FORMULA 1 A STELLE E STRISCE

Alla riscoperta dell’America

 

INTRODUZIONE

 

Domenica 19 giugno 2005 la Formula 1 ha scritto una nuova e importante pagina nera della sua celebre Storia agonistica. I fatti di Indianapolis, che hanno riempito pagine e pagine di Cronaca di Automobilismo Sportivo, riaccendono nuove polemiche e riaprono nuovi scenari negli Stati Uniti.

 

In questo articolo, una completa analisi di amplio respiro, ripercorreremo la Storia della Formula 1 in terra americana dalle origini sino ai giorni nostri. Cercheremo dunque di riprendere e di capire quale è stato sinora il delicato rapporto Formula 1 – USA.

 

Una documentazione completa e dettagliata, fotografie (in alcuni casi inedite), mappe dei circuiti, tabelle e schemi sintetici ci aiuteranno a capire meglio e ad approfondire a fondo questo difficile e complesso tema che merita di essere trattato con estrema attenzione.

 

Se avete domande, dubbi, considerazioni personali, critiche (o eventuali temi di cui vi piacerebbe approfondire), potete contattarmi tramite il mio nuovo indirizzo di posta elettronica: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

 

Mattia Albera

 

1 – INDIANAPOLIS 1950-1960 Atto I°

       Verso un Mondo lontano

 

Indianapolis Motor Speedway, pista ovale

 

Località: Indianapolis;

Stato: Indiana;

Tipologia tracciato: pista ovale;

Primi utilizzi: 1909;

Prima gara di Formula 1: 1950;

Lunghezza: 4023,4 m

500 Miglia disputate: 11

Edizioni: 1950 – 1960

Record sul giro in gara:

J. Rathman, 1’01”590,

1960, Watson-Offenhauser

Record distanza in gara:

J. Rathman, 200 giri in 3.36’11”360, media 223,320 km/h, 1960, Watson-Offenhauser

Pole Position:

E. Sachs, 4’05”580,

1960, Ewing- Offenhauser

 

Il Campionato del Mondo di Formula 1 nasce nella primavera del 1950, quando la ricostruzione successiva alla distruzione provocata dalla Seconda Guerra Mondiale sta lentamente lasciando il posto ad un ancor modesto ma sicuro nuovo benessere. In realtà, più che un Campionato del Mondo sarebbe più esatto parlare di un Campionato Europeo, visto che sei delle sette gare in programma si svolgono su circuiti del vecchio continente.

 

Una sola viene disputata al di fuori dell’Europa: la 500 Miglia di Indianapolis. Il celebre impianto catino del “Brickyard”, chiamato così per la prima pavimentazione di 13 milioni di mattonelle (dall’inglese “brick” mattone), viene costruito nel 1909 sotto l’impulso del magnate locale Carl G. Fisher a Indianapolis, Capitale dello Stato dell’Indiana. Nel 1911 viene istituita la celebre corsa 500 Miglia di Indianapolis che ancora oggi viene disputata nell’ultima domenica di maggio. La prima Edizione della corsa automobilistica più antica del Mondo (e ancora in vigore) viene vinta dal pilota americano Ray Harroun (Marmon Wasp), la cui monoposto monta un inedito specchietto retrovisore, il primo della Storia dell’Automobile. La pista è un semplice catino di forma ovale dove le monoposto girano in senso anti-orario.

 

 

Sopra: Il leggendario circuito ovale di Indianapolis;

 

La gara viene inserita nel Calendario di Formula 1 per undici Stagioni dal 1950 al 1960 per dare una connotazione “Mondiale” al primo Campionato di Formula 1 del dopoguerra. Questa decisione fu presa per tentare di avvicinare due Mondi molto diversi e due Categorie che tecnicamente erano agli antipodi, vivendo di Regole proprie sia a livello tecnico sia a livello sportivo. Ma, durante l’arco di un decennio, la 500 Miglia di Indianapolis è disertata da automobili e piloti europei e corsa solamente da automobili e piloti americani che, a loro volta, partecipano solamente a questo appuntamento nell’ambito dell’intero Campionato di Formula 1. Le Case Automobilistiche e la maggior parte dei piloti nutrono uno scarso interesse per la classica corsa sul Catino dell’Indiana. Realizzare una macchina per Indianapolis era inoltre troppo dispendioso. Spesso, inoltre, il Memorial Day coincideva con altre corse del Mondiale di Formula 1. La partecipazione durante questo periodo di monoposto e piloti europei rappresentano dei casi isolati.

