una presa dinamica separata interna. Il 10 cilindri Renault nella versione RS03 è stato abbassato di 17 mm. Le fiancate sono completamente chiuse, ma vi sono degli sfoghi già predisposti per il caldo. Il marciapiede, così viene chiamata la zona orizzontale ai lati delle ruote, è molto grande. Il nuovo cambio trasversale a comando semiautomatico è racchiuso in una nuova fusione che-ne ha ulteriormente ridotto gli ingombri. Il profilo estrattore ha lo parte centrale più lunga e incurvata verso l’alto. Il radiatore del cambio è carenato in una presa delimitata dai corti supporti dell’alettone posteriore biplano. Le paratie laterali presentano un piccolo gradino verticale.
Telaio
È la parte più convenzionale della vettura. In pratica è un telaio che ricalca le linee delle precedenti realizzazioni di Newey, ma con maggiore spazio all’interno dell'abitacolo. La forma della parte anteriore, ma soprattutto quella dell'apertura dell'abitacolo, sono di chiara scuola March. La scocca si allarga fino ad arrivare a 80 centimetri nella parte posteriore, per potere contenere, come vuole il regolamento, tutta la benzina dietro le spalle del pilota. |
Sopra: Il formidabile telaio della Williams-Renault FW14B;
Sospensioni
Pur rimanendo sempre del tipo push-rod, la sospensione anteriore è stata completamente rifatta. Gli ammortizzatori non sono più verticali bensì orizzontali, piazzati in una apposita grande nicchia nella parte superiore. Qui verranno alloggiatigli elementi aggiuntivi delle sospensioni attive, appena queste avranno raggiunto una buona affidabilità. La sospensione posteriore era già stata introdotta, con il nuovo cambio semiautomatico,sulla versione laboratorio della FW13B. È anch'essa del tipo push-rod con ammortizzatori a V, come sulla Ferrari e molte altre monoposto.
Nessuna foto consentita a questo particolare, ma lo stesso Head ha voluto mostrarcelo, fiero del risultato finale. Il semiautomatismo, del tipo elettroidraulico come sulla Ferrari, non ne ha finora diminuito l'affidabilità. Ma sono le dimensioni esterne che hanno dell'incredibile: non è soltanto, essendo un trasversale, molto corto, ma anche molto stretto. Cioè dovuto alla tipologia motociclistica adottata per la selezione dei rapporti, che ha permesso di eliminare i sincronizzatori riducendo così gli ingombri. Il cambio è molto veloce e preciso nell'inserimento, con i piloti che possono cambiare senza alzare il piede dall’acceleratore; non è possibile però, «saltare» le marce in fase di scalata. Rispetto alla versione che abbiamo visto nei test invernali l’unità montata sul nuovo modello FW14 aveva una nuova fusione esterna molto più piccola.
Ultimo, ma non in ordine di importanza, il rinnovato 10 cilindri Renault, modificato a tal punto da farlo definire dai responsabili della Casa francese come una unità completamente nuova. Sono stati infatti modificati il rapporto tra alesaggio e corsa, le testate, i condotti di aspirazione, l'albero a camme, il circuito dell'olio. Infine sono stati ridotti il peso e l'altezza (di 14 millimetri). Nuova anche la gestione elettronica, sempre della ditta italiana Magneti Marelli. Aiuti alla Guida
Elenchiamo qui di seguito i principali aiuti alla guida installati sulle monoposto di Nigel Mansell e Riccardo Patrese sulla Williams-Renault FW14 e, in seguito, sul modello evoluzione FW14B.
Sospensioni attive Questo sistema computerizzato permette alle sospensioni di adattarsi in tempo reale alla pista, con un significativo vantaggio in velocità. Approfondiremo in seguito in maniera più dettagliata l’argomento sulle sospensioni attive, principale arma tecnologica utilizzata dalla Williams-Renault FW14B.
Cambio semi-automatico Facilita il cambio marce al pilota, pur lasciandogli un controllo parziale sullo stesso. I migliori piloti rendono di più con questo sistema che con quello automatico, perché riescono a “sentire” il motore meglio del computer. Il cambio semi-automatico venne utilizzato dalla Squadra Williams nel 1991.
