PESCAROLO E LA MATRA 640

Questa che trovate di seguito è una storia incredibile, ma vera, ritoccata solo il minimo indispensabile per renderla scorrevole.
E' la storia di Henri Pescarolo e della sua ultima vittoria.
Segue il filo logico degli ultimi "pezzi", ma è un po' più lungo ed ha un lieto fino oltre trentacinque anni dopo il suo inizio.
Comincia infatti l'anno dopo l'incidente in cui aveva perso tragicamente la vita Roby Weber e si conclude un paio d'anni fa...


UN CONTO IN SOSPESO

Fra le protagoniste dell'aerodinamica una delle più attive nella ricerca e nella realizzazione, in quegli anni a cavallo fra i '60 e i '70, era senza dubbio la Matra.
Le soluzioni della casa francese all'inizio erano convenzionali, poi, dopo la grande prova del coupé "630" alla 24 ore di Le Mans del '68, cominciò la sperimentazione vera e propria.
Nacque così la "640" che aveva una linea rivoluzionaria, mai vista prima, basata su soluzioni estreme che promettevano prestazioni eccezionali, soprattutto velocistiche, riducendo sensibilmente gli effetti del "gap" di potenza nei confronti di Porsche e Ferrari.
Oltretutto il V12 che derivava da quello di F1 era uno dei propulsori più interessanti e prometteva di migliorare ancora.
Dal punto di vista della carrozzeria la Matra cambiò decisamente forma.
Anni prima la Porsche aveva già presentato modelli con profili filanti a coda lunga, a partire dalle 906 per finire alle 908, ed anche la "640" francese seguiva questa scuola di pensiero, ma la sua forma caratteristica mostrava di derivare da due code raccordate con un alettone e due pinne verticali.

matra640

 

 

 

 

 






L'aveva disegnata un ingegnere aeronautico "puro", Robert Choulet, pensando al circuito di Le Mans e solo a quello, e ne era venuta fuori quella che assomigliava più a una "concept-car" che a una macchina da corsa.
Lagardère, l'ambizioso patron della Matra, non nascose la sua soddisfazione, uscirono disegni su tutte le riviste specializzate e sui giornali sportivi, in breve attorno alla "640" si addensarono le aspettative di "grandeur" di tutta la Francia che sognava di vedere una "voiture bleu" nuovamente vittoriosa alla 24 Ore di Le Mans.
Ai test di Le Mans, a marzo, la nuova Matra non era ancora pronta, e la casa francese partecipò solo con un modello convenzionale, una "barchetta".
La delusione durò poco, un mese dopo la casa francese organizzò, sempre a Le Mans, una sessione di test privati, con tutto il circuito per sé senza troppi occhi indiscreti a scrutare il nuovo prodigio.
Per quei test, nell'aprile del '69, la "640" venne affidata ad Henri Pescarolo, detto "Pescà", divenuto popolare dopo la grande prova alla 24 Ore dell'anno prima quando aveva guidato per ore sotto la pioggia con il tergicristallo guasto, ed al suo compagno in quell'impresa, il biondissimo Servoz-Gavin.
Quel giorno la "640" fece di fatto il suo debutto in un vero circuito, prima di allora aveva solo fatto qualche chilometro sulla pista dell'aeroporto di Marigny, dove era stata presentata alla stampa.
"Pescà", che attendeva da tempo quel momento decisivo per capire se davvero quella macchina "idealizzata" potesse anche diventare vincente, parte per primo.
Indossò il casco, confabulò con i meccanici, poi scivolò nell'abitacolo.
Guardandola attentamente la "640" aveva le forme inconsuete di una macchina da record, esageratamente allungata, con una cupola che copriva l'abitacolo ridottissimo.
Poiché si trattava di un debutto assoluto, Martin, il DS della Matra, si raccomandò di partire piano, senza cercare subito le prestazioni ed il tempo.
"Pescà" partì con la macchina "neutra", senza regolazioni sulle appendici aerodinamiche, doveva fare solo qualche giro e poi fermarsi per dare indicazioni sul comportamento della vettura e provare di nuovo con gli eventuali aggiustamenti all'assetto ed all'aerodinamica.
Accelerò piano sul rettifilo dei box, provò a sentire lo sterzo:-"Mi sembrava leggero"- dirà - "ma non volevo dare giudizi affrettati. Mi sentivo bene e non mi sarei cambiato con nessuno al mondo..."-
Quando imboccò le Hunaudières, e il V12 prese giri, la "640" sfiorò i 250Km/h.
"D'un tratto"-racconterà Pescarolo-"mi resi conto del silenzio assoluto, o meglio di ascoltare solo il suono inconfondibile, pulito, bellissimo del V12 Matra. Nessun rumore di rotolamento, nessuna vibrazione. Ed in quell'istante preciso pensai che era una macchina eccezionale..."-
Fu proprio un istante, un battito di ciglia: la Matra 640 aveva superato un'ondulazione della strada e, semplicemente, si era staccata dalla pista, per non tornare più a posarvisi.
Come un caccia al decollo aveva seguito il tracciato del circuito, come fosse la pista di un aeroporto, per qualche centinaio di metri con il motore imballato che urlava con un suono lacerante, poi si era impennata andando a schiantarsi a terra, a bordo pista.
Una colonna di fumo avvertì i tecnici della Matra che qualcosa era andato storto.
Quando arrivarono i soccorritori si trovarono davanti una scena da disastro aereo, più che da incidente automobilistico: i tronchi dei piccoli alberi che in quel punto disegnavano la pista erano tranciati all'altezza di un metro e mezzo da terra, pezzi della carrozzeria e del telaio, anneriti dal fuoco, si trovavano disseminati nel raggio di qualche centinaio di metri.
Fra i rottami, miracolosamente, Pescarolo era ancora vivo.
Sarebbe sopravvissuto, ma avrebbe portato per sempre sul viso i ricordi di quell'incidente: da quel giorno la barba che portava di solito sarebbe servita per nascondere le cicatrici, eredità incancellabile dell'incidente assieme al ricordo dei mesi passati in ospedale per curare le fratture agli arti e le lesioni alla colonna vertebrale.
Qualcuno pensò che Henri Pescarolo non avrebbe più gareggiato, nessuno poteva essere così pazzo di tornare a correre dopo aver sfiorato così da vicino la morte.
Evidentemente non conoscevano bene "Pescà", e la sua grinta.
Pescarolo, dopo quasi sei mesi di cure fra letto di ospedale e terapie di riabilitazione tornò a correre ed, incredibilmente, a vincere.
Al suo rientro era ancora claudicante, ma con una Matra "tradizionale", la "650", in coppia con Beltoise vinse la 1000 Km di Parigi sul circuito di Monthléry.
La "640", invece, non verrà mai utilizzata in gara, e restò nel ricordo degli appassionati come una curiosità, per alcuni, un rimpianto per altri.
Fra questi ultimi c'era Pescarolo