 

Il primo a tentare l’impresa di Indianapolis sono il pilota milanese Alberto Ascari, Campione del Mondo di Formula 1 in carica, e la Scuderia Ferrari. Il pilota italiano prende infatti il via della 500 Miglia di Indianapolis Edizione 1952. La partecipazione alla corsa è un vezzo della Ferrari, che ha da poco iniziato, insieme a Luigi Chinetti, la propria presenza commerciale sul Mercato Automobilistico degli Stati Uniti. Chinetti, importatore ufficiale delle vetture di Maranello in America, ha insistito con il Drake di Maranello Enzo Ferrari perché l’ingegnere desse il proprio assenso alla spedizione. Ferrari ha tergiversato, ma alla fine, nonostante non ne fosse completamente convinto, ha dato il via libera al progetto, forse per accontentare Alberto Ascari, che desiderava in maniera particolare di poter partecipare alla 500 Miglia. Ascari è per molti versi l’erede del celebre Asso Tazio Nuvolari, che nel 1936, al volante di un’Alfa Romeo schierata dalla Scuderia Ferrari, aveva vinto la Coppa Vanderbilt a New York. Ma per quanto il Mondo americano delle corse non sia all’altezza di quello europeo, e questo è uno dei motivi per cui Ferrari non riesce a capire l’interesse di Chinetti e Ascari alla 500 Miglia, le cose, nel 1952, sono cambiate rispetto al 1936. Ferrari dà il benestare all’operazione, ma non stanzia che il necessario per andare, possibilmente per fare bella figura e tornare. Enzo Ferrari spedisce la monoposto, ma non i pezzi di ricambio e i materiali necessari a operare qualsiasi intervento su essa, anche il più elementare. Con Ascari prendono la via dell’America il Direttore Sportivo della Scuderia, il “maestro” Nello Ugolini, il Direttore Tecnico Aurelio Lampredi, il Capo meccanico Meazza e due meccanici. L’occorrente l’avrebbero trovato sul posto grazie alla collaborazione e alle conoscenze di Chinetti e di Bob Gruccione, un altro italiano d’America.

 

 

Sopra: Il pilota milanese Alberto Ascari al volante della sua Ferrari 375 “Special” sul mitico circuito di Indianapolis;

 

Arrivati a Indianapolis, Ascari e gli uomini Ferrari, che in Europa sono autentici idoli delle folle, vengono accolti dall’indifferenza generale. La livrea della 375, ribattezzata per l’occasione “Ferrari Special”, è riservata agli sponsor che la squadra saprà trovare in America. Ferrari non ha mai amato, sulle proprie automobili, altri marchi al di fuori di quello della sua fabbrica, ma la spedizione deve in qualche modo autofinanziarsi. Tuttavia, il disinteresse generale nei confronti della Ferrari non porta alcuno Sponsor e Ferrari fa dipingere, sul cofano della 375, la scritta “Ferrari Special” a caratteri cubitali. Le altre monoposto, naturalmente, sono autentici puzzle di scritte e marchi multicolori. In Prova Ascari riesce a strappare soltanto la diciannovesima miglior prestazione sulle 33 ammesse alla gara. Per lo schieramento di partenza a Indianapolis, e anche questa è una differenza rispetto alla parte europea del Campionato di Formula 1, non si tiene conto del miglior tempo sul giro, ma della velocità media su quattro giri consecutivi del circuito. La velocità di Ascari su quattro giri è di 216.147 chilometri all’ora, mentre quella di Fred Agabashian, autore della prestazione migliore al volante del modello Kurtis-Cummins, è di 222.105 chilometri all’ora. Ma le qualità e la classe del pilota italiano emergono comunque: Ascari compie quattro giri praticamente identici, in cui lo scarto fra il tempo più veloce e quello più lento è di 14 centesimi di secondo.

 

 

A lato e sopra: La preparazione ai box della Ferrari 375 “Special” alla Leggendaria “500 Miglia di Indianapolis” Edizione 1952;

 