Cambio automatico Questo sistema riduce notevolmente il tempo speso per cambiare le marce, e fa girare il motore a regimi sempre ottimali. Aumenta inoltre la velocità della vettura. Il cambio automatico venne utilizzato dalla Squadra Williams nel 1992.
Controllo della trazione Controlla l’erogazione di potenza alle ruote, garantendo un’aderenza migliore nelle forti accelerazioni. Il controllo della trazione permette partenze sempre perfette, senza pattinamento.
Camera car Permette al personale dei box di vedere sempre cosa succede sulla monoposto. Più le camere sono buone, più i meccanici possono cogliere in anticipo eventuali guasti alla scocca.
Software di diagnostica Monitorizza le condizioni della vettura, e aiuta a controllare alcuni sistemi interni. Se il sistema è ben fatto il team vedrà subito l'insorgere di eventuali problemi. Un buon sistema migliora anche le prestazioni della monoposto.
ABS Impedisce il bloccaggio delle ruote, minimizzando lo spazio di frenata ed evitando il consumo irregolare delle gomme causato dallo stesso.
(I testi della Scheda Tecnica della Williams-Renault FW14 sono tratti da Autostrint n°9 datato 1991 in un amplio esame tecnico realizzato dall’esperto tecnico Giorgio Piola)
APPROFONDIMENTI Williams al microscopio
L’aerodinamica della Williams FW14 è stata la più incisiva della Stagione di Formula 1 1991, e quindi la più osservata e copiata. Ha avuto nella forzata interpretazione del nuovo Regolamento un contributo non indifferente, attraverso la realizzazione di un più esteso sigillo a terra, con il complesso dispositivo anteriore. Ma, a scanso di equivoci, va subito precisato che questa è stata una parte aggiuntiva o l’ultimo tocco a un progetto aerodinamico altamente efficiente. Con ogni probabilità, infatti, questa macchina sarebbe stata egualmente competitiva anche senza lo stratagemma del noto recupero dei 25 mm d’altezza dal fondo piatto, oltre la linea dell’asse-ruote. Tant’è vero che la prima copiatura di questa soluzione da parte di altri costruttori non ha prodotto vantaggi apprezzabili. Ben altri affinamenti al sistema sono stati necessari e, alla fine, il vero vantaggio avuto dalla Williams è stato quello di essere partita con questo disegno – a nostro giudizio trasgressivo, nonostante la lacuna lasciata dal Regolamento – fin dalla concezione della nuova forma anteriore della vettura. In sostanza, l’innovazione proficua è partita da una forma assai efficace della parte anteriore della monoposto: muso moderatamente rialzato, profili alari molto bassi, ottimo deflettore nel punto iniziale del fondo piatto e sofisticato disegno delle parti che rappresentano un prolungamento degli schermi di estremità. E si può affermare che il nuovo esperto in aerodinamica della Williams, Adrian Newey, abbia qui applicato tutte le esperienze da lui accumulate a partire dalla sua prima realizzazione (la Leyton House-Judd del 1988) di questo tipo di frontale; e che su questo tessuto abbia aggiunto, con molto raziocinio, gli altri elementi influenti. Lo stesso valga per il carenaggio posteriore, dopo il fondopiatto.
Spettro
Infatti, il sensibile incremento dell'effetto suolo, nell’espressione del 1991 (ma la Fisa non intendeva ridurre genericamente le deportanze?), si è basato anzitutto sull’accelerazione della vena fluida inferiore e sulla creazione di uno spettro aerodinamico più efficace: molti tecnici usano al riguardo il termine di “canalizzazione” dell’aria verso il fondo piatto. E i risultati raggiunti dalla Williams-Renault FW14 sono stati inizialmente i più alti, con un “surplus” derivato incontestabilmente dal prolungamento all’indietro dei condotti laterali. Ma questa configurazione aerodinamica, per dare il massimo, richiede una minima altezza da terra del dispositivo anteriore; anzi, impone lo strisciamento al suolo delle sue parti inferiori, come all’epoca delle “minigonne”,con la produzione di quello scintillio che è stato il “leitmotiv” della stagione. E si rammenta che: 1) Nulla deve trovarsi al disotto del piano geometrico definito dal fondo piatto; 2) Fissa restando l'altezza della sospensione posteriore, l'assetto picchiato, con l’uso anche di un regolatore d’altezza anteriore, richiede una rotazione sull'asse trasversale inferiore a un grado per una variazione di 40mm di altezza sull'estremità anteriore; 3) I condotti laterali molto prolungati (l’apparato ha una lunghezza totale di 1.317m) non possono essere così rigidi da rispettare il regolamento in ogni condizione e quindi sono soggetti a flessione verso il basso, sotto l'effetto delle forze aerodinamiche.
