Alla guida dell'Alfa Romeo di Cheever

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Da ferrarista ho sempre guardato con simpatia l'Alfa: tutti conoscevamo i limiti economici e le imposizioni politiche che legavano le mani all'AltraRossa ed avevamo grande rispetto per chi si prodigava tanto con tanto poco. Personalmente, conoscendo anche i limiti logistici e strumentali di cui disponevano, ancora mi chiedo come facessero a schierare una F1. Insomma, tanto di cappello!
Ricordo le urla del Grande Capo quando, nelle qualifiche di Monza '84, ci furono davanti. Meno male che la domenica Michele ci mise una pezza  001_rolleyes

La tua disamina tecnica ci sta tutta e non fa una grinza. Non fu comunque il frazionamento 8 cilindri a tarpare le ali: con più soldi e potendo utilizzare turbine esterne al Gruppo, potevano essere veramente competitivi.

Nel '90 (o era il '91 ?) ho avuto occasione di percorrere tre giri a Balocco su una, non ricordo bene) 184 o 185T.
Era ex-Cheever (pilota notevolmente  .. nano) e quando mi calai nell'abitacolo, io che ero una buona spanna più basso, mi ritrovai con le gambe rannicchiate ed il volante a uno sputo dal petto. Nonostante le ruote posteriori fossero molto distanti, visto l'estremo avanzamento del posto di guida, quando guardavo i retrovisori sembravano sfiorarmi le orecchie.
Per farla breve, come breve e lentissima fu quell'esperienza, mi incuteva un timore reverenziale e cominciai a chiedermi se era corretto far gareggiare i piloti con quel tipo di vetture.
La mia stima per loro (qualunque di loro), salì in modo esponenziale  thumbup

 


Alla memoria di Lorenzo Bandini

Non ricordo se fossero gli ultimi mesi del '67 o i primi del '68 e non ricordo neppure da dove e perché io ed il mio amico Marco stessimo rientrando a Milano percorrendo la Cassanese. Ma questo poco importa.
Con Marco avevo fatto tutto il liceo ed ora frequentavamo insieme ingegneria. Lui aveva quella che per me era una grossa fortuna: il padre, affetto dalla paura di volare, usava una Ferrari per spostarsi nei lunghi viaggi di lavoro. Le volte che la Rossa doveva andare dal meccanico, veniva affidata a Marco, Marco mi avvisava ed andavamo insieme. Vent'anni, una vita davanti e una Ferrari sotto il sedere: cosa volere di più? L'officina che si prendeva cura del mezzo era quella di Freddi: il suocero di Bandini. E fu così che conobbi Lorenzo.
Quel giorno, dicevo, stavamo percorrendo la Cassanese ed alle porte di Milano Marco mi dice:
"Ti spiace se ci fermiamo un attimo al Cimitero di Lambrate? C'è la tomba di Bandini, mi han detto che è molto particolare e son curioso di vederla."
Quando Lorenzo era morto, Marco aveva pianto, in silenzio, voltandosi per pudore e fingendo di soffiarsi il naso: lo conosceva da tempo e gli voleva bene.
"Certo, dai fermiamoci." - dissi io, sia perché ne avevo desiderio, sia perché sapevo quanto ci tenesse il mio amico.
A quel tempo il Cimitero di Lambrate era piccolo, completamente diverso da oggi e l'ingresso era uno spiazzo di terra a fianco della strada e due corte rampe di scale in pietra che portavano al livello del campo: piccolo, raccolto come un cimitero di campagna. A destra, dopo il cancello e le colonne in cemento, il gabbiotto del custode.
"Scusi, ci sa indicare la tomba di Bandini? ...... il corridore, il pilota della Ferrari."
"Certo, prendete il vialetto principale, questo, e percorretelo tutto. Quando finisce, guardate a sinistra e lo riconoscete subito. - rispose il custode con una specie di sorriso - Non potete sbagliare."

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Oggi il Cimitero di Lambrate è completamente diverso: i cimiteri crescono e si sviluppano più delle città.
La tomba di Lorenzo invece è rimasta uguale: una sopralevata in marmo bruno che s'interrompe di netto, la linea di mezzeria in bronzo riporta date e nomi: dalla nascita, alle vittorie più importanti, fino a quella in cui la curva si tronca: "Montecarlo 10 maggio 1967"  seguita da una piccola croce.
Alla base, la riproduzione del suo casco, cinto da una corona d'alloro, e una bandiera a scacchi.

Marco ed io ci allontanammo in silenzio: groppo in gola e pelle d'oca nascosti da reciproco pudore. Senza parlarci, senza guardarci.

Marco è morto nel '99 stroncato da un cancro cui, prima di arrendersi, tenne testa per tre anni: ne aveva appena compiuti 52.
Le poche volte che vado a trovare mia mamma che riposa cento passi dopo Lorenzo, mi fermo sempre un attimo davanti alla "sopraelevata": rivivo lui e rivivo Marco.
Arrivo da mia madre, le dico con la mente le parole che lei avrebbe voluto sentirmi dire con la voce, ma che il mio carattere ha sempre impedito arrivassero alle labbra.

Poi mi allontano in fretta, accendo una sigaretta e torno al presente.