Il giorno della gara, come d’abitudine, l’Autodromo di Indianapolis è invaso dalla chiassosa ma composta folla di sportivi americani. Pregustano tutti le quattro ore di spettacolo che li aspettano e quasi nessuno fa caso alla Ferrari di Ascari in settima fila. La Gara del pilota italiano non dura che 37 minuti. Nel corso del 41° giro, infatti, il mozzo posteriore destro della “Ferrari Special” si rompe e la ruota si sfila. Ascari è in quel momento in ottava posizione, dopo una prima parte di gara accorta in cui la sua esperienza gli ha permesso di recuperare molte posizioni. La sua Ferrari, come impazzita, si gira su se stessa e viene miracolosamente evitata dalle monoposto che, a una certa distanza, lo stanno inseguendo. Termina la sua corsa nel prato all’interno del “catino”. Per la cronaca vince Troy Ruttman su Kuzma motorizzata Offenhauser. Per il giovanissimo pilota americano è il trionfo, ma l’affermazione nella 500 Miglia di Indianapolis 1952 gli assegna anche un Record di cui allora forse poco sa: a 22 anni, 2 mesi e 19 giorni, Ruttman è il più giovane vincitore di una gara del Campionato del Mondo di Formula 1. Il suo Record verrà battuto solamente al Gran Premio d’Ungheria 2003 quando a vincere sarà lo spagnolo Fernando Alonso, più giovane del pilota americano.

 

 

Sopra: Partenza della 500 Miglia di Indianapolis Edizione 1952;

 

 

Sopra: Alberto Ascari, in borghese, in Griglia di Partenza accanto alla sua Ferrari 375 “Special”. Purtroppo il pilota milanese sarà costretto al ritiro al 41° passaggio a causa del cedimento del mozzo posteriore destro della sua vettura;

 

 

Sopra: La Ferrari di Ascari viene riportata ai box dopo essersi ritirata alla corsa. Il pilota americano Troy Ruttmann (vincitore della gara) in seria difficoltà ai box con problemi al motore;

 

Quattro anni dopo, Enzo Ferrari, che vuole tornare a vincere sia in Formula 1 sia nelle gare di durata, fa grandi progetti per il futuro. Pianifica di correre a Indianapolis, equipaggiando con un proprio motore una monoposto americana. L’operazione, che deve essere sponsorizzata dall’Azienda di lubrificanti Bardahl, prevede il veterano Giuseppe Farina, primo Campione del Mondo di Formula 1, come primo pilota. Il progetto, dopo due anni di tentativi, sarà presto abbandonato. Nel biennio 1956/57 Farina tenta per due volte di seguito l’avventura di Indianapolis, ma la morte del compagno di Squadra in Prova e la scarsa competitività della monoposto lo inducono a lasciare definitivamente le corse al termine di una lunga Carriera.

 

 

Sopra: Bob Sweikert (Stati Uniti), vincitore della 500 Miglia di Indianapolis Edizione 1955 al volante del modello Kurtiss Kraft-Offenhauser;

 

Nel 1958, il cinque volte Campione del Mondo di Formula 1, l’argentino Juan-Manuel Fangio, accetta la sfida che gli lancia un giornalista americano e decide di partecipare alla 500 Miglia di Indianapolis. Per Fangio si tratta di difendere il proprio onore: il Direttore della rivista americana “Indianapolis 500 Yearbook”, Floyd Clymer, lo accusa di non essere un vero Campione del Mondo di Formula 1 dal momento che non si è mai cimentato sul velocissimo catino dell’Indiana. Fangio probabilmente lascerebbe cadere la sfida nel vuoto se Giambertone, che di fatto è il suo Manager, non accettasse per lui. Uomo di grande coraggio una volta al volante della sua automobile, Fangio non mostra sempre lo stesso temperamento e la stessa lungimiranza al di fuori dell’abitacolo. La complessità del rapporto con Giambertone lo conferma appieno. Forte dell’appoggio incondizionato di Andreina, la compagna di Fangio, Giambertone si muove dentro e fuori la vita del Campione argentino con una libertà e un’autonomia sorprendenti. L’esperienza di Fangio alla 500 Miglia di Indianapolis del 1958 si rivela avvilente. La vettura è obsoleta e l’assistenza tecnica che Giambertone ha allestito in loco degna della monoposto. È un’avventura destinata a finire prima ancora della disputa della gara, cui Fangio non partecipa a causa di contrasti tra due aziende produttrici di carburante, che vantano entrambe diritti sull’esclusiva del pilota argentino. Unica soddisfazione è il superamento a pieni voti dell’esame riservato a tutti i rookies, i piloti alla loro prima partecipazione alla 500 Miglia, solitamente giovani alle prime esperienze.

 

La documentazione, dati e informazioni sulle undici Edizioni della 500 Miglia di Indianapolis dal 1950 al 1960 sono molto scarse. La maggior parte dei libri riguardanti la Storia della Formula 1 sono propensi ad ignorare quasi completamente questo evento. Molti esperti ritengono, a ragione o a torto, che quelle gare non abbiano avuto niente a che vedere con le vicende della Formula 1, pur non discutendo la loro importanza nella Storia dell’Automobilismo Sportivo. Personalmente, non sono d’accordo. La 500 Miglia di Indianapolis è stata considerata per un decennio a tutti gli effetti una corsa di Formula 1 valida per l’assegnazione del Titolo Mondiale, quindi inserita nel Calendario Ufficiale pubblicato dalla Federazione Internazionale dell’Automobile. Del distacco e della lontananza tra queste due categorie non si discute. Ma l’importanza e il prestigio della 500 Miglia di Indianapolis non deve venir meno rispetto ad altre gare di quel periodo.

