Il
primo shock è arrivato quando Rubens Barrichello si schiantò durante
la sessione di apertura delle qualifiche ad Imola. Ha perso il controllo della
sua Jordan mentre affrontava l'ultima chicane, probabilmente intorno ai 225
km/h, e non ha avuto il tempo di correggere la macchina. Ha colpito un cordolo,
che lo ha lanciato in aria e ha mandato la Jordan lungo la barriera di gomme.
Quello che ci ha scioccato di più è stato il modo in cui la macchina
è decollata, ad un certo punto sembrava che avrebbe colpito la barriera
e sarebbe volata nella tribuna. La Jordan, più per fortuna che per altro,
è finita su un fianco, capovolta e contro la barriera. Fù abbastanza
brutto ma i commissari rivoltarono la macchina prontamente e, come si schiantò
sul fondo, potevi vedere la testa di Barrichello sbattere nell'abitacolo.
Ero stupefatto dal vedere i commissari fare una cosa del genere, specialmente
avendo in mente le ferite alla spina dorsale e al collo riportate da J.J. Letho
e da Jean Alesi durante delle sessioni di prove tempo prima. Dopo un incidente
come quello, Barrichello avrebbe potuto riportare le stesse ferite. Avrebbe
dovuto essere lasciato come si trovava o, se c'era rischio di incendio, la macchina
avrebbe dovuto essere rivoltata delicatamente.
Il giorno seguente, Rubens stava camminando nel paddock con niente più
di un taglio al labbro ed il naso rotto. Stava parlando di rientrare nella prossima
corsa. L'incidente, a dispetto delle sue proccupanti implicazioni, veniva dimenticato
gradualmente man mano che le corse tornavano ai propri affari. Nel nostro caso,
aveva significato la continuazione dei nostri sforzi per migliorare la Williams
FW16. Malgrado i test svolti a Nogaro nel sud ovest della Francia durante i
giorni che precedevano Imola, eravamo ancora preoccupati sulla FW16. C'era stata
ancora una certa quantità di congetture erudite e, mentre ognuno cercava
di essere ottimista, Ayrton ed io eravamo scettici; onestamente non avremmo
potuto dire che la macchina sarebbe stata in qualche modo migliore di come era
stata.
Il problema, in parole povere, era doppio. Primo, la macchina non era sufficentemente
più veloce della Benetton e, secondo, era orribile da guidare. E' discutibile
quale dei due problemi rendeva Ayrton ed io meno felici, ma più probabilmente
era il primo.
Stavamo sempre a cambiare il setup della macchina nel tentativo di trovare
quella combinazione perfetta che avrebbe tradotto la promessa di una grande
macchina in realtà. Quello che volevamo dalla FW16 era una sensazione
di bilanciamento ed abilità di guida. Queste sono le condizioni che permettono
ad un pilota di apprezzare l'esperienza di guidare e, conseguentemente, andare
più veloce. E' difficile prendere familiarità con un'auto che
viene cambiata costantemente nel tentativo di trovare una buona prestazione,
diventa un circolo vizioso.
Ayrton, comunque, aveva enormi riserve di abilità e poteva scavalcare
le deficienze del telaio. Oltretutto, è più comune avere una macchina
difficile che una perfetta. Così, in qualche modo, le cose erano così
come avrebbero dovuto essere ad Imola.
Fù una sorpresa piacevole trovare che le cose erano migliorate leggermente
nel primo giorno di prove. Stavo cercando di fare veramente qualche progresso
con la macchina sebbene avessi avuto uno o due momenti irritanti quando ero
dovuto andare sull'erba per un problema con i freni. Patrick Head lo fece notare,
se c'era un modo di fare male le cose, allora sembrava che lo stessi facendo!
Fui castigato convenientemente dal suo rimprovero sebbene mi fossi sentito meglio
alla fine della giornata quando fu scoperto che infatti c'era stato un problema
sulla mia macchina. Ero uscito nella curva finale e avevo danneggiato la sospensione.
Dal momento in cui erano iniziati i lavori di riparazione, rimanevano solo dieci
minuti alla fine delle qualifiche ed ero riuscito solo in un settimo tempo sulla
griglia provvisoria. Anche così, mi sentivo bene riguardo la Williams
sebbene onestamente non posso dire che Ayrton condivideva il mio ottimismo;
non era convinto che stessimo andando nella direzione giusta. In altre parole,
non gli piacevano alcuni aspetti del comportamento della macchina. Ma allora
era un perfezionista.