 


Forghieri e Postletwhite a confronto

Cominciamo dalla fine: cosa pensasse Ferrari di Forghieri e Barnard non lo veniva certo a raccontare a me. Ovvio che considerasse Forghieri una sua creatura e, se l'ha tenuto tanti anni, ne pensava molto, molto bene.
Per lungo tempo la Ferrari è stata Forghieri: lui ha dato molto al Cavallino, ma senza non sarebbe stato il Furia conosciuto in tutto il mondo. A mio parere però i conti non si pareggiano: Mauro è in credito.
Forghieri era un progettista a tutto tondo, sanguigno, irascibile, ma di un'intuizione incredibile ed a volte stupefacente. Sul lavoro si agitava come un allenatore in panchina parlando e riflettendo ad alta voce con tutti quelli che gli stavano attorno. Decideva sempre di testa sua, ma prima ascoltava il parere di tutti: un grande pregio. Se devo trovargli un difetto potrei dire che non badava alla precisione quando questa riguardava esclusivamente l'estetica: ma questo rientrava nella mentalità di tutti noi.
Un grande pregio, che non ha mai voluto riconoscersi demandandolo al Vecchio, fu il prendersi sul groppone sconfitte evitabili ma a scapito della sicurezza. Lui lavorava con un coefficiente di 1.2 (che oggi può sembrare molto alto, ma che con la tecnologia dell'epoca no), altri progettisti rischiavano più in basso e incassavano successi.
Fuori dal lavoro è una delle persone più simpatiche e disponibili abbia mai conosciuto.

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Barnard non aveva contatti con i motoristi. Mandava solo delle specifiche affinchè il motore completo di accessori rientrasse in determinate misure ed a volte addirittura le copiasse a vantaggio dell'aerodinamica. Preciso in modo maniacale ci insegnò nuovi metodi di lavoro, purtroppo però non aveva il concetto del tempo ristretto indispensabile nelle competizioni.
In pratica sacrificò un'intera stagione per portare avanti il cambio elettroattuato, quando questo non aveva ancora alcuna affidabilità. Certo, senza impuntarsi, forse non avrebbe raggiunto il suo obiettivo conoscendo quanto noi italiani siamo pronti ad accantonare tutto ciò che non funziona subito. Certo avrebbe potuto farlo presente da subito, senza far ricadere buona parte delle colpe su tecnici che non riuscivano a testare per più di tre giri di fila.

Osservando (di sfuggita) i due progetti di cambio elettroattuato (il suo e quello di Forghieri) posso dire che appaiono completamente diversi come disegno, ma concettualmente uguali: trai tu le conclusioni.
Per rispondere ad una tua osservazione di qualche giorno addietro, sappi che la tecnologia non nasce spontanea, ma si sviluppa secondo le esigenze dei progettisti. C'è sempre un primo che ci prova, pur senza avere i mezzi per realizzarlo, ma senza di lui non ci sarebbe spinta al progresso e non ci sarebbe un secondo.

Per quanto riguarda Barnard, ha sempre salutato tutti quelli che incrociava. Poteva stare più o meno simpatico, ma non era la tipica educazione inglese quella di cui mancava.

 


 

Il 12 cilindri posteriore centrale

Il 12 cilindri disposto su due bancate è un motore d’indubbio fascino e di una sonorità unica. Negli anni ’50 era anche una grande sfida tecnica che racchiudeva in sé un che di maschio ed  anche per questo Ferrari lo volle fin quasi da subito sulle auto che portavano il suo nome: lo vide su una vettura americana dell’anteguerra, se ne innamorò e lo pretese.
Questo dal punto di vista estetico-emozionale.  Tecnicamente i suoi pregi sono un ottimo bilanciamento e fluidità di guida, ma soprattutto il poter limitare la cilindrata unitaria a tutto vantaggio dei regimi di rotazione raggiungibili e quindi di potenza specifica erogata. Questo era molto più valido negli anni passati quando si operava con materiali e tecniche di lavorazione molto inferiori a quelli odierni.
In teoria questi pregi sono ancora validi, ma ormai praticamente inutili potendosi raggiungere le stesse potenze specifiche con minori frazionamenti, quindi con propulsori più leggeri e compatti. Anche se è triste dirlo, un 12 oggi è ormai più uno status symbol che una vera necessità. Non sempre però è d’obbligo ragionare con la testa, talvolta occorre lasciare spazio al cuore: sognare è bello.

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Vediamo quindi di ripercorrere la sua storia, non da un punto di vista tecnico costruttivo, ma di posizionamento nel corpo vettura.
Che i difetti del 12 siano il peso e l’ingombro  è intuitivo e questi si presentavano anche quando le vetture GT lo montavano all’anteriore. Giotto Bizzarrini, uno dei papà – forse il più importante – della GTO, impostò tutto il progetto di quella che sarebbe diventata la Ferrari GT più vincente ed agognata dai collezionisti, nel tentativo di arretrare il più possibile il propulsore tentando di contenerlo all’interno dell’asse anteriore. Non ci riuscì completamente (non c’è da vergognarsi visto che anche quello della 599 è per 2/3 a sbalzo), ma il passo in avanti rispetto alla SWB fu considerevole. Forse ci sarebbe riuscito con la successiva evoluzione della GTO, ma questa non vide mai la luce perché nel frattempo l’ingegnere livornese aveva abbandonato Maranello insieme a buona parte dello staff tecnico, per i noti attriti con il Drake. Nacque la Bizzarrini 5300 Strada: fantastica vettura con un bilanciamento ottimo. Montava però un 8V e quindi non vale. Giotto sarà comunque anche chef designer dei 12V Lamborghini.

