Ultimamente ho avuto la fortuna di acquistare un libro che è salito di colpo fra i miei preferiti, si tratta di "Gli Indisciplinati " di Luca Delli Carri, pubblicato da Fucina Editore .
Ai link suddetti potete vedere nei dettagli di cosa tratta tale libro del quale consiglio vivamente l'acquisto in modo da conoscere tutti quegli aspetti che purtroppo data la nostra età non abbiamo potuto apprezzare dal vivo.
Brevemente posso anticiparvi che tale opera parla della vita e della morte di cinque giovani piloti Ferrari, ma vediamo dalle note dell'autore una parte della presentazione:

"...Mezzo secolo fa, in una manciata di anni compresa fra il 1957 e il 1959, cinque giovani piloti della Ferrari persero la vita a bordo della loro auto. I loro nomi vivono ancora oggi nella memoria di alcuni e nell’immaginario di molti. Si chiamavano Eugenio Castellotti, Alfonso Portago, Luigi Musso, Peter Collins, Mike Hawthorn. Erano bravissimi, migliori delle loro macchine. Erano spavaldi, snobbavano la paura.
Un’Italia insaziabile di eroi li venerava, attendendoli per ore ai bordi delle strade. Loro sfrecciavano come missili, rischiando semplicemente tutto al volante di un mezzo assai più potente che sicuro, lanciando l’auto verso quel punto di rottura che non apparteneva al motore ma alla somma di circostanze che siamo soliti chiamare fatalità. Questa ricerca di un contatto con la sorte, la corsa a trecento all’ora dietro all’imprevisto, conferiva loro un’aura preziosa e inimitabile, li staccava da terra e li rendeva visibili alle folle. E alle folle apparivano anche belli, oltre che dannati...."

La copertina

Detto questo passiamo ora direttamente alla voce dell'autore del libro che, contrariamente a quello che si potrebbe pensare è giovane (31) e non ha vissuto direttamente quell'epoca. Per l'occasione ho contattato Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. in modo che grazie alle sue conoscenze ed alla sua passione per il mondo della F1 di tutti i tempi ponesse le domande a Luca Delli Carri

GPX: Domanda scontata: cosa può spingere a scrivere un libro come questo? E' evidentemente un libro per appassionati puri, i ventenni di oggi hanno visto le battaglie tra Senna, Prost, Piquet e Mansell da bimbi e ne hanno vaghi ricordi. Per loro la F1 è Damon Hill, J. Villeneuve, Schumacher e Hakkinen e poco più.
Allora... perché un libro su questi piloti?

LDC: Non è un libro per appassionati puri, o almeno non solo. E' un libro di storie che hanno a che fare con le corse, con la velocità. E' un libro che un ventenne potrebbe leggere proprio perché oggi le storie di uomini coraggiosi sono state sostituite dalla prestazione di atleti-computer con la mentalità del ragioniere.

GPX: Tavoni. Come riportato nella prefazione, certe volte sembra co-autore del libro. Come è nato l'incontro con Tavoni? Un caso, o una scelta?
LDC: Prima è stato un caso, poi una scelta. Non è un co-autore, è qualcosa di più: è l'ispiratore, il motivo scatenante.

GPX: Enzo Ferrari: il libro è la storia di persone (Tavoni e "i Ragazzi") nati - sportivamente parlando - e cresciuti con questa inquietante presenza alle spalle. E spesso, addirittura davanti. Ferrari ha avuto un peso in tutte le storie che si intrecciano nel libro.
Ma allora, è un libro sui piloti, su Tavoni, oppure in realtà è solo un grande pretesto per guardare l'opera di Enzo Ferrari come non era mai stata vista?

LDC: Non è un pretesto, è un libro su cinque ragazzi e sulle persone che ruotavano loro attorno. Ma è vero che viene fuori un Ferrari inedito.

GPX: Più volte si trovano evocati episodi quasi comici, grotteschi nella loro ingenuità (tipo Portago che perde minuti su minuti in una corsa perché l'auto ha un cambio a denti dritti e lui non sa fare a usarlo!).
E' difficile per noi, abituati all'automobilismo iper-professionale di oggi, credere che potessero capitare cose così!
Ma era vero, oppure sono episodi tramandati dalla storia, ma ingigantiti dagli anni e dal passaparola?

LDC: Solo verità. Per capire l'aria che tirava, basta pensare che le auto non venivano modificate in pista: l'assetto era fatto in fabbrica, e questo valeva tanto per la Ferrari quanto per Mercedes o Vanwall.
Si può anche dire che tutto il resto era una conseguenza.

Alfonso Portago

GPX: Una morte è sempre una cosa inspiegabile. Ma a parte Portago, quelle di Castellotti, Musso, Collins e Hawthorn sembrano essere delle tragedie umane prima che errori di gara.
E' difficile, oggi, credere che in quegli anni ci fossero persone così "umane" alla guida di bolidi così potenti e così instabili quanto pericolosi.
Non è che si è voluto cercare una spiegazione anche laddove magari la verità era più prosaica ma più pratica?

LDC: Tutto può essere: incidenti che sono stati interpretati come "umani" possono essere "meccanici".
Io, sulla base di tutta la documentazione consultata e delle testimonianze raccolte, ho dato la mia versione/interpretazione dei fatti, riportando gli elementi fondamentali per supportare la mia ipotesi.
Ma si tratta appunto di ipotesi, non tesi: nessuno, e sottolineo nessuno, potrà mai dire se la macchina di Castellotti si sia rotta oppure no, se l'acceleratore di Hawthorn si sia bloccato a fondo corsa oppure no.
Certo, ci sono più dubbi per quanto riguarda Castellotti che non Musso, Collins e Hawthorn.


Luigi Musso
GPX: Parlare di Musso, Portago ma in particolare di Castellotti fa inevitabilmente ritornare ad Ascari. Nel libro si accenna al fatto, ma quanto in effetti ha pesato la morte di Ascari, per una eventuale "lotta per la successione"? Può davvero un pilota superare i limiti per voler essere quello che non è e non può essere?
LDC: Lottarono per diventare i migliori non di Ascari ma di Fangio, e fu una lotta dura.
A volte un uomo è disposto a tutto per arrivare dove vuole.

Eugenio Castellotti

 


Mike Hawthorn
GPX: Tavoni descriveva Hawthorn come un pilota diverso da tutti gli altri, più metodico, più "professionale". Il fatto che sia diventato campione del mondo, è una conseguenza di questo, oppure è perché è diventato campione che Tavoni lo ammirava più degli altri?
LDC: Credo entrambe le cose.
Comunque la personalità di Hawthorn, anche a detta di altri, era davvero travolgente, esuberante all'eccesso, perfino impegnativa.
E poi era alto e biondo, inglese più della pioggia, veloce come un fulmine e gran bevitore di birra: come si può non amare un uomo così affascinante, e così diverso da tutto quello che ci viene propinato oggi come prototipo dell'uomo di successo?

GPX: Grazie per averci concesso l'itervista e a presto....
LDC: Vi ringrazio per la vostra lettura attenta e incuriosita.
Per me un libro che toglie tutti i dubbi è un libro noioso: bisogna lasciare sempre uno spazio alla fantasia, all'interpretazione di chi legge.
Buon lavoro e saluti a voi.

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