Molte idee vennero messe nelle regolazioni e, al Sabato, la macchina era veramente
migliorata. Nel mio primo giro veloce durante le qualifiche, riuscii a portarmi
al quarto posto. Era stato un buon giro e stavo rientrando quando mi trovai
tra le bandiere gialle alla fine del rettilineo da 322 km/h. Arrivai alla curva
della Tosa, solo per trovarmi con i resti della Simtek di Roland Ratzenberger.
Potevo vedere dove erano iniziati i detriti e, giudicando dalla distanza percorsa,
era ovvio che fosse stato un incidente molto grosso. Come sono passato, ho avuto
un forte presentimento riguardo le sue condizioni perchè c'era così
tanta distruzione. Con Barrichello eravamo stati fortunati. Questa volta era
chiarissimo che il povero Roland non se la sarebbe cavata così a buon
mercato. E, inconsapevolmente per ognuno, questo era l'inizio di una sequenza
terribile di eventi che avrebbe dimostrato in termini certi i pericoli inerenti
lo sport.
La prove furono interrotte. Ayrton andò sul luogo dell'incidente perchè
voleva vedere da sè cosa fosse accaduto. L'aveva fatto prima quando Martin
Donnelly si era schiantato a Jerez nel 1990 e credo che ogni pilota abbia il
diritto di farlo se desidera. Personalmente, non lo farei. Ero presente a Goodwood
nel Febbraio del 1986 durante una sessione di prove di Formula Tre quando il
pilota Bertrand Fabi rimase ucciso e ho sperato di non vedere ancora cose del
genere. In ogni modo Ayton scelse di andare alla Tosa. Ognuno era preoccupato
per Roland; la sensazione era che fosse in brutte condizioni. Quando Ayrton
tornò, parlò con Patrick e me in privato al lato del motorhome.
Disse semplicemente che Roland era morto. Era il suo modo di farci capire il
più deliberatamente possibile quello di cui era stato testimone su cui
non c'erano dubbi. Poi andò nel motorhome e si tolse la tuta sebbene
la sessione stesse per ripartire.
Non potevo decidere quale sarebbe stata la cosa giusta da fare; fermarmi come
Ayrton o fare il soldato? Avrei voluto che gli ufficiali avessero cancellato
il resto della sessione così da rimuovere quel dilemma particolare. Fu
lasciato a me decidere se avessi voluto uscire di nuovo. Ti confronti immediatamente
con la domanda, “torno in una macchina da corsa ora, domani, tra una settimana,
o mai più?” Come decidi?
Non è che i piloti da corsa non sappiano che incidenti fatali siano una
possibilità. Se un pilota non accetta quel fatto, se rimane completamente
scioccato da un incidente come quello di Ratzenberger, così tanto che
non può tornare in una macchina da corsa, allora fino a quel momento
ha deluso sè stesso sul pericolo.
Naturalmente, i piloti non sono così stupidi. Ma, quando ti confronti
con qualcosa del genere, stai affrontando una prova dura ed immediata sul se,
in ogni caso, sei preparato ad accettare il rischio. Roland aveva detto che
non era mai stato così felice come quando aveva avuto la sua guida in
Formula 1. E' quello che voleva fare. E' quello che tante persone vogliono fare
e molti non avranno mai la possibilità di fare.
Anche così, non rende situazioni come questa più facili da accettare.
Ognuno era profondamente commosso dalla morte di Roland. La Williams e la Benetton
rinunciarono al resto del pomeriggio; altri decisero di continuare con la sessione.
Ma la domanda che chiunque faceva era, “perchè Roland è
morto?” C'era la preoccupazione che fossimo arrivati al punto in cui i
rischi inerenti la Formula 1 erano diventati più grandi per certi fattori
come la velocità delle auto e la loro abilità crescente di resistere
agli impatti. Bisognava pagare un prezzo e, alla luce dei recenti incidenti,
stava uscendo fuori che dovesse essere il pilota. Avevamo raggiunto il livello
totalmente inaccettabile in cui, se una macchina stava per colpire un muro allora
il pilota stesse per morire? Ironicamente, alla luce di quello che sarebbe successo
il giorno seguente, Ayrton andò a parlare con altri piloti e persone
come Niki Lauda, che fù coinvolto in un tremendo incidente nel 1976.
