Negli ultimi anni in Formula 1 le regole, sia esse tecniche che sportive, sono state cambiate quasi regolarmente all'inizio di ogni stagione. All'inizio era per rallentare le auto che stavano diventano troppo veloci; una motivazione che sarebbe sacrosanta se applicata alle normali auto che guidiamo tutti i giorni, ma suona come un controsenso essendo relativa ad auto di Formula 1 in cui dovrebbe vincere chi è più veloce.
Con il passare del tempo la motivazione principale è stata quella di riportare lo spettacolo che, vuoi la capacità della scuderia del momento, vuoi le sue possibilità finanziarie, vuoi le intuizioni dei suoi tecnici, magari unite all'incapacità delle altre di controbatterla, era agonizzante. E questo ha creato una emorraggia di spettatori e telespettatori che tradotto, ha significato un crollo delle entrate monetarie.
I due più grossi cambiamenti nell'era moderna relativi alla sicurezza, c'erano stati dopo il 1982 con l'abolizione delle minigonne che erano costate la vita a Villeneuve e la carriera a Pironi, e dopo il 1994 quando la morte di Senna bloccò la corsa esponenziale della gestione elettronica delle monoposto che però tornò anni dopo, anche se non al livello a cui era arrivata in quell'anno.
Sempre per ragioni relative alla sicurezza, almeno così sono state spacciate dalla FIA, sono cambiati i circuiti. Sono diventati tavoli da biliardo asettici con vie di fuga larghe come piste di atterraggio di scali internazionali, per adattarli al progresso compiuto dalle monoposto. Altro controsenso. E' più facile adattare un'auto ad un circuito o il contrario? Poi ci sono stati cambi di punteggio per rendere più viva la competizione. Ad essere incoronato campione del mondo non sarebbe stato il pilota che avesse vinto qualche gara, ma quello che avesse ottenuto un maggior numero di piazzamenti nella zona punti alta. Praticamente un campionato di regolarità. Per ultimo c'è stato il contingentamento dei motori dovuto all'innalzamento esponenziale dei costi. Questo dopo stravolgimenti vari alle prove, ai test, e così via.
Ma se guardiamo la copertina del numero di Autosprint che risale alla stagione 1976, leggiamo che in quell'anno un Gran Premio era arrivato a costare 435 milioni di lire. Cifra spropositata se la si associa all'economia vigente a quei tempi. Ma se ci