 

2 – SEBRING 1959

       Il Mondo è Americano

 

Sebring International Racing Circuit, autodromo

 

Località: Sebring;

Stato: Florida;

Tipologia tracciato: autodromo;

Primi utilizzi: 1950;

Prima gara di Formula 1: 1959;

Lunghezza: 8.369 km / 5,200 m

Gran Premi disputati: 1;

Edizioni: 1959;

Record sul giro in gara:

M. Trintignant, 3’05”000,

1959, Cooper-Climax

Record distanza in gara:

B. McLaren, 42 giri in 2.12’35”700, media 159 km/h, 1959, Cooper-Climax

Pole Position:

S. Moss, 3’00”000,

1959, Cooper-Climax

 

Per la prima volta dall’istituzione del Campionato del Mondo di Formula 1, nel 1950, il Gran Premio degli Stati Uniti non è più organizzato solo ed esclusivamente sulla pista di Indianapolis. L’ultima gara conclusiva del Mondiale di Formula 1 1959 è in programma sull’Autodromo ex aeroporto militare di Sebring, in Florida. Nel biennio 1959/60 il Calendario delle gare di Formula 1 si articola su due circuiti americani: Indianapolis e Sebring (poi in seguito Riverside).

 

Il circuito, insieme a Daytona, sono  due circuiti più della Florida più famosi in tutto il Mondo. Venne creato nel 1950 dall’uomo d’affari americano Alex Ulmann, che rilevò il vecchio impianto aeroportuale di Hendrick Field. Ricavato utilizzando le piste di un aeroporto e alcune stradine d’accesso interne, il circuito di Sebring tuttavia era scandente in termini di infrastrutture e si trovava in mezzo alla campagna paludosa delle Everglades, tra coccodrilli e zanzare. La pista era fantasticamente larga, irregolare, lunga e uniforme. Ma sono proprio questi elementi che trasmettono il senso del passato. Sebring ospitò solamente l’Edizione 1959 del Gran Premio valido per il Titolo Mondiale. Su questo impianto, ancora oggi, si disputa la “12 Ore di Sebring” riservata alle vetture Sport, un classico delle gare di durata a cavallo tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta. Sebring ha cambiato il proprio aspetto due volte (1966 e 1987), cercando di adeguarsi ai tempi. Chiuso per qualche tempo negli anni Novanta, ha ripreso ad organizzare competizioni con una diversa planimetria.

 

La gara prende il via il 12 dicembre quando in Europa è sera. In Florida, sotto il cielo del dolcissimo autunno tropicale, sono soltanto 15.000 gli spettatori paganti che hanno deciso di assistere al primo Gran Premio degli Stati Uniti valido per il Campionato del Mondo a cui partecipano tutte le monoposto di Formula 1. In maggio, per la penultima 500 Miglia di Indianapolis, gli spettatori erano oltre 200.000. La lotta per il Titolo Mondiale è ancora aperta, e i tre contendenti sono il pilota australiano Jack Brabham (Cooper-Climax), favorito numero uno per la corsa allo scettro iridato, il pilota britannico Tony Brooks (Ferrari) e il pilota inglese Stirling Moss (Cooper-Climax). La Pole Position è appannaggio di Moss, mentre Brooks fu relegato in quarta posizione subito prima del via, quando Harry Schell disse che aveva girato solo qualche frazione di secondo più lento di Moss. In seguito Schell avrebbe ammesso di aver tagliato la pista, ma in quel momento il giornalista di Autosport Gregor Grant disse: “Sembrava proprio una zuffa da strada, con le majorette che danzavano, mentre Schell sbraitava a Tavoni, della Ferrari, e Moss e Brabham cercavano di restare seri!” Al via Brooks parte bene e per qualche chilometro alimenta le speranze della piccola spedizione modenese capeggiata dal Direttore Sportivo Romolo Tavoni. Ma, poco dopo la metà del primo giro del piatto circuito con curve squadrate e larghe di Sebring, la sua Ferrari esce di pista ed è costretta ad una lunga sosta ai box. Perderà tempo prezioso e non sarà mai in lotta per il Titolo. La Corona Mondiale diviene così un affare privato a due tra Brabham e Moss. Ma, al quinto passaggio dei 42 in programma, l’ennesimo guasto meccanico alla trasmissione della Stagione costringe Moss alla resa. “Black Jack” prosegue senza problemi.