Volevano sapere cosa poteva essere fatto, e fatto subito, riguardo la sicurezza.
Ci si mise d'accordo che i piloti avrebbero dovuto incontrarsi per discutere
questi problemi, probabilmente a Monaco in due settimane. L'umore quella notte
era tetro, a dire poco. Rimasi al circuito, mangiai al motorhome e trovai difficile
in genere pensare a molto altro che non fosse l'incidente. Cercai di concentrarmi
duramente su quello che dovevamo fare per la gara. I miei pensieri erano, “guarda,
non sto per smettere di correre; sto guardando al gran premio. Mi piace correre
proprio come piaceva a Roland. Ogni secondo di vita, devi essere grato e avere
più piacere che puoi dal farlo.” In qualche modo, gli eventi quel
pomeriggio erano stati uno sprone, un promemoria di cui non diventare compiacenti.
Mi incitarono ad essere il più positivo possibile, guardare alla corsa
e pregare che fosse fatto qualcosa per evitare che cose del genere accadessero
ancora. Fù una speranza dalla vita corta.
Quando le macchine uscirono per il warm-up il mattino della gara, era la prima
volta che tornavo in pista da quando avevo saputo l'esito dell'incidente di
Roland. Fù tremendo passare nel punto in cui si era schiantato. Improvvisamente
potevi immaginare la forza dell'impatto perchè stavi viaggiando alla
stessa velocità a cui era lui prima di uscire di pista.
In
circostanze normali,non ci avresti pensato una seconda volta perchè,
sebbene le velocità raggiungano i 322 km/h, non è una parte del
circuito in cui arrivi vicino al limite; non è un punto di cui ti preoccuperesti.
Ti stai fidando completamente della macchina e, alla luce dell'incidente di
Roland (probabilmente causato da un guasto al supporto dell'alettone frontale),
è assodato che alcune volte sei semplicemente un passeggero, che mette
la propria fede nei componenti.
I piloti possono accettare la punizione per aver commesso un errore; c'è
sempre la speranza che possano fare qualcosa per riprendere in mano la situazione
e che la punizione non sia troppo severa. Almeno è il loro sbaglio. Comunque,
è veramente scomodo piazzare tutta la tua fiducia nei meccanismi, ma
non c'è alternativa. Piuttosto è come essere su un aeroplano;
dipendi dalla misericordia del pilota e dall'integrità dell'equipaggiamento.
Non hai il potere di fare niente nella tua situazione. Almeno avevo la consolazione
di guidare per la Williams Grand Prix Engineering. So che farebbero sempre il
miglior lavoro possibile.
Sapevo, anche, che Ayrton era fuori per dominare il prosieguo della giornata.
Era stato il più veloce durante il warm-up io ero vicino, più
lento di 9/10 di secondo. Ero felice con la macchina e sapevo esattamente cosa
avevo dovuto fare per segnare quel tempo. Così era chiaro che Ayrton
doveva aver provato molto duramente per realizzare il suo tempo. Mi sembrava
che il mio compagno stava giocando un gioco psicologico qui perchè, quando
sai che qualcuno è quasi 1 al giro più veloce, può demoralizzarti
perfino prima che la corsa sia iniziata. Non ero preoccupato perchè ero
soddisfatto dell'andatura che stavo tenendo; sapevo che avrei potuto tenerla
per tutta la corsa mentre non credevo che Ayrton avrebbe potuto. Stava diventando
una corsa molto interessante. Tutto questo tenne la mia mente concentrata sul
lavoro ma, quando andammo alla riunione dei piloti prima della corsa, la tragedia
del giorno precedente mostrò di essere appena sotto la superficie della
coscenza di ognuno. Ci fù un minuto di silenzio per Roland e l'atmosfera
era pesante ancora più della tensione prima della gara.
I discorsi di una riunione dei piloti sulla sicurezza da tenere prima di Monaco
fecero suonare i campanelli di allarme degli organizzatori della Formula 1.
Ogni qualvolta i piloti si raggruppano insieme c'è il potenziale per
i guai. Bene, eravamo tutti insieme ora, nella riunione precedente la gara come
al solito, e non eravamo felici.