Intanto però, seguendo gli insegnamenti della F1, anche le Sport cominciavano a spostare il motore in posizione centrale, ma posteriore. Da lì a poco il travaso sarebbe passato alle GT ed i problemi sarebbero aumentati.
La prima Sport, meglio, Prototipo a motore posteriore centrale (fortemente voluto da Forghieri, nonostante il parere contrario di tutti, Drake in testa) fu la 250P: una spider che si distingueva per un rollbar a lama ad arco dietro l’abitacolo. Oggi Furia lo rivendica come prima espressione di ala deportante, ma in effetti già appariva nella 330 LM TRI a motore anteriore che vinse a le Mans nel ’61.
Comunque la 250P, dotata successivamente di una carrozzeria chiusa – che ne copiava quasi interamente le linee – dette vita alla 250 LM, prima vera GT del Cavallino a montare posteriormente un 12V.
A prima vista può sembrare che il trapianto del propulsore da anteriore a posteriore fosse avvenuto in modo indolore. Un’occhiata all’abitacolo diceva però il contrario: la guida era completamente disassata e lo spazio tra i passaruota anteriori era completamente occupato dalla pedaliera, praticamente centrale. Oltre alla scomodità di guida tutta in diagonale, era facile capire che un eventuale passeggero avrebbe dovuto tenere le gambe rannicchiate: improponibile per una vettura stradale seppur estrema.

Mentre tutti attendevano una Ferrari GT a motore 12 cilindri centrale, che sostituisse la 275 GTB, ecco all’improvviso apparire la Lamborghini Miura: immediatamente tutte le altre supercars apparvero sorpassate. Bassissima, estremamente raccolta, più somigliante ad un Prototipo che ad una Gran Turismo, sprizzava cattiveria e potenza da tutti i pori. Dichiarava anche 400 CV, cioè 100 CV/litro che erano una soglia da vetture da corsa e non da strada. Frutto dello spirito sanguigno di Ferruccio Lamborghini e della lucida follia di Giampaolo Dallara (ex della Ferrari, non dimentichiamolo), quel mostro sparigliava le carte.

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Ma dove erano finiti i problemi di collocazione del propulsore alle spalle del pilota? Non erano certo scomparsi: erano stati semplicemente bypassati posizionando l’ingombrante motore in posizione trasversale. Se il pregio di questa architettura stava nel lasciare uno spazio adeguato all’abitacolo e, perché no, ad un vano bagagli posto tra il motore e la coda, il difetto stava in un momento d’inerzia polare molto elevato. In una distribuzione cioè delle masse distante dalla mezzeria della vettura vista in pianta.
Era un peccato originale grave che, legato ad un passo molto corto in rapporto ad una carreggiata sovrabbondante per poter collocare trasversalmente il lungo motore e ad una distribuzione dei pesi troppo sbilanciata sull’asse posteriore, portava ad una precaria stabilità direzionale sul dritto ma, soprattutto sui curvoni veloci dove dava l’impressione d’avvitarsi su sè stessa. Se vogliamo aveva lo stesso comportamento della Lancia Stratos (frutto della stessa mano), con la differenza che per quest’ultima i difetti si trasformavano in pregi, dovendo stringere curve e tornanti: la belva dei rally non ha mai avuto successo in pista, nonostante per quell’uso si fosse aumentato il passo. Né per la Miura è mai stato tentato un serio approccio alle competizioni.

Ferrari accusò comunque il colpo già alla presentazione del nudo telaio del Toro al salone di Torino del ’65, e, pur immaginando bene i difetti della futura concorrente, non potè fare a meno di rodersi il fegato conoscendo altrettanto bene i limiti della sua malnata 275 GTB. Forghieri, già diviso tra F1 e Mondiale Marche, già impegnato nella creazione della futura 275 GTB/4, si trovò improvvisamente un’altra gatta, molto pelosa, da pelare.
Occorreva una risposta immediata, ma quale?   
Nel frattempo stava per nascere quella che si può considerare la prima vettura di serie a motore centrale uscita da Maranello: la Dino 206 GT, divenuta presto 246. Come dice la sigla si trattava di un 6V di cilindrata prima di 2 litri, poi di 2.4. Vettura ancora oggi molto bella, ma che per volere del Drake, non fu mai schierata in gara contro le Porsche 911. Quanto possa aver influito su questa decisione l’involuzione tecnica imposta dalla FIAT, per motivi commerciali, tra il primo prototipo e la produzione di serie, è un segreto che il Vecchio si è portato nell’aldilà.
La linea della Dino era opera della Pininfarina e del suo ingegner Fioravanti. Si decise in fretta e …… Furia di partire da quella, debitamente dopata per poter accogliere un V12 di 4.4 litri (preso di peso dalla 365 GT) in posizione centrale longitudinale. Problema irrisolvibile, ma la fantasia a Maranello non ha mai fatto difetto.
Ecco quindi apparire al salone di Parigi del ‘65 la Ferrari più strana mai nata: la 365P.
Non era certo il tetto vetrato ciò che attirava l’attenzione, ma il fatto che avesse tre posti: quello di guida centrale e quello dei passeggeri arretrati. Come Lamborghini si sarebbe ben guardato dal dichiarare il perché del motore trasversale, così Ferrari giustificò la strana soluzione magnificando la posizione del pilota come in una monoposto, la completa visibilità laterale ed il poter essere usata da una famiglia di tre persone.
Ne furono realizzati tre esemplari (numero che ricorre  Smiley ), uno per Gianni Agnelli, uno per Luigi Chinetti (che si guardò bene di portarci moglie e figlio, preferendo scorrazzare con un paio di procaci conigliette  Cool ). Il terzo restò alla Pininfarina.