 

In alto: Bruce McLaren, vincitore del Gran Premio degli Stati Uniti 1959 a Sebring;

 

 

Sopra: Partenza del Gran Premio degli Stati Uniti 1959 a Sebring;

 

 

Sopra: Jack Brabham (Cooper-Climax n°8) impegnato al limite sulla pista di Sebring negli Stati Uniti, Prova conclusiva del Campionato del Mondo di Formula 1 1959;

 

Al 42° giro la bandiera a scacchi saluta la prima vittoria del giovane pilota ventiduenne neozelandese Bruce McLaren (Cooper-Climax), davanti a Trintignant e Brooks, che ha dato vita ad un entusiasmante rimonta. Jack Brabham conquista il suo primo Titolo Mondiale ma all’ultimo giro ha dovuto spingere la sua monoposto per un lungo tratto del percorso, tagliando il traguardo al quarto posto. Giunto ai box, Brabham si congratula con McLaren e poco dopo sviene a terra per la fatica ma viene risollevato dai suoi meccanici. La folla impazzì. I fotografi ripresero la scena e Brabham finì sulle più importanti riviste dell’epoca. La Formula 1 era diventata internazionale.

 

 

Sopra: Bruce McLaren (Cooper-Climax n°9) in azione sul circuito di Sebring in Florida;

 

 

 

Sopra: Il nuovo Campione del Mondo di Formula 1 Jack Brabham crolla a terra sfinito subito dopo la conclusione del primo Gran Premio degli Stati Uniti di Formula 1 a Sebring. Il pilota australiano ha infatti spinto la sua monoposto a piedi per completare l’ultimo giro della corsa. Il compagno di Squadra, il neozelandese Bruce McLaren, si aggiudica la sua prima vittoria in Formula 1;

 

3 – RIVERSIDE 1960

       Sitting on the dock of the bay

 

Riverside International Raceway, autodromo

 

Località: Riverside;

Stato: California;

Tipologia tracciato: autodromo;

Primi utilizzi: 1957;

Prima gara di Formula 1: 1960;

Lunghezza: 5.370 km / 3,275 m

Gran Premi disputati: 1;

Edizioni: 1960;

Record sul giro in gara:

J. Brabham, 1’56”300,

1960, Cooper-Climax

Record distanza in gara:

S. Moss, 75 giri in 2.28’52”200, media 159,300 km/h,

1960, Lotus-Climax

Pole Position:

S. Moss, 1’54”400,

1960, Lotus-Climax

 

Il 1960 è un anno decisivo per la Formula 1 in America. La 500 Miglia di Indianapolis viene inserita per l’ultima volta nel Calendario del Mondiale di Formula 1, mentre la sede del Gran Premio degli Stati Uniti viene spostata sulla costa occidentale a Riverside (California). Nonostante il continuo cambiamento di circuiti, il futuro della Formula 1 in America si prospetta alquanto roseo. Gli organizzatori statunitensi, attratti dalla massima Categoria dell’Automobilismo Sportivo, sono alla ricerca di un circuito dove istituire la Sede fissa del Gran Premio degli Stati Uniti, ma Riverside si rivela ancora una volta la scelta sbagliata.

 

Dopo Sebring l’anno precedente, la Formula 1 andò a disputare il Gran Premio degli Stati Uniti a Riverside, autodromo costruito nel 1957 dalle parti di Los Angeles. Riverside coniuga il cocente sole californiano a un paesaggio polveroso e deserto.  La pista era abbastanza interessante con un tratto veloce, alcune esse e curve di ritorno. Il tracciato faceva parte di un complesso che ospitava tra l’altro gare di stock-car e comprendeva un rettilineo per le accelerazioni dei dragsters. Come Sebring, Riverside era scandente in termini di infrastrutture e servizi. Dopo allora, il circuito ha vissuto una Stagione d’oro con le corse statunitensi: Nascar, Formula Indy e le Sport-prototipo della Serie Imsa. Nel 1988, per motivi di speculazione edilizia, l’impianto fu chiuso.