Ma c'era pochissimo che avrebbe potuto essere compiuto proprio allora. Gerhard
Berger sollevò una questione che sembrava insignificante ma che era rilevante
per la sicurezza. Ma quello che non rivelò era che ci era stato portato
da Senna. Ayrton non voleva essere il primo a sollevare la questione per paura
di sembrare la sola persona preoccupata del problema, tuttavia, com'era tipico,
fù lui che la rendeva urgente. Una delle cose che aveva fatto arrabbiare
Senna in Giappone era stata l'introduzione di una pace car durante il giro di
parata finale che portava alla partenza. Sentiva che era nient'altro che un
trucco e contribuiva a solo a far correre le macchine troppo lentamente e per
questo meno abili a scaldare le gomme. Quando altri piloti si misero dalla sua
parte, gli ufficiali acconsentirono senza esitazione ad abbandonare quella idea.
Era stata ottenuta una piccola vittoria, ma era comunque significativa.
Era l'evidenza di un fallimento nel consultare i piloti riguardo problemi importanti.
Ci sono alcuni problemi su cui solo i piloti hanno la capacità di esprimere
commenti e questo rafforzava l'impressione che avremmo dovuto metterci insieme
ed esprimere le nostre paure nel tentativo di far cambiare le cose e rendere
le corse un pò più sicure. Come la corsa si avvicinò, sono
sicuro che molti piloti riuscirono a cacciare questi pensieri indietro nelle
loro menti. Penso che ognuno sentì, come aveva fatto nei dodici anni
precedenti, che i pericoli erano stati ridotti in maniera considerevole, al
punto in cui la morte sarebbe stata una possiblità remota. E, di conseguenza,
si ebbe la sensazione che l'incidente di Roland fosse un incidente nell'arco
di dieci anni e che non sarebbe potuto essercene un altro per un lungo periodo.
Puoi affermare che è stupido agire in quel modo. Ma è il modo
in cui pensano le persone.
In ogni caso, penso che a quel punto Ayrton fosse occupato da altre cose. La
pressione era arrivata da tutte le direzioni. I media avevano specificato come
quasi sempre chi vince ad imola vince anche il campionato del mondo; che Ayrton
non era riuscito a prendere neanche un punto nelle prime due gare della stagione
(qualcosa che non gli era mai capitato prima nei suoi dieci anni di Formula
Uno); che Michael Schumacher fosse l'uomo nuovo e che guidasse il campionato
con venti punti su Ayrton; che questa fosse una gara cruciale perchè
Schumacher e la Benetton erano dati come favoriti per il prossimo gran premio
di Monaco. Penso che tutto questo avesse impressionato Ayrton. Il warmup aveva
dimostrato che era nell'umore da combattimento. Aveva la pole position e stava
facendo di tutto per far girare le cose.
Qualcuno aveva crcato di dedurre che Ayrton non era in condizioni mentali da
affrontare la gara, ma non posso dire niente al riguardo, per me sembrava totalmente
concentrato. Doveva essere stato difficile ignorare gli eventi del giorno precedente,
persino per un uomo come Ayrton, ma quando sta per iniziare una corsa la tua
mente può essere solo su un punto, vincere. Sicuramente, aveva fatto
una buona partenza ma eravamo arrivati solo alle Acque Minerali nel punto più
alto del circuito quando furono esposte le bandiere rosse e ci furono segnalazioni
che la safety car stava per entrare in gioco.
La safety car era stata un'innovazione abbastanza recente, un modo di rallentare
le auto e ricomporre lo schieramento dietro l'auto ufficiale per farle girare
a velocità ridotta fino a che qualsiasi problema che c'era sul tracciato
fosse risolto. In questo caso, quando arrivammo nella zona del traguardo vedemmo
che c'era stato un incidente.
J. J. Letho, che partiva dalla seconda fila, era rimasto fermo ed era stato
colpito da Pedro Lamy che era stato autore di una sorta di manovra straordinaria
dalla penultima fila e si era schiantato nel posteriore della Benetton. Fui
avvertito via radio che c'erano molti rottami in pista ma non ero consapevole
che una ruota e delle parti di auto avevano scavalcato la rete ed erano finite
dietro la recinzione ferendo un numero di spettatori. C'erano detriti dappertutto
ed era difficile evitarli, ed era preoccupante. Lo scopo della safety car è
quella di far proseguire la manifestazione senza fermare arrivare a fermare
la corsa. Ma la mia sensazione era che questo avrebbe dovuto essere applicato
solo nel caso che la gara fosse già partita e si stesse svolgendo. In
questo caso, non avevamo terminato neanche un giro completo a piena velocità
ed era difficile capire perchè la corsa non fosse stata fermata e fatta
ripartire, come specificato dalle regole. Il risultato netto fù che fummo
forzati ad andare per cinque giri a quella che può essere descritta come
una velocità da lumaca. Chiunque avesse lavorato con Ayrton ti potrà
dire quanto sforzo metteva nel fare in modo che la pressione delle sue gomme
fosse assolutamente esatta. Non sto esagerando quando dico che, in mezza atmosfera,
avrebbe potuto trovare il giusto bilanciamento della macchina. Mentre aspettiamo
sulla griglia nei i quindici minuti finali, le gomme sono avvolte in termocoperte
che fanno in modo che la temperatura sia mantenuta, perfino dopo che queste
siano state tolte mentre aspettiamo la luce verde.