Stabilità
A questo punto, entra in gioco la sospensione anteriore, con molleggi e con geometrie che possano validamente interagire con le variazioni di deportanza, in funzione del quadrato della velocità, per assegnare una altezza minima della vettura (interviene anche il regolatore d’assetto) nelle diverse condizioni di utilizzo.La stabilità aerodinamica si ottiene con le massime deportanze su tutti i terreni; L’instabilità è rappresentata dalle perdite sui circuiti con fondo stradale sconnesso, sui quali diviene impossibile la conservazione di una altezza minima tale da garantire un completo sigillo a terra. Se la maggiore instabilità aerodinamica è stata riscontrata nel 1991 dalla Ferrari e solo in parte anche dalla McLaren, si nota che pure al top della Williams non sono mancati i punti negativi, e precisamente a Phoenix, Montecarlo, Budapest e Adelaide. Così si può ricorrere a un indice di prestazione (variazioni percentuali del tempo sul giro in qualificazione), per valutare le prestazioni della Williams rispetto a quelle della McLaren. Ciò significa che, da un lato, la totale stabilità aerodinamica è stata praticamente impossibile per qualsiasi vettura tra le più efficienti del 1991e che dall’altro lato sono rimasti grandi spazi di manovra per l’affinamento e per le regolazioni delle sospensioni. Tuttavia, nella completa valutazione delle prestazioni, si devono aggiungere le componenti motoristiche e bisogna considerare che il VI0 Renault, per quanto eccezionale nella sua resa e per quanto favorito, in un determinato momento, dal progresso dei carburanti, non ha mai potuto superare globalmente la funzionalità dei migliori motori a 12 cilindri. Perfino i più sorprendenti tra i risultati dell’anno, cioè quelli delle più alte velocità di punta raggiunte dalla Williams in qualificazione sulle piste più veloci (Hockenheim, Spa-Francorhamps e Monza),non sono stati da attribuire a superiori livelli di potenza del motore Renault, bensì a un indubbio contributo delle caratteristiche aerodinamiche. E sempre con una certa esagerazione di assetti. Dunque, tra le monoposto di vertice, la Williams Fw14è stata quella con la minore sezione frontale S, aggiungendo qualche riduzione anche rispetto .al modello dell’anno precedente; un miglioramento del prodotto Scx, ottenuto a pari Cx, è stato accentuato, sia pure in termini assai esigui, da qualche ritocco al coefficiente adimensionale di resistenza. La singolarità della conquista sta nel fatto che le deportanze dovute all’effetto-suolo (le quali hanno un loro costo in fatto di resistenza, come avviene per i profili alari) possono essere spinte all'eccesso, in presenza di altri parametri favorevoli. E l’efficienza aerodin mica, quale rapporto tra il coefficienteadimensionale di deportanza -Cze il coefficiente di resistenza Cx, all’atto pratico deve essere riferita alla sezione frontale, secondo il rapporto - Scz/Scx, per confronti più completi fra costruzioni diverse. Quanto ai flussi, questa vettura ha mostrato una estensione abbastanza ampia per la sola ala posteriore, in funzione del livello velocistico dei circuiti, mentre gli interventi sui congegni anteriori si sono limitati soltanto alle caratteristiche del flap. Come nella versione precedente, l’ala posteriore della Williams-Renault FW14 (il dispositivo è completato da una seconda ala ribassata, con o senza uso di flap) è la più modulabile della Formula 1; infatti, è formata da un profilo sottile, a forte curvatura, che può essere utilizzato in un ampio range di incidenze. E configurata con tre elementi, per l’impiego più gravoso; ma, per le piste veloci, il primo elemento può essere eliminato e il grande deflettore centrale si trasforma in sezione principale, a parità di flap e conuna corda totale inferiore ai 30 cm. Quest'ultima configurazione, con sei posizioni di incidenza totale e senza deflessione dell’aletta di estremità, ha coperto l’intero arco delle regolazioni per i terreni di gara più rapidi: le velocità massime della vettura sono state condizionate principalmente da tali regolazioni e hanno fatto registrare differenze sensibili, tra la minima inclinazione da Qualifica e le massime incidenze da gara.