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Non era, tuttavia, finita qui, quella macchina era stata il suo sogno, ed il sogno di tanti altri.
Di troppi perché non se ne parlasse più.
Tanti anni dopo verrà ricostruita fedelmente e "Pescà" tornerà a provarla su un circuito privato.
Lo avevano invitato per cortesia, era in fondo un atto dovuto invitare a vedere la Matra "640" l'unico pilota che l'aveva guidata.
Quando lo chiamano, risponde subito di sì, anzi vuole essere lui al volante.
Sente di doverlo farlo per saldare l'ultimo debito: ha oltre sessant'anni, ha vinto diverse volte a Le Mans, è diventato a sua volta un costruttore vincente, ma non può resistere alla voglia di provare di nuovo quella macchina con la quale era andato ad un soffio dall'ammazzarsi.
Può sembrare pazzesco a chi non è stato un pilota, non a Pescarolo che si stupisce del risalto che viene dato alla faccenda
Stavolta i test saranno completati.
La macchina modificata, con Henri Pescarolo al volante, raggiunge quasi i 290 Km/h senza decollare.
Inutile che vi dica che non è stata una cosa semplice, che non tutto era filato liscio.
Per garantire la sicurezza del pilota la "640" ricostruita era stata dotata di sensori che segnalavano con spie luminose qualsiasi movimento dell'avantreno.
Durante i primi tentativi le luci rosse si accendevano subito e allora la prova veniva sospesa per modificare qualcosa e ricominciare.
Alla fine i tecnici capiscono che, per eliminare queste instabilità, la parte anteriore deve essere abbassata moltissimo, alla ricerca della massima superficie deportante.
Questo, però, avrebbe anche comportato la necessità di escludere i freni anteriori, perché in caso contrario l'avantreno avrebbe potuto impuntarsi sull'asfalto al momento della frenata.
I tecnici, giunti a questa conclusione decidono che non è il caso di andare avanti e lo comunicano al pilota: il gioco è finito, si torna a casa e la "640" finirà in un museo.
"Pescà" non è d'accordo.
Non é questo il finale che lui vuole scrivere e chiede che escludano i freni anteriori:- "Pas de problemes"- risponde a chi gli domanda se per caso non sia impazzito.
Nessuna obiezione riesce a smuoverlo, quando parte per il nuovo tentativo le spie sul cruscotto restano spente.
Quando rientra, dopo qualche giro, è sorridente.
Il discorso è chiuso, ha finalmente "domato", con i soli freni posteriori, la macchina che oltre trentacinque anni prima l'aveva quasi ucciso.
Appena si ferma salta fuori dall'abitacolo invaso da un fumo acre.
Dal retrotreno, dai passaruota carenati, escono delle fiamme.
Girando senza i freni anteriori, quelli posteriori, troppo sollecitati, si sono surriscaldati ed hanno provocato un principio d'incendio.
"Pescà" prende un estintore e senza smettere di sorridere doma il fuoco.
Quando ha finito, gli occhi di "Pescà" brillano: accanto a tante vittorie prestigiose ora c'è anche questa rivincita.