Ma il problema è che, durante il giro successivo di riscaldamento, pressione
e temperatura calano perchè non stai andando sufficientemente veloce
da produrre calore all'interno delle gomme. E, come Ayrton aveva fatto notare,
questa storia di mettere una pace care Porsche in Giappone aveva solo fatto
andare peggio le cose.
Durante i primi giri della corsa, quindi, la macchina non ha una buona maneggevolezza
fino a che le gomme si scaldano di nuovo e la pressione risale. E ad Imola,
il problema diventò complesso quando dovemmo fare cinque giri dietro
la safety car. Di certo, la mia macchina era più difficile da guidare
del normale dopo quei primi giri successivi alla ripartenza.
Per essere onesto, non ci avevo messo molto aiuto rovinando leggermente la ripartenza
quando al safety car uscì. Putroppo, nelle due occasioni in cui la safety
car era stata usata in precedenza, ero in testa. Il trucco è rallentare
un pò e concedersi un pò di pista libera dopo che la macchina
è uscita ma, quando sei nel traffico, come ero io ad Imola, non è
possibile vedere esattemente dove si trova la safety car. E' meglio attaccarsi
al pilota che è davanti ma, in questo frangente, ero rimasto troppo indietro
e, quando Ayrton e Michael ripartirono, ero già dietro di circa cinque
secondi.
Ma avevo imparato una lezione importante. Ad Imola, c'è una chicane stretta
appena prima del rettilineo di partenza. Quando ho rallentato per affrontare
la chicane, i freni e le gomme erano freddi. Ho bloccato la ruota anteriore
sinistra e, per un istante terribile, ho pensato di stare per uscire di pista
addirittura prima di aver iniziato il primo giro di gara.
Quello mi allarmò sul problema causato dai cinque giri lenti dietro la
safety car.
Passai il primo giro cercando di tenere testa alla macchina e concentradomi
sul prendere la Ferrari di Gerherd Berger che era davanti a me in terza posizione.
Potevo vedere davanti che Ayrton era davanti a Michael e che erano molto vicini.
Non c'è dubbio che Ayrton fosse molto motivato per battere Michael e
sono sicuro che aveva trovato frustrante non aver potuto andarsene durante quei
primi giri.
Quando arrivai al Tamburello per la seconda volta, c'erano terra e detriti e
una macchina che procedeva di fianco sul prato. Avevo potuto vedere che era
Ayrton. In quel momento, ero occupato a schivare ruote e un alettone anteriore
che stava volando in aria. Ero molto occupato mentre passavo ma, una volta passato
il luogo dell'incidente, ero preoccupato sulla salute di Ayrton. Era ovvio che
fosse stato un grosso schianto; non puoi avere un piccolo incidente in quella
curva. Il mio primo pensiero fù che Ayrton e Michael si fossero toccati
e uno di loro fosse uscito.
La corsa fù sospesa e rientrammo nella corsia dei box. Ognuno stava chiedendo
cosa fosse successo ma non avevamo informazioni. C'era una voce che Ayrton si
fosse mosso. Poi dissero che era fuori della macchina. Ma, in ogni modo, c'era
una grossa possibilità che fosse ferito in modo grave.
Ero ansioso di sapere precisamente cosa fosse successo. E perchè. Andai
da Michael Schumacher e gli chiesi cosa avesse visto. Spiegò che la macchina
di Ayrton toccava parecchio con il fondo sulla pista e che l'aveva quasi persa
al Tamburello nel giro precedente. Per lui, era successa la stessa cosa ma,
questa volta, Ayrton non l'aveva controllata ed era finito fuori. Chiesi a Michael
se avesse visto qualche accenno di problema, forse con le sospensioni, o le
gomme; qualcosa del genere. Disse che non aveva visto nessun problema. Presi
nota di tutto e mi dissi di stare attento nelle prime fasi quando la pressione
delle gomme può essere bassa e forse la macchina può sbattere
troppo sull'asfalto. Ma ancora non sapevo niente sulle condizioni di Ayrton.