Motore
Il calcolo delle potenze resistenti a Imola vale a definire la resa d'inizio stagione del V10 Renault Rs3,con 707.697 cv nei due consueti allestimenti per le qualificazioni e per la media da gara. Il progresso di questo motore, rispetto all'edizione precedente, è stato ragguardevole e ha avuto nelle nuove dimensioni caratteristiche (corsa accorciata) e nella distribuzione comandata a ingranaggi i due elementi più importanti per puntare all'innalzamento del regime di rotazione. Nel corso dell’annata si sono avuti sviluppi continui, con l'arrivo di speciali carburanti, a partire dal Gran Premio del Canada, con diversi tipi di pistoni e con vari interventi sulla fluidodinamica e sul richiamo pneumatico delle valvole. Fino a giungere alla seconda versione Rs3«B»,che, in via ufficiale, sarebbe stata utilizzata per la prima volta a Monza nel corso delle Prove e che nel Gran Premio del Portogallo avrebbe avuto il suo primo impiego in gara. L’uso del condizionale ci viene suggerito da una diversa realtà dei fatti, che farebbe supporre un graduale inserimento delle principali innovazioni già a partire dal Gran Premio di Francia. Se nell’unita tabella le caratteristiche funzionali delle due versioni indicano i valori d'inizio e di fine evoluzione, possiamo ritenere che, sulla scorta di molti rilievi, i principali traguardi siano stati raggiunti con vari anticipi. Infatti, le potenze resistenti calcolate a Hockenheim, con 725 e 712 cv (Qualifica e gara), ne hanno data piena conferma, mentre i risultati del V10 Rs3 «B» di Monza non sono stati migliori di quelli forniti dal tipo corrente. In ogni caso, per i tecnici della Renault, si è trattato di conquiste di primissimo ordine, a giudicare dai regimi di rotazione raggiunti e dall'entità della pressione media effettiva, che è rimasta invariata, nonostante il più alto numero di giri. Con questa somma di valori, cadono molte barriere tra la funzionalità di un l0 e di un 12 cilindri; e ciò fa molto riflettere sulle opportunità del minore frazionamento della cilindrata nel moderno motore di Formula 1.
Sopra: Nigel Mansell (Williams-Renault) in Griglia di Partenza con i meccanici intenti a lavorare sul motore durante il Gran Premio di Gran Bretagna 1992 a Silverstone;
APPROFONDIMENTI Le Sospensioni Attive
La Squadra Lotus è stata per lungo tempo famosa per l'avanzata alla progettazione e per la ricerca della sperimentazione tecnologica. La Lotus aveva deciso di impiegare le sospensioni attive nella costruzione di una vettura da turismo, prima di intraprendere un vero e proprio programma nella Formula l. Ci vollero 6 mesi per realizzare la Lotus Esprit attiva e altri 6 mesi per sperimentarla. Quando Colin Chaprnan ci fece un giro per Snetterton con Elio de Angelis, riconobbe immediatamente le potenzialità de: dispositivo e diede l'autorizzazione alla costruzione di una versione da competizione. Il 16 dicembre 1982 Peter Wright, Direttore Tecnico della Lotus, mentre si recava a Snetterton per la prima Prova su pista della versione da corsa venne informato della morte di Chapman, avvenuta la notte precedente. Wright ha poi seguito direttamente la sperimentazione sulle sospensioni attive in collaborazione sia con la squadra che con la sezione ingegneristica della Lotus.
Come è nato l'interesse per questo tipo di innovazione? “La storia risale al periodo in cui erano state bandite le vetture 88 con doppio fondo. Avevamo già pensato a delle sospensioni attive. Avevamo considerato le possibili scelte in merito alle sospensioni attive e quando il modello “88” fu vietato, ci siamo detti: “D’accordo, il piano A è stato respinto; proviamo col piano B”.