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Il problema però di realizzare una GT con un V12 alle spalle dell’abitacolo era ben lungi dall’essere risolto, tant’è che dopo la 275 GTB/4, la Ferrari (quando tutti si aspettavano un’anti Miura a motore centrale) uscì con la 365 GTB4, più conosciuta col nome Daytona, ancora a motore anteriore.

Nell’attesa, Lamborghini sostituì nel ’71 la Miura con la Countach. Ora il motore era longitudinale, ma anche in questo caso c’era il trucco: il gruppo propulsore era stato rovesciato ed il cambio aveva trovato spazio nell’abitacolo. A parte l’ingombro e la fonte di calore che, se gradita in inverno, era a prova di condizionatore in estate, un albero di trasmissione portava il moto dal cambio al differenziale attraversando la coppa del motore con conseguente innalzamento dello stesso e quindi del baricentro della vettura. Ne soffre anche la visibilità posteriore, ma questa non è comunque peggiore di quella della Miura: praticamente inesistente.
Di meglio non si è comunque trovato e questa diposizione è proseguita fino ai nostri giorni passando per la Diablo e l’attuale Murcièlago. Qualunque appassionato della Casa di Sant’Agata vi dirà che la Gallardo è molto migliore, ma che il 12 è il 12 ……………  001_rolleyes

Ma torniamo a Maranello.
E’ il 1973 quando finalmente appare un 12 posteriore centrale: il suo nome è 365 GT4 BB.
Se BB significa Berlinetta Boxer, boxer il motore non è, perché su ogni manovella sono incernierate due bielle affiancate. E’ quindi un 12 V 180°, ma visto che già la F1 usava la B come sigla ………   Cool Vabbè, chi se ne frega! L’importante è che, orrore, non solo il motore è parzialmente a sbalzo, ma è posizionato molto in alto dovendo alloggiare cambio-differenziale sotto di lui.  Shocked
Peccato perché era un motore eccezionale, tanto cattivo (ed inquinante) da dover esser presto portato dall’originale 4.4 di cubatura a 5 litri tondi per renderlo meno impiccato e compensare con la cilindrata i cavalli che i dispositivi anti-pollution si portavan via. La sigla divenne prima 512 BB e, con l’adozione dell’iniezione, 512 BBi. Anche se la Casa lo nega nelle sue schede tecniche, ogni evoluzione ha comportato una diminuzione di potenza.  thumbdown
Accolta come futura regina della classe GT (feudo da anni incontrastato della Porsche), non ha mai fornito prestazioni di rilievo, nonostante fosse stata approntata per le competizioni una speciale carrozzeria aerodinamica, che sfoggiava pari pari un’ala posteriore che altro non era che quella anteriore della T di F1, montata al contrario.  001_rolleyes
La carenza maggiore che manifestava in gara era un cedimento del cambio “cotto” dall’olio del motore con cui condivideva la lubrificazione. Altro appunto che i preparatori le contestavano era il servirsi di componentistica dagli stessi fornitori della FIAT: maggior risparmio, minor qualità.
Diventata poi Testarossa, 512 TR e 512 M, i problemi di sovrasterzo congeniti non sparirono, né potevano farlo. Si tornò al motore anteriore con la 550, 575 e 599. Peccato che il sogno del ’62 di Bizzarrini non si è mai concretizzato: il motore è ancora solo parzialmente all’interno degli assi.   Sad

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Ma non furono solo Ferrari e Lamborghini a scontrarsi con il problema di posizionamento di un 12V posteriore. Anche la Mc Laren incappò in questo ginepraio con la F1 GT e GTR che montava un ingombrante propulsore made in BMW.
Il geniale Gordon Murray risolse l’inghippo adottando lo stesso schema della 365P di trent’anni prima: tre posti con quello di guida in posizione centrale. Giustificò il tutto con una migliore distribuzione dei pesi e questo, visto l’uso specificatamente corsaiolo ci può anche stare, ma lascia adito ad alcune considerazioni: 1) la vettura era stata concepita anche per un uso stradale “comodo” se è vero, come è vero, che una delle sue maggiori preoccupazioni fu quella di farsi realizzare un lettore CD che non saltellasse oltre i 250 km/h; 2) che se non avesse adottato tale configurazione, difficilmente la vettura sarebbe venuta alla luce; 3) che la prima realizzazione di una Sport 3 posti con posizione di guida centrale si deve a Dallara che sfruttò un buco nel regolamento che recitava un “almeno due posti”. Giampaolo s’inventò quindi una Barchetta che altro non era che una Formula a ruote coperte dotata di due alloggiamenti laterali appena arretrati rispetto al posto guida nei quali potevano trovar spazio due ………. neonati.  001_rolleyes

Oggi F50, Enzo e Zonta sembrano aver risolto il problema. Il miracolo si deve a interassi molto lunghi, corpi vetture molto larghi e, almeno nel caso delle Ferrari, a propulsori più compatti e con la componentistica opportunamente posizionata. Peccato che se nella Zonta una parvenza di spazio per i bagagli è stata ricavata davanti ai passaruota posteriori (ma a scapito dei serbatoi di carburante), nelle creature di Maranello non esista neppure lo spazio per l’intimo. Ma si sa: i ricchi non hanno bisogno di ricambi. Le mutande le comprano nuove ogni giorno.  Cool

Difficile dare a queste vetture il vero significato di Gran Turismo: consideriamole dei sogni, perché sognare è bello e perché il 12 è e sarà sempre il 12.
Per una volta viva il Cuore!   thumbup

 

Citazione di: "eddiesachs"

Fantastico post, grazie Powerslide thumbup thumbup !!!!