E'
uno degli aspetti di minor buon gusto delle corse nonchè non molto saggio
che non venga detta tutta la verità in caso di incidente per fare in
modo di terminare la manifestazione e far tornare a casa le persone. Comunque,
lentamente, trapelavano voci per cui le condizioni di Ayrton fossero molto serie.
Non potevo proprio credere che stesse accadendo. Pensavo che si fosse ferito
seriamente e che sarebbe stato fuori per un paio di gare. Era tutto quello che
sapevo; era tutto quello che mi imponevo di pensare. Cercai di concentrarmi
sulla gara e trovare la motivazione pensando che fosse molto importante che
avessi fatto un risultato per la squadra. Non c'era niente che potessi fare
per Ayrton. L'unica cosa era fare il mio lavoro il meglio che potevo.
Nonostante avessi fatto una buona partenza, il piano fù spazzato via
nel primo giro quando cercai di passare Schumacher per il secondo posto. Stava
cercando di superare Gerhard Berger e non credo si rendesse conto di quanto
ero vicino. La Benetton mi tagliò la strada e fece saltare l'alettone
anteriore incidentalmente. Significava una sosta ai box e il rientro in fondo
allo gruppo. Sembra insensibile, forse, ma i miei pensieri erano, “Le
cose non stanno andando nel verso giusto qust'anno”, o “Dio mio,
sta andando anche peggio”. Durante la corsa, continuai a pensare che era
solo un lavoro che doveva essere fatto. Niente di più. Per quello che
sentivo, non c'era la possibilità che sarei entrato e avessi spinto perchè
era la cosa più sbagliata da fare. La sola risposta era cercare di migliorare
la situazione in cui si trovava la squadra e guadagnare il miglior risultato
possibile. Ripensandoci a mente fredda, era fare quello per cui ero pagato e
il divertimento che riuscivo a tirarci fuori. Un punto per il sesto posto non
era molto brillante. Era qualcosa dopo che ero risalito dall'ultima posizione,
ma che valore aveva nel contesto di tutto quello che era successo in quel fine
settimana?
Dopo la fine della gara ero molto sconvolto. Parlai con Frank che mi disse che
Ayrton non era in buone condizioni. Volevo solo andare via dal circuito; solo
entrare in macchina ed andarmene. Io e Georgie avremmo potuto avere un passaggio
in elicottero se avessimo voluto aspettare. Ma io volevo andarmene il prima
possibile. Facemmo così, anche se significò stare seduti nel traffico
per secoli. Non riuscimmo a prendere il primo volo ma ero solo preoccupato per
come Ayrton fosse uscito da tutto ciò. Quando arrivammo all'aeroporto
un membro della squadra ci stava aspettando per dirci che Ayrton era morto.
L'avevo considerata una possibilità per pochissimo ma l'avevo cancellata
dalla mente riflettendo su quello che avevo sentito sulle sue condizioni. Mi
avevano detto che aveva riportato ferite gravi alla testa e mi dava l'idea che
non avesse mai più potuto guidare. Ma quello è il massimo che
fossi riuscito a pensare. Sapere che era morto è stato come se qualcuno
ti avesse spento le batterie. Stavo tremando completamente; ero totalmente sconvolto.
Io e Georgie ce ne andammo e ci fermammo ad un ristorante per sedere e pensare
a tutto quello che era successo. E ti chiedi ancora e ancora,”ne vale
la pena?” Quello è il punto più basso alla fine di un fine
settimana come questo; sempre la stessa domanda, “ne vale la pena?”
Non era una sensazione nuova per me. Posso ricordarmi mentre giocavo nel soggiorno
di casa quando fu trasmesso un telegiornale flash che diceva che Jim Clark era
rimasto ucciso. Sapevo che era amico di mio padre e, quando mia madre entrò
nella stanza, potei vedere che era sconvolta. Non capivo esattamente cosa fosse
successo. Ma sapevo che era qualcosa di brutto.