Dal 1983 al 1987 il dispositivo non è stato montato sulla Formula 1. Era stato accantonato il progetto? “Alla fine della Stagione 1982 eravamo solo dei nuovi arrivati nelle corse di Formula 1. Le macchine con le sospensioni attive erano state concepite senza deflettori per l’effetto suolo. Ma la FISA aveva cambiato ancora il Regolamento, stabilendo le norme per il fondo piatto e così cadeva la ragione per cui erano state concepite. Prelevai il materiale tecnico e coloro che vi avevano lavorato e li portai al reparto ingegneristico della Lotus. Nel 1987 la Squadra della Lotus si è rivolta a noi, chiedendoci di elaborare un sistema sussidiario per la vettura di Formula 1. I veicoli col fondo piatto e gli accorgimenti aerodinamici si erano evoluti al punto da richiedere l’introduzione delle sospensioni attive”.
Che cosa sono e a cosa servono le sospensioni attive? “L’effetto suolo si origina dal passaggio dell’aria tra la macchina e il fondo stradale. La forma del condotto attraverso il quale passa l’aria determina la distribuzione della pressione e l'entità della deportanza. Il punto è che l’effetto suolo è utilizzato al meglio quando il dislivello del telaio è di 5-10 mm sul davanti e di 20-50 mm sul retro. È un effetto che risente molto delle minime variazioni,così se la parte frontale si abbassa di 2 mm assume delle caratteristiche assai differenti se paragonate a quelle prodotte da un dislivello di 15 mm. Il problema è che se si frena una vettura a 4G e questa è montata su molle – e bisogna ricordare che anche le gomme si comportano come delle molle – la parte anteriore della macchina si abbassa di l0 mm, quindi, appena si frena, la forma del condotto sottostante cambia completamente e accade anche di peggio se il percorso è a cunette. Quando sulla vettura aumenta il carico aerodinamico, la macchina viene schiacciata contro la superficie della strada e lo spazio tra la vettura e il fondo stradale cambia ancora. Con quella variazione si produce anche una variazione delle caratteristiche aerodinamiche. Quest’ultimo cambiamento è sempre opposto a quello voluto. Appena la macchina frena, il muso si abbassa e la feritoia anteriore si modifica. Proprio quando serve più deportanza sul davanti, se ne crea una maggiore sul retro. Se si montano le sospensioni attive si può contrastare la forza indesiderata. Si immette energia nel sistema delle sospensioni per mantenere il dislivello delle dimensioni volute, alzando la macchina quando è in frenata e facendo insistere sul retro una parte del carico”.
Quali sono le componenti del sistema delle sospensioni? “Il sistema delle sospensioni attive è composto da sensori, elaboratore elettronico e attuatori. La miglior analogia per immaginare un sistema interamente attivo è quella del corpo umano, i cui ali e nervi corrispondono ai sensori, il cervello all’elaboratore e i muscoli agli attuatori . Non impieghiamo molle, ma sospensioni attive. I sensori misurano il carico, la posizione e la velocità. Questi sensori informano poi l’elaboratore, dove si stabiliscono un certo numero di equazioni in base alle quali l’elaboratore invia dei segnali alla valvola idraulica che immette olio idraulico su entrambi i lati ai pistoni che muovono gli attuatori. Ad ogni movimento della macchina ogni variazione muta e il sistema di sospensioni attive è continuamente riavviato, alla frequenza di mille volte al secondo. La chiave sta nel programma dell’elaboratore. L’intero sistema non farà assolutamente nulla se il programma non gli comunica le istruzioni, come purtroppo può a volte accadere in pista”.
Ora che il dispositivo è stato proibito, sarà possibile riutilizzare le cognizioni e l'esperienza accumulate negli ultimi anni, allo scopo di trasferirle nel progetto di una macchina di tipo passivo? Le sospensioni attive ci consentono di arrivare a dei compromessi. Normalmente un sistema passivo è molto rigido, in modo che il carico aerodinamico alle alte velocità non arrivi a spingere la ma china verso il suolo, ma ciò che più conta è che la macchina si possa anche abbassare il più possibile alle basse velocità. La prima cosa che tutti hanno realizzato grazie alle sospensioni attive. Qualunque fosse il sistema usato è stata quella di adottare molle più morbide pur riuscendo a tenere le vetture sollevate dal suolo alle alte velocità. Questa è la traccia per uno dei compromessi possibili. Studiare il sistema delle sospensioni attive ci ha portati alle nozioni fondamentali dell’azione di ciascuna parte di un sistema di sospensioni. Ci impegneremo a fondo e senza sosta per realizzare delle sospensioni passive quanto più possibile conformi al Regolamento, che ripropongano ciascuna soluzione di compromesso come un sistema convenzionale di tipo passivo. Quanti diversi sistemi passivi ne potranno derivare rimane da vedersi. Comunque non ometteremo di studiarne nessuno. Non saremo invece in grado di modificare l’aerodinamica. Questo è il contenuto essenziale delle decisioni della FlSA. L’aerodinamica infatti non può essere modificata da alcuni accorgimenti che non siano le sospensioni attive”.