 

Il 20 novembre 1960 si chiude l’ultima gara della Stagione 1960 che decreta la fine della Formula a 2.500 cavalli: dall’anno successivo, le monoposto monteranno motori di cilindrata non superiore ai 1.500 cavalli. Una Formula che durerà fino al 1965. È il pilota britannico Stirling Moss, partito dalla Pole Position sulla sua Lotus-Climax privata, a vincere l’ultimo Gran Premio Stagionale e l’unico disputato per la Formula 1 sul tracciato di Riverside. Sono ben 23 le vetture al via della gara ma, da parte sua, la Scuderia Ferrari disertò la corsa e l’Asso americano Phil Hill ebbe il permesso di partecipare all’evento al volante di una Cooper-Climax iscritta dalla Yeoman Credit. Il Cavallino Rampante, quell’anno, poté rifarsi con la vittoria nel Campionato del Mondo Sport. Tramonta con questa corsa anche la concezione delle monoposto a motore anteriore, troppo pesanti e poco agili rispetto alle vetture a motore centrale. Il Giro più Veloce in gara è conquistato da Jack Brabham, fresco Campione del Mondo anche per questa Stagione: un risultato che porta a due i Titoli Mondiali conquistati dal pilota australiano.

 

4 – INDIANAPOLIS 1961-1966 Atto II°

       L’Invasione Europea

 

Indianapolis Motor Speedway, pista ovale

Località: Indianapolis;

Stato: Indiana;

Tipologia tracciato: pista ovale;

Primi utilizzi: 1909;

Prima gara di Formula 1: 1950;

Lunghezza: 4023,4 m

500 Miglia disputate: 11

Edizioni: 1950 – 1960

Record sul giro in gara:

J. Rathman, 1’01”590,

1960, Watson-Offenhauser

Record distanza in gara:

J. Rathman, 200 giri in 3.36’11”360, media 223,320 km/h, 1960, Watson-Offenhauser

Pole Position:

E. Sachs, 4’05”580,

1960, Ewing- Offenhauser

Nota: I Record riportati qui sopra sono rimasti immutati rispetto alle vecchie Edizioni 1950/1960 valide per il Campionato del Mondo di Formula 1. Nel periodo preso in considerazione, compreso tra il 1961 e il 1966, la 500 Miglia di Indianapolis ha costituito gara a se rispetto alla Formula 1. Nel Capitolo 4, la 500 Miglia di Indianapolis non è inserita nel Mondiale di Formula 1 ma viene ripresa con lo scopo principale di evidenziare la partecipazione di piloti e monoposto europee alla corsa;

 

Come abbiamo visto, la 500 Miglia di Indianapolis è stata inserita nel Calendario del Campionato del Mondo di Formula 1 per undici Stagioni dal 1950 al 1960. Con pochissime notabili eccezioni, nessun europeo ha mai tentato la grande avventura per tutte le undici Stagioni in cui la 500 Miglia è stata parte integrante del Campionato del Mondo. Paradossalmente, nel momento in cui l’appuntamento americano viene finalmente tolto dalla programmazione, piloti e Case Costruttrici  impegnati in Formula 1 iniziano a nutrire un serio interesse per la classica corsa sul catino dell’Indiana.

 

Il primo a farsi tentare dall’avventura è Jack Brabham, fresco vincitore di due Campionati del Mondo di Formula 1 nel biennio 1959/60. “Black Jack” viene convinto da Rodger Ward, il vincitore della 500 Miglia di Indianapolis Edizione 1959, che nello stesso anno partecipa con una vettura del tipo Indy alla prima Edizione del Gran Premio degli Stati Uniti sul circuito di Sebring. L’ottobre successivo, dopo lo svolgimento del Gran Premio degli Stati Uniti a Riverside, John Cooper e Jack Brabham, costruttore e pilota, vanno direttamente a Indianapolis per la prima presa di contatto con il tracciato su cui, il maggio successivo, si svolgerà la 500 Miglia. Con la sua vettura di Formula 1, Brabham è subito velocissimo. L’esito del Test è positivo e Brabham prenderà il via della 500 Miglia di Indianapolis nel 1961, nella quale si classificherà al nono posto.

 

Dan Gurney raccoglie il testimone. Rispetto a Brabham,che è australiano e non aveva mai corso in precedenza negli Stati Uniti, Gurney, che è californiano, ha il vantaggio di conoscere meglio il tracciato di Indianapolis e il modo di correre dei piloti americani. Dan partecipa alla 500 Miglia di Indianapolis del 1962 al volante di una vettura a motore centrale disegnata da John Crosthwaite. Nonostante monti un motore non molto potente, l’agilità di una vettura a motore centrale consente a Gurney di stabilire l’ottavo miglior tempo in Prova e di rimanere a lungo in decima posizione durante la gara prima di essere costretto al ritiro.