Una domanda (porta pazienza ma sono duro di comprendonio): come mai nella 250LM la guida era completamente disassata e lo spazio tra i passaruota anteriori era completamente occupato dalla pedaliera, praticamente centrale ?
La risposta forse sta nel fatto che, a causa dell'ingombro del motore lungitudinale, il sedile di guida era giocoforza assai avanzato e quindi lo era anche la pedaliera.

Non sapevo poi che nella BB512 l'olio motore fosse in comune con quello del cambio. Vent'anni fa avevo una Peugeot 104  di ...ennesima mano e anch'essa aveva tale particolarità. Però non era una gran turismo e comunque non facevo la 24 Ore, per cui il cambio resisteva....

ferrari_250_lm

E' proprio come hai immaginato: l'abitacolo era molto spostato in avanti quindi la pedaliera trovava posto nell'angusto spazio tra i passaruota anteriori. Tieni anche conto che all'epoca le vetture erano più strette di quelle odierne di una trentina di centimetri  Shocked

Sulla lubrificazione in comune tra motore e cambio non sono certo che lo condividessero in modo ......... volontario: Fabrizio Violati mi sembra lamentasse trafilaggi dal motore al cambio. Purtroppo son passati tanti anni e, non avendoci mai messo il naso di persona, i ricordi si appannano  blush
Nei prossimi giorni ti farò sapere con certezza.

 

Citazione di: "Pedro59"

M'inchino Mastro Power e se sulla pelata portassi il cappello me lo toglierei e ne terrei la falda fra i denti per avere le mani libere per applaudire...
C'è più tecnica (gratis) in queste righe che in tante (costose) riviste specializzate.
Mi permetto due chiose sulle parti meno tecniche e più corsaiole.

  • Se non sbaglio la macchina americana V12 di cui si invaghì il Drake era la Duesemberg.
    Arrivò a farne correre una, affidata al Conte Carlo Felice Trossi, al Gran Premio di Monza del '33 e proprio la rottura del tanto ammirato propulsore fu forse la causa della macchia d'olio che costò la vita di tre campioni come Borzacchini, Campari e Czachowsky.
  • Per gli spoiler della 250 P ( e ancor prima della 330 TRI vincente a Le Mans  '62) c'è una storia curiosa.
    La Ferrari li montava su tutta la serie "P", poi quando le macchine passavano di mano e finivano a Chinetti, il buon Luigi li faceva sostituire con robusti "roll-bar" in tubo d'acciaio. E' successo sulla 330 P che Rodriguez guidò alla 12 Ore di Sebring del '65, e prima ancora alla 330 TRI che, con i colori della NART, corse ancora con Rodriguez e Graham Hill a Sebring '63 e con Rodriguez-Penske a Le Mans '63, quando, con un prodigioso Pedro al volante, strappò addirittura la "pole".
    Ho fatto qualche ricerca, per capire se la scelta di Chinetti rispondesse a qualche obbligo regolamentare, ma sembra non ve ne fossero, almeno non di così stringenti (all'epoca i roll-bar erano abbastanza opzionali...), probabilmente Chinetti ci provava gusto a modificare le macchine del Drake...

Chiudo qui anche perchè sul resto c'è solo da leggere ed imparare...
Grazie ancora.

ferrari_330_tri

Sono io che devo ringraziare voi per la precisione e la puntualità dei vostri interventi.

In merito alla 330LM TRI vorrei aggiungere qualche particolare curioso.

Di questo modello che può vantare nel suo palmarès l'ultima vittoria a Le Mans di una Ferrari, anzi di una qualsiasi vettura a motore anteriore, ne fu costruito un solo esemplare!
Anzi, nacque nel '62 già meticcio essendo derivato da una 250TR del '60 (telaio #0708). Sostituito il motore 3 litri con il 4 litri della SuperAmerica, allungato il passo di 20 mm dai 2400 originali, affidata a Fantuzzi per la carrozzeria, ma soprattutto dotata al retrotreno di sospensioni indipendenti (prima a godere di quest'innovazione), vinse a mani basse con al volante Olivier Gendebien e Phil Hill. Il suo telaio era nel frattempo stato rinumerato in #0808.

Al termine della stagione fu acquistata dallo stesso Pedro Rodriguez che era stato spesso al suo volante fin dalla Targa del '61.
Nel '63 corse due gare: la 12 ore di Sebring con Pedro e Baffo Hill in cui si classificò in terza posizione e la 24 ore di Le Mans con Penske al posto di Hill ed iscritta da Chinetti. In questa gara si ritirò per incidente dopo circa 8 ore.
Fu la sua ultima corsa.