La tecnologia in Formula Uno è sempre più avanzata e le normative in merito sono sempre più complesse. Quali difficoltà si incontrano per rispettare il Regolamento? “Vent’anni fa si sarebbe potuto prendere qualunque componente di una vettura da Gran Premio e affermare: «So come funziona». Prendete le parti principali di una vettura attuale: la gente si chiederà a mala pena il loro numero. Questo è forse il massimo a cui possono arrivare. Non si può osservare un impulso elettronico e sostenere che lo si capisce. Questo è il problema con il Regolamento tecnico. Nessuno può immaginarsi esattamente come i dettagli funzionino e se siano nel rispetto delle normative. I programmi di base possono svolgere fino a 10.000 differenti funzioni, alcune delle quali sono legali, altre illegali. Il Regolamento non può colpire l’elaborazione centrale, ma soltanto le singole funzioni. Ciò rende assai più difficile il controllare come da Regolamento”.
APPROFONDIMENTII Sistemi Telemetrici
La telemetria e il futuro dell’analisi delle prestazioni dal vivo delle macchine da corsa. Telemetria è divenuto il termine spicciolo per indicare un sistema di raccolta istantanea di dati e di monitoraggio della prestazione di una macchina da corsa. L’informazione raccolta è impiegata dalle squadre nell’incessante tentativo di migliorare il rendimento globale. Consente al pilota di confrontare le sue prestazioni nei differenti giri. o rispetto al compagno di Squadra: quantifica l’effetto delle variazioni nella messa a punto della vettura; aiuta a diagnosticare i guai al motore e contribuisce a ottimizzare il rendimento dello chassis e della propulsione. Potenzialmente il sistema ha effetti a largo raggio, ma i suoi impieghi nelle prossime Stagioni verranno limitati, dato che le ragioni che hanno portato a proibire il controllo automatico della trazione e le sospensioni attive si applicano anche alla telemetria. La telemetria fu introdotta nella Formula 1 negli ultimi anni Ottanta, per iniziativa dei maggiori Costruttori di motori, in particolare la Honda, che aprì la via alla progettazione e alla sperimentazione del sistema telemetrico. La Tyrrell era stata provvista del sistema nel 1991 dalla Honda, ma ora utilizza un sistema della Pi Research. concesso alla Squadra nel 1992 da Ilmor, che quell’anno le forniva il motore. Il sistema attualmente in dotazione alla Squadra, così come lo descrive il suo ingegnere Simon Barker “Può essere suddiviso in due parti, una relativa al motore e l’altra allo chassis. Non c’è una scatola del cambio automatica, ma piuttosto un sistema che include anche quella. Fondamentalmente si tratta di un sistema per rilevare tutte le temperature e le pressioni nell’ambito del motore. Per lo chassis c’è un sistema che misura l'altezza variabile in corsa della macchina, la pressione del fluido idraulico, i carichi o i movimenti delle sospensioni che possono rivelare, per esempio, se le ruote anteriori si sono staccate dal suolo, o se sulle ruote posteriori c’è un sovraccarico o un sottocarico”. Barker afferma inoltre che: “Il sistema può trasmettere e conservare le informazioni in due diversi modi. L’informazione rilevata sulla macchina può essere inviata ai box in “tempo reale”, mentre la macchina è in movimento. Sono disponibili venti canali per trasmettere i dati in questo modo. Un’altra cinquantina di canali sono a disposizione per raccogliere e immagazzinare dati su un registratore posto a bordo, che è poi trasposto su di un elaboratore portatile, quando la macchina rientra ai box. Ogni informazione è raccolta per mezzo di sensori e passata a un soccorritore, l'Unità Elettronica di Controllo (E.C.U.) che la processa prima che sia immagazzinata sul registratore di bordo. Se l'informazione è elaborata in “tempo reale”, viene trasmessa dall’ E.C.U. direttamente ai box”. Il sistema adottato dalla Tyrrell trasmette solo dalla macchina ai box. Il sistema usato dalla Williams-Renault,per esempio, opera a un livello più sofisticato. La Williams-Renault è in grado