 

La partecipazione di Gurney nel 1962, cosi come quella di Brabham nel 1961,è relativamente improvvisata, poco più di un tentativo romantico.Sono state prese di contatto, avventure nelle quali il tentativo di successosi è basato sull’adattamento di vetture sostanzialmente di Formula 1 alla realtà di Indianapolis. Gurney sa bene che quel che serve è  una vettura progettata espressamente per la 500 Miglia di Indianapolis. E sa altrettanto bene che l’uomo migliore per realizzarla è Colin Chapman, che in Europa ha appena rivoluzionato le corse con la Lotus-Climax 25 monoscocca. Così, nonostante egli partecipi alla 500 Miglia con una vettura progettata da un altro ingegnere, Gurney si porta con se a Indianapolis Colin Chapman perché il geniale costruttore inglese si faccia un’idea precisa di quanto è necessario fare. Quando arriva nell’Indiana, Chapman è sorpreso nel vedere automobili cosi arretrate dal punto di vista tecnologico rispetto alle monoposto di Formula 1. In breve, si convince che la tecnologia di cui dispone la sua Lotus sia sufficiente per lo studio di una vettura espressamente studiata per la 500 Miglia di Indianapolis. Gurney torna dall’Indiana con un ritiro, ma anche con la certezza che Colin Chapman si metterà subito al lavoro. Il montepremi di Indianapolis è già a quei tempi favoloso. Una vittoria nella 500 Miglia consente a un pilota e alla sua Squadra di guadagnare più di quanto lo stesso pilota e la stessa Squadra potrebbero guadagnare in un’intera Stagione di Formula 1. Ma anche nel caso che riescano a guadagnare in abbondanza – a  Indianapolis sono previsti Premi per quasi qualsiasi cosa: dalla posizione sullo Schieramento di Partenza alla Classifica Finale, dal numero di giri compiuti in testa al numero di giri compiuti e basta –, Chapman i soldi del montepremi li riceverebbe solo un anno dopo, a gara effettuata.  Nessuna Squadra di Formula 1 naviga nell’oro agli inizi degli anni Sessanta e lo studio e lo sviluppo di una vettura per Indianapolis richiedono ingenti finanziamenti.

 

Gurney mette cosi in contatto Chapman con la “Ford Motor Company”, la più grande Industria Automobilistica del Mondo. La Ford sta pensando di ritoccare la propria immagine, giudicata dagli stessi vertici Aziendali vecchia e statica, ricorrendo proprio all’Attività Sportiva. Senza saperlo, è di una persona come Chapman che l’Azienda di Detroit ha bisogno. Gurney organizza un incontro, al termine del quale la Ford si impegna a fornire il motore e a finanziare lo studio di una Lotus che parteciperà alla 500 Miglia di Indianapolis del 1963. Sono due gli esemplari della vettura per Indianapolis che Chapman costruisce. Si tratta di una monoposto nata sulla base della Lotus 25, adattata nelle dimensioni alle esigenze del catino dell’Indiana e spinta da un motore Ford a otto cilindri. Chapman la battezza come modello 29. I piloti sono naturalmente Dan Gurney, l’anima di tutta l’impresa, e l’Asso scozzese Jim Clark. Gurney è subito il più veloce in Prova. La sua media sul giro è pari a oltre 238 chilometri all’ora (o 149 miglia orarie). Nella Storia della 500 Miglia nessuno ha fino ad allora mai raggiunto una tale velocità. La gara di Gurney è sfortunata, ma Clark arriva a un soffio dalla vittoria.

 