Durante quel periodo della mia vita ci furono occasioni in cui mio padre dovette
andare ai funerali degli amici. Era, senza voler sembrare macabro, una introduzione
graduale alla realtà dello sport del motore, ammessa al tempo in cui
i livelli di sicurezza non erano niente confrontati a quello che sono oggi.
Ricordo che pensavo, “Aspetta, perchè papà sta facendo questo?
Non ha senso”.
E però, lui continuava. Non si fermò per via degli incidenti
e guidò durante quello che probabilmente fù uno dei periodi più
pericolosi delle corse. Il fatto ironico è stato, naturalmente, che non
è morto in un incidente automobilistico. E quello fù qualcosa
con cui dovetti prendere confidenza. Aveva corso in macchina, affrontato i pericoli
ovvi e poi era morto in aeroplano. Dov'era la logica in tutto ciò? Fù
una parte del processo di apprendimento dove scoprii che nella vita accadono
cose spiacevoli, persino se non ti metti in pericolo. Cose orribili accadono
tutto il tempo. Per me, la vera tragedia è essere fermato mentre stai
facendo qualcosa che ti piace. Non ci sono avvertimenti riguardo i rischi. James
Hunt è morto di infarto e tuttavia chi può dire che non abbia
vissuto, si sia divertito più lui nei suoi quarantasei anni di vita che
la maggior parte della gente in una vita intera? Non pretendo di conoscere la
risposta.
Probabilmente il modo più facile è di continuare a convincerti
che stai facendo la cosa giusta. Così mi sono sforzato il più
possibile di pensare di ritirarmi e fare qualche altra cosa. Non mi venne niente
di definito in mente ma sapvo che avrei potuto fare tutte le cose che avevo
abbandonato per interesse delle corse; fine settimana a casa, sciare, più
tempo con i bambini, vedere i miei amici più spesso; quella sorta di
cose.
E tuttavia sapevo, fin dalla giovane età, ho sempre avuto bisogno di
sfidare me stesso volevo quegli sproni nella mia vitain cui dovevo affrontare
una prova difficile e il fatto è che poche cose possono offrire quella
sorta di opportunità. Ci sono momenti in cui mi sento talmente felice
che non possono durare a lungo. Può essere per poche ore, potrebbe essere
perfino per un giorno intero ma, molto spesso, è solo questione di minuti
dopo che ho fatto qualcosa di cui sono fiero. Ma quei momenti ti prendono. Una
volta che l'hai fatto, devi farlo ancora e ancora, come fare un buon tiro a
golf. Nel tuo subconscio pensi al momento in cui ne hai avuto abbastanza (forse
dopo il punto più alto) e smetti, completamente saturo. Fino ad allora,
continui a rischiare tutto per quel momento fugace.
Può essere diverso per altri piloti. Infatti non posso sapere cosa persone
come Philippe Streiff e Martin Donnelly, messi fuori dalle corse per le grosse
ferite riportate, possano sentire. Quanto vorrebbero tornare in un'auto da corsa?
O sono semplicemente felici di essere vivi? Non è il tipo di domanda
che puoi fagli ma è qualcosa che hai bisogno di chiedere a te stesso.
C'era quasi troppo tempo per pensare a tutto durante i giorni che seguirono.
Scelsi deliberatamente di non guardare la televisione nè di leggere i
giornali il giorno dopo. Non ho visto il video dell'incidente fino a Martedì,
in cui decisi che dovevo scoprire cosa era successo. Poi seppi che il funerale
di Ayton si sarebbe tenuto a Sao Paulo.
A quel punto l'ultima cosa che volevo era andare in Brasile; avendo potuto scegliere,
sarei andato via con la mia famiglia e mi sarei rinchiuso fino a quando tutto
fosse terminato. Non ero un amico stretto di Ayrton perchè lo conoscevo
solo da pochi mesi. Ma il fatto fù che dovetti affrontare alcune cose:
dovevo capire come e perchè Ayrton aveva avuto l'incidente ed era importante
per mostrare la mia lealtà come compagno di squadra. Sapevo che sarei
andato al funerale. Ora sono lieto di averlo fatto. Ho scoperto quanto ha significato
Ayrton per il Brasile. Il funerale fù quasi presidenziale; estremamente
straordinario. Migliaia di persone erano ai lati della strada e molte correvano
dietro al corteo. Fù un percorso lungo e vidi una persona correre per
quasi tutto il tempo prima di cadere esausta su una siepe.