di trasmettere anche dai box alla macchina. Con un sistema così è possibile per esempio modificare la miscela di carburante durante la corsa, senza che il pilota lo sappia. Il sistema Pi Research, utilizzato dalla Tyrrell, consente di trasferire i dati in soli 20 secondi; in questo modo si può disporre delle informazioni in una varietà di configurazioni per meglio analizzarle. Gli istogrammi, per esempio, possono evidenziare la proporzione del tempo suddiviso in fasce di giri al minuto (RPM), speso per un giro del circuito, o per una sessione completa. I resoconti dei rivelatori mostrano i valori massimi e i minimi di ogni parametro in ciascun giro, consentendo un immediato controllo che non ci sia nulla fuori dell’ordinario. I grafici di un giro, o dell'intera gara, possono essere sovrapposti per operare dei confronti. L’accesso a queste informazioni ha consentito ai piloti di analizzare i loro giri in tutti i dettagli. Barker spiega che: “I piloti lo usano come uno strumento. Dopo ogni sessione ne stampano i risultati e li esaminano con gli ingegneri durante le riunioni. Si possono sovrapporre le curve delle velocità e dei tempi dei due piloti sullo stesso tracciato e rilevare che uno è più veloce dell'altro in un certo punto, ma più lento in un altro. Poi gli si può dire: “Se in questi punti ciascuno di voi può ripetere il meglio che ha fatto e in quegli altri punti arriva a eguagliare il proprio compagno di Squadra, sarete entrambi più veloci”. “L’informazione immagazzinata a bordo è vitale per poter adattare perfettamente la regolazione della macchina a un particolare circuito, specialmente se la Squadra impiega le s pensioni attive ed il controllo automatico della trazione. Il sistema è munito di un misuratore dell’accelerazione laterale, inserito dentro la scatola nera, che può automaticamente tracciare e riprodurre una mappa del circuito derivandola dai dati conservati di un giro campione. La Squadra può riaggiustare la mappa fino a che gli sembri soddisfacente e quindi corredarla con tutti i dati di quel circuito, fino a poter attuare confronti accurati delle corse, condotti curva per curva e rettilineo per rettilineo. Barker sostiene che: “Quando le rilevazioni si applicano a un sistema attivo, le squadre dedicano molto tempo ad analizzare ogni singolo movimento nel sistema delle sospensioni, per stabilire se il movimento sia avvenuto nel punto giusto, dato che potrebbe essersi avviato troppo presto, o troppo tardi. Esaminando le informazioni pervenute possiamo giudicare se la variazione dovrebbe cominciare dieci metri prima, o dieci dopo. Con la trazione controllata si può studiare una messa a punto tale che quando il pilota si trova a metà della curva la macchina si abbassa, aiutandolo a mantenere la traiettoria”.
Fino a dove potrà arrivare la telemetria? Secondo Barker, la telemetria unitamente alla trazione controllata, ai freni con ABS, alle sospensioni attive e alle quattro ruote sterzanti, potrebbe portare a un risultato tecnologico elevato: tutto ciò che rimarrebbe da fare al pilota sarebbe mantenere il corretto allineamento lungo il percorso del circuito. “Con un simile sistema si potrebbe misurare l’angolo di deriva delle gomme e le forze di deportanza: il pilota, entrando in una curva, potrebbe sapere di dover sterzare per esempio di tre gradi. La FISA ha tolto la Formula Uno da un’evoluzione di tal genere, bandendo la trazione controllata e le sospensioni attive per il 1994. La telemetria prima di tutto tornerà a svolgere la sua funzione originaria, cioè quella di raccogliere dati che consentano il monitoraggio della prestazione del motore. Per quelle squadre che pagano per la fornitura del motore, il costo di quest’ultimo rappresenta una parte significativa della spesa Stagionale. Come riferisce Barker: “Milioni di sterline sono stati risparmiati, grazie al sistema telemetrico che può immediatamente segnalare un problema al motore. Possiamo informarne il pilota e salvare il motore”. |
CONTINUA E FINISCE NELLA TERZA PARTE