Un anno dopo, nella primavera del 1964, la Lotus 29 è sostituita dalla Lotus 34. Ford ha rinnovato l’impegno dopo la bella Prova dell’anno precedente e Chapman questa volta non si è fatto pregare. È sempre Clark il portacolori della Lotus in terra americana. Nelle Prove Jimmy stabilisce la migliore prestazione con una media oraria Assolutamente straordinaria. Alla bandiera verde che segnala la partenza, Jimmy è subito il più veloce e si porta in testa. Non viene così coinvolto nell’incidente in cui, al secondo giro, vengono distrutte sette vetture. È una tragedia: due piloti, Dave McDonald e Eddie Sachs, perdono la vita. Al contrario di quanto succede regolarmente in Europa in queste condizioni,la gara viene fermata. Quando riprende, Jimmy accusa subito seri problemi alle gomme,che si stanno deteriorando a una velocità non ipotizzata. Poco prima del 40° giro, mentre sta uscendo dall’ultima curva del tracciato, la numero quattro, la sospensione posteriore della Lotus 34 cede sotto la spinta del battistrada che si è progressivamente consumato. La gomma si spezza e finisce esattamente sopra al motore. La vettura è completamente sbilanciata, la ruota anteriore destra, venendole a mancare l’appoggio nel retrotreno, si alza. Clark può controllare la direzione della sua vettura, lanciata a 240 all’ora, con la sola ruota anteriore sinistra. Solo la sua eccezionale abilità gli consente di non perdere il controllo della Lotus, che parcheggia all’interno della curva al termine del rettilineo di partenza non appena la velocità si riduce per inerzia. Un errore di valutazione nella scelta del tipo di copertura ha compromesso una partecipazione che si annunciava trionfante. Le indicazioni emerse dall’Edizione 1964 della 500 Miglia sono comunque incoraggianti. Clark, Lotus e Ford sono sulla strada giusta. Chapman naturalmente pensa già all’Edizione 1965, tanto più che la Ford si è impegnata a versare alla Lotus ancora più denaro. Ma è Clark a non essere sicuro di voler tornare ancora a Indianapolis. Davanti a Chapman e ai vertici sportivi della Ford, Clark afferma molto chiaramente di non sentirsela di correre ancora sul velocissimo catino di Indianapolis. È a causa di sua madre, confessa davanti ai perplessi interlocutori. La signora Clark, la mamma di Jimmy, è terrorizzata dalla velocità che le vetture raggiungono a Indianapolis. L’anno prima, nel 1963, mentre il padre ascoltava in diretta il commento della gara grazie al collegamento telefonico che Chapman aveva fatto installare tra l’America e la casa dei Clark a Edington Mains in Scozia, una sorella aveva portato la madre a far compere a Edimburgo nel tentativo di distrarla. Ma, l’anno successivo, il catastrofico incidente poco dopo la partenza, con il suo prezzo in termini di vite umane, l’aveva terrorizzata. Senza Clark fallirebbe la partecipazione della Ford dall’intero progetto. Chapman lo sa bene e si impegna a convincere Jimmy perché torni sui propri passi. Poco prima delle dieci del mattino dell’ultimo giovedì di maggio del 1965 – per anni la 500 Miglia si è corsa a metà settimana– Jim Clark è regolarmente al via della sua terza 500 Miglia di Indianapolis. Al suono della voce “Ladies and Gentlemans, start your engines” il pilota scozzese si presenta regolarmente in Griglia di Partenza. Per i primi sette giri ingaggia un duello con l’Asso americano AJ Foyt. Poi Jimmy passa in testa per rimanerci fino al traguardo. Non sarà più ripreso. Quattro ore più tardi, Jim Clark passa per primo sotto alla bandiera a scacchi. Ha condotto la gara per 190 dei 200 giri in programma. È il primo pilota europeo a vincere la 500 Miglia di Indianapolis dal 1916. Il primo pilota britannico a riuscirci nell’impresa. Anche Chapman può essere contento: la Lotus è la prima vettura inglese a trionfare a Indianapolis. Si tratta del coronamento di un progetto durato lo spazio di tre anni, voluto principalmente dalla determinazione di Dan Gurney e in cui tutte le parti in causa hanno profuso le loro migliori energie, da Chapman alla Ford a Clark. È anche la prima volta che un pilota di Formula l vince la 500 Miglia di Indianapolis, dapprima snobbata, poi cercata dai Team del vecchio continente. Dopo aver ricevuto l’enorme coppa sulla quale sono scolpiti i visi di tutti i vincitori di ciascuna edizione e aver bevuto il tradizionale latte riservato a chi passa per primo il traguardo, Jimmy non si dimentica della promesse fatte. La folla lo osanna, la stampa lo cerca, ma Clark non si trova. Jimmy è al telefono con la Scozia. Ha chiamato casa e sta rassicurando sua madre.

 

 

 

Sopra: La cerimonia di premiazione del vincitore della 500 Miglia di Indianapolis Edizione 1965, il pilota scozzese Jim Clark, che riceve la mitica coppa accompagnato dai meccanici Lotus;

 

Nel 1966 la Squadra Lotus bissa il successo ottenuto l’anno prima con Clark ottenendo la seconda vittoria consecutiva con il pilota londinese Graham Hill, Campione del Mondo di Formula 1 nel 1962 e, più tardi, nel 1968. Dopo l’uscita di scena della Lotus a Indy, il Team McLaren tornerà a vincere a Indianapolis con una vettura datata di un propulsore Offy TC in tre Edizioni, nel 1972 (Mark Donohue), 1974 e 1976 (Johnny Rutherford).