Ci furono ventuno salve sparate con grande precisione dai militari, un passaggio
aereo, un numero di dignitari, inclusi il presidente argentino e l'ambasciatore
giapponese.
La famiglia di Ayrton chiese ai piloti presenti di scortare il feretro fin dove
avessero potuto verso il cimitero, dove ci fù un saluto con i fucili.
In cielo c'erano quattro o cinque elicotteri; era una sorta di spettacolo televisivo
ma non ho potuto sentire la messa per via del chiasso che veniva dall'alto.
Ho pensato che fosse piuttosto triste che la famiglia non potesse essere lasciata
in pace durante qui minuti finali.
Il furore sul motivo per cui si fosse schiantato ancora infuriava sui media
ma, sebbene fossi un membro della squadra, non fui vittima di nessuna animosità.
Infatti, mi sembrava addirittura l'opposto. Rimasi toccato, particolarmente
dai bambini che erano cresciuti non conoscendo altro che i successi che Ayrton
Senna aveva portato in Brasile. Ovviamente era molto difficile per loro capire
cosa fosse successo al loro eroe.
Ricordo che due fans mi avvicinarono per un autografo mentre uscivo dall'hotel
per andare al funerale. Mi dissero che ora il Brasile avrebbe guardato me, e
questo quasi mi fece soffocare per l'emozione. Improvvisamente mi resi conto
che avevano amato le corse e, siccome Ayrton aveva sceltola Williams come propria
squadra, era diventata anche la loro squadra. Non era che stessi entrando nei
panni di Ayrton o niente del genere; era solo che la Williams era diventata
parte delle loro vite e, di conseguenza, ne ero parte anche io. Pensai che fosse
qualcosa veramente generosa da parte loro. Tutto questo per me era troppo da
accettare. Avevo cercato di correre sotto l'ombrello protettivo di Ayrton Senna.
Se in una gara fossi arrivato dietro di lui, avrei potuto dire che avevo fatto
un buon lavoro dicendo che non era troppo distante. Ma improvvisamente mi resi
conto del carico di resposabilità che si era portato dietro tutti quegli
anni.
Ci si aspettava che vincesse sempre. Essere Ayrton Senna deve essere stato un
fardello pesante perfino quando fosse arrivato primo. Nel poco tempo in cui
abbiamo lavorato insieme, ho capito che era un pilota veramente speciale, un
pilota istintivo. Se gli davi una macchina che non era proprio perfetta, l'avrebbe
comunque potuta fare andare molto veloce; infatti non penso che conoscesse un
altro modo.
Ricordo che ero affascinato dal modo in cui descriveva il comportamento della
macchina. Metteva le mani davanti al viso come se stesse guardando attraverso
il volante, quasi stesse guidando la macchina. Era molto, molto bravo a richiamare
sensazioni e a parlare della macchina continuamente così che gli ingegneri
capivano esattamnte quello che voleva dire. Il tutto in modo astratto. Non avrebbe
detto che la barra antirollio era troppo rigida. Avrebbe parlato di sensazioni;
riferendosi alla pista che faceva questo o in questo modo e quella curva che
faceva quello, cose che non avrei neanche considerato. Sembrava che avesse l'abilità
di vedere nei minimi dettagli come cambiava la pista.
Se una macchina non aveva le potenzialità di vittoria, Ayrton avrebbe
potuto farla vincere. Nel gran premio del Brasile, per esempio, aveva una macchina
che non aveva la velocità della Benetton di Schumacher. Tuttavia riuscì
a restare con Michael e rimasi sbalordito che fosse stato capace di farlo con
una macchina che, se era grosso modo come la mia, non aveva nessuna maneggevolezza.
Ad un certo punto stavano per doppiarmi. Michael arrivò e pensai che
era meglio che mi fossi tolto da davanti Ayrton. Ma, mentre avevo preso la decisione,
si infilò e quasi uscì fuori. Era diretto nel prato e aveva fatto
in modo di attraversarlo. Aveva completante mancato la curca ma, per lui, la
cosa importante era proseguire; non avrebbe perso tempo guardandosi intorno
mentre mi aspettava.
Era come se venisse risucchiato verso la fine della corsa; come se avessi attaccato
l'estremità di un elastico al traguardo e l'avessi arrotolato per il
numero di giri della gara, e poi lasciato andare. Il suo desiderio di vincere
era semplicemente schiacciante. E giudicando dalle scene notevoli al suo funerale,
lo faceva per una nazione che amava, e che lo amava.