Venduta allo stesso Chinetti e da questi girata ad un collezionista giapponese, la vediamo riapparire nell'episodio di Fellini del film "Tre passi nel delirio". L'alcolizzato attore Toby Dammit, magistralmente interpretato da Terence Stamp, la conduce in una folle e tragica corsa per le notturne strade di Roma: è stata ricarrozzata da Fantuzzi in un color oro mozzafiato.
Fa ancora una fugace apparizione in un film con Lando Buzzanca.

Da qui la storia si complica e si contorce su sè stessa.
Una fonte la vuole nuovamente ricarrozzata da Fantuzzi come berlinetta (ma probabilmente ci si confonde con una 330LMB ricarrozzata da Drogo) e poi nel '74 rivenduta a Bardinon che la ripristina come era alla vittoriosa Le Mans del '62.
Negli anni '80 però fa bella mostra di sè con la versione spider di Fantuzzi a molti raduni Ferrari. Ora è dipinta in rosso, ma molti appassionati storcono il naso asserendo che è una replica.
Nel 2002 però riappare al raduno di Monterey. E' esattamente come ai piedi del podio di Le Mans '62. Non tutti però sono certi sia l'originale.

Le mie ricerche finiscono qui: se qualcuno ha qualcosa d'aggiungere, lo ringrazio in anticipo.

 

Citazione di: "eddiesachs"

Secondo me l'osservazione di DanieleSkywalker che riporto: "Infatti nel libro di Oscar Orefici si dice che Ferrari vide le Packard 12 cilindri (quindi non penso le stesse che correvano ad Indianpolis) degli alti ufficiali americani durante la prima guerra mondiale, quindi presumibilmente prima del 1919." è verosimile, ma Enzo Ferrari potrebbe aver visto le Packard 12 cilindri anche nel 1919, se non addirittura dopo.

In effetti, verso la fine della prima guerra mondiale a Milano c’era un comando dell’esercito degli Stati Uniti, inoltre c’era pure una missione militare aeronautica americana in quanto a Taliedo venivano costruiti i trimotori Caproni da bombardamento, alcuni dei quali erano utilizzati dall’aviazione degli Stati Uniti. Questa missione militare rimase a Milano anche nel 1919. Mio nonno (classe 1896) faceva il portaordini a Taliedo e si ricordava appunto di questo andirivieni degli americani fra Taliedo e il centro della città. Più o meno in quel periodo Enzo Ferrari trovò lavoro alla CMN di Via Vallazze, per cui potrebbe benissimo aver visto per le vie di Milano le Packard 12 cilindri.

In aggiunta a questo fatto, ricordo di avere letto su Auto d’Epoca di una quindicina d’anni fa che Enzo Ferrari si era ispirato anche alla Packard V12 della Contessa Maria Antonietta Avanzo, che la utilizzò in qualche gara del primissimo dopoguerra, non solo in Italia ma anche all’estero (se non ricordo male Circuito del Mugello, Targa Florio e Chilometro Lanciato di Ostenda).
Scusate se qualche informazione è imprecisa, ma sto citando a memoria e per ora non ho la possibilità di verificare. Comunque il succo è questo.

Citazione di: "sundance76"

Ecco cosa scrive Enzo Ferrari nel suo "Le briglie del successo":

"... il dodici cilindri è un motore che ho sempre vagheggiato, ricordando di avere visto le prime fotografie di un dodici cilindri Packard che corse a Indianapolis nel lontano 1914.
Nell'immediato dopoguerra avevo anche avuto occasione di osservare dei nuovi Packard sulle magnifiche automobili degli ufficiali superiori americani; e una 12 cilindri, ricordavo, era la macchina americana acquistata da Antonio Ascari, nel 1919, che poi cedette a Maria Antonietta Avanzo, prima coraggiosa donna pilota del dopoguerra (1° guerra mondiale, n.d.s.).
Ho sempre avuto simpatia per l'armoniosa voce di questo motore e confesso che il fatto che una sola casa al mondo, allora, costruisse un dodici cilindri, mi sollecitò ad imitarla. Alcuni anni dopo la Packard abbandonò il dodici cilindri e io rimasi solo. Fui molto criticato, si preconizzò la mia fine, l'esperimento fu giudicato troppo azzardato e presuntuoso...".

Citazione di: "Pedro59"

Al solito posso solo aggiungere qualche annotazione relativa all'attività "corsaiola" della 330 LM TRI.
Non piacque molto a Olivier Gendebien che nelle sue memorie (che fecero, oh sorpresa, infuriare il Drake) la descrive "una Citroen 2CV col motore di una Ferrari, non era nemmeno il caso di parlare di tenuta di strada".
Gendebien era un bel tipo, e si tolse molti sassolini in quel libretto scritto col veleno, ma anche Phil Hill parlò dei problemi avuti con la frizione.
Pare infatti (Mastro Power qui tocca a te...) che "per questioni di spazio" era stato lasciato lo stesso blocco cambio-frizione della 250 TR (non so nemmeno se fosse possibile, "relata, refero"...) e la frizione cominciò a slittare molto prima del traguardo. "Trattala come fosse legata col filo di un ragnatela" pare avesse raccomandato Olivier "occhi di gatto" a Phil Hill, parecchie ore prima dello scadere delle fatidiche 24 Ore.
Comunque vinsero, qualcosa vorrà dire...
I francesi l'avevano ribattezzata la "drole Ferrari" per la sua linea inconfondibile e decisamente "retrò".
Personalmente ne vado pazzo: nella mia modesta collezione "a tema" ho le versioni che Pedro Rodriguez pilotò a Sebring e a Le Mans '63, e poi, per devozione, ho acquistato un "fuori tema": l'originale 330 TRI vincitrice a le Mans, nell'esecuzione della RedLine.
A Sebring '63 Graham Hill e Pedro finirono terzi ma avrebbero forse potuto fare meglio: alla NART, infatti,  per alleggerire "il mostro" avevano tolto i proiettori dei fari, confidando che la gara sarebbe finita ancora con la luce, in realtà causa un ritardo della partenza  Hill fu costretto a guidare parecchio tempo ...al buio.
Verità, leggenda ? Mah, certo che è bello crederci... thumbup

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Pedro, io ho avuto occasione di sedermi (da fermo) su una 250 TR. Macchina affascinante con quella sua linea strana ed i parafanghi quasi staccati dal corpo vettura. Sono esperimenti che non bisognerebbe mai fare a tanti anni dalla nascita di quelle vetture: si rischia solo di far crollare dei sogni.
La campana della frizione ingombrava l'abitacolo al punto che lo spazio per la pedaliera diventava tanto angusto che non riuscivo a capire come fosse guidabile. Vero che di scarpe porto il 44, ma non potevo schiacciare alcun pedale senza prender dentro quello accanto  Sad
Figuriamoci se fosse stata montata una frizione più grande.

Diciamolo chiaramente ed una volte per tutte: le Ferrari avevano il loro stupendo V12 e poco più.
Il Commendatore era talmente stregato da quel propulsore (al quale ha sempre creduto e che ha fatto la sua fortuna, perchè con un 6 od un 8 oggi il Cavallino non esisterebbe più o sarebbe una piccola Casa come tante altre) da volerlo ancora anteriore - contro ogni evidenza tecnica ormai assodata - quasi lo considerasse un simbolo fallico.

Se Gendebien fece infuriare il Drake con le sue considerazioni, fu perchè le mise nero su bianco e perchè aveva un carattere senza tanti peli sulla lingua, ma tanti altri si lamentarono della tenuta di strada di quei mostri e di quelli precedenti. Tu che sei un fantastico conoscitore della 1000 Miglia conosci meglio di me le considerazioni di Marzotto & C. sulle macchine (anche vincenti) del Cavallino.

Comunque il paragone del buon Olivier mi sembra la descrizione migliore si potesse dare di quel mostro tanto brutto da apparire bello  001_rolleyes
Che abbia vinto è certamente un merito più dei piloti, che riuscirono a portarla al traguardo con una guida sulle uova, che della vettura in sè: in quella LM del '62 la concorrenza era veramente pari a zero  Wink

Occhio però: il Drake spesso fingeva di arrabbiarsi perchè "doveva". Era innamorato delle sue creature, ma non così cieco o tonto da non conoscerne i difetti  Cool

P.S.
Fu proprio per una lite sulla debolezza della frizione che Ferruccio Lamborghini passò da cliente Ferrari a concorrente.

- Cosa ne vuoi sapere te di meccanica fine! Al massimo puoi parlarmi di trattori!
- Vabbè, allora le tue macchine di m. guidatele tu che io mi faccio la mia!

Menomale che erano due tipi sanguigni: sennò ci saremmo persi la casa del Toro  001_rolleyes

 

Citazione di: "Pedro59"

Beh per tutte vale la dichiarazione di Gigi Villoresi, un altro che non le mandava a dire alla vigilia della Mille Miglia del '51 che avrebbe poi vinto.
Minacciava pioggia e qualcuno chiese a Villoresi cosa pensava di correre sul bagnato.
Gigi rispose testualmente:-"noi della Ferrari corriamo sempre sul bagnato, anche quando è asciutto...".
E che dire della "750 Monza" ?
In sudamerica l'avevano ribattezzata "la fabrica de viudas" (la fabbrica delle vedove)
Munaron, un altro che non la manda a dire, racconta che "...col 3000 (la 750) il telaio si torceva come una tagliatella, mentre con il 2000 (la 500 Mondial) le Maserati ti mangiavano vivo..."
Beh, Power, il V12 della Ferrari è e resta un mito, sono d'accordo con te.
Mi vengono in mente le parole di Lauda che cito a memoria (sono in treno e torno da Roma dove mi hanno fatto perdere tempo e pazienza...) : "..l'incoerenza (?) è caratteristica della Ferrari, come il motore a 12 cilindri"

 


 

Lunedì 21 luglio 1969

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Lunedì 21 luglio 1969
Mi presento per l'esame di "Analisi 2" l'ultimo che mi son lasciato indietro del biennio. Mi seggo e, dopo avermi squadrato un po', il prof. Rodriguez mi dice:
- Mi parli dell'argomento che vuole.
Il Rodriguez era soprannominato Gimmy perchè sembrava il gemello di uno dei 3 Porcellini ed anche perchè agli esami era un vero porco: a volte fisionomia e carettere combaciano 001_rolleyes Mi spiaceva portasse lo stesso cognome di Pedro che al sabato (già, a quei tempi le competizioni sportive nel Regno Unito non si disputavano alla domenica) aveva corso con poca fortuna il GP di Silverstone con la Ferrari: si era ritirato per la rottura del motore mentre lottava tra la settima e l'ottava posizione contro la Lotus dell'odiato amico Siffert.
Miglior sorte non era certo toccata al caposquadra Amon, già fermo da una quindicina di giri per aver triturato il cambio. Sceso dalla vettura aveva deciso che quella sarebbe stata la sua ultima gara col Cavallino e così fece perdendosi la 312B dell'anno dopo  Cry

Io intanto scelgo il primo argomento che viene in mente.
Gimmy è sudaticcio e, tra brillantina e dopobarba dolciastro, emana un odore disgustoso. Mi guarda e dice:
- Ah, viene a sfidarmi sul mio terreno!
Lo guardo senza capire e lui prosegue:
- Non sa che questo è il mio cavallo di battaglia? Quello che uso per mandare a casa gli studenti svogliati? - E intanto ghigna.
Mi sento fortunato come Amon  Shocked
- Vuole cambiare? - fa ancora lui con aria di sfida mentre alita sugli occhiali per poi pulirli con un fazzoletto sporco.
- No, grazie. - faccio io che ho sempre avuto un carattere in cui l'orgoglio non fa difetto quando mi si provoca. E intanto so di essermelo messo in quel posto  Undecided

Resisto più di un'ora (più di quanto Amon e Rodriguez insieme  Sad ) sputando sangue e sudore e rispondendo stoicamente agli attacchi di Gimmy. I compagni che assistono sussurrano stupore per quanto io sia preparato: ho risposto a tutto, anche azzeccando al momento risposte che fino ad un attimo prima non sapevo di sapere.  Cool

Gimmy però scuote la testa chiudendo il libretto ed io capisco che per me è finita: quando il potere ti vuole fottere, ti fotte.  Angry
- Meglio si ripresenti a settembre, le avevo detto di non sfidarmi. E poi lei ha gli occhi gonfi e l'aria di chi ha dormito poco stanotte. Donnine? Avrebbe fatto meglio a riposarsi! e ghigna.
M'impegno per non mettergli le mani addosso, respiro a fondo, conto fino a dieci e intanto m'infilo il libretto nella tasca della giacca.
- Vede caro professor Rodriguez, se non lo sa stanotte l'uomo è sbarcato sulla Luna: una cosa un po' più importante delle sue equazioni. Comunque, per sua informazione, a me non serve pagare le donne. - e calco sul me per chiarire meglio il concetto.  Cheesy


La notte prima l'avevo passata in bianco. Già dal pomeriggio ero attaccato al televisore, i libri di "Analisi 2" abbandonati sulla scrivania.
Verso le 2 di notte atterrarono, ma dovetti aspettare un altro paio d'ore per assistere al primo passo sul suolo lunare. Intanto correvo tra la sala e la camera da letto e, naso all'insù, guardavo la Luna: "Oddio, siamo veramente lassù!"
L'adrenalina, più ancora dei caffè, mi aveva tenuto sveglio. Poi una doccia e via per l'esame.

Venerdì 17 aprile 1970
Due giorni dopo Ickx e Oliver sarebbero scampati ad un impressionante rogo nel corso del primo giro a Jarama, ma io non potevo ancora saperlo.
Sono all'Odeon per un concerto dei Rokes.
Siamo a metà serata e Shepstone si è appena esibito in una rullata tra i piatti con la sola bacchetta destra Tongue
Ora stanno eseguendo "If I were a carpenter" in versione originale. Un ragazzo esce dalle quinte, si avvicina a Shapiro e gli sussurra qualcosa all'orecchio. Subito Shel si volge agli altri del gruppo e fa segno di fermarsi. Si avvicina al microfono ed interrompe il silenzio stupito della sala con queste parole dette nel suo italiano strano che ancora oggi sfoggia:
- Mi hanno appena detto che Apollo 13 (e 13 lo pronuncia proprio "thirteen") è ammarata e che l'equipaggio è salvo! thumbup
L'Oden esplode in un grido di gioia, i ragazzi si abbacciano felici. Una ragazza, la fila davanti alla mia, scoppia a piangere. Non è l'unica: tutti abbiamo gli occhi umidi  blush

So che la maggior parte di voi non erano ancora nati o troppo piccoli per poter ricordare e so che oggi molti negano che l'uomo sia mai stato sulla Luna.
Ma a me non frega nulla: io c'ero, ci credevo e ci credo ancora.

 


 

Il più bel complimento

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Se c'è una persona che considero speciale è proprio Forghieri, ma questo l'avrete già capito  blushing

Se aveva un punto debole (forse) era nell'aerodinamica, eppure proprio in questo campo a volte aveva delle intuizioni incredibili: martello, pinze, cesoie e .......... le modifiche funzionavano. A volte prendeva da parte il Borsari di turno, faceva uno schizzo su un fogliaccio rimediato lì e gli diceva: "Dai, fammi un'ala così per domani che scendiamo di un secondo!" E il più delle volte funzionava  scared

Una volta mi disse: "A te capita di capire la soluzione di un problema con la fantasia e te ne freghi della logica: in questo mi somigli." Credo sia il più bel complimento che mi sia mai stato fatto.  blush

A volte penso quanto sarebbe stato un bene per la Ferrari se Dallara non l'avesse lasciata perchè si sentiva oppresso da Chiti. O forse no perchè lui e Furia si sarebbero pestati i piedi. Non ho mai parlato di questo con Mauro: a volte si ha paura di ricevere la risposta che non si vorrebbe sentire  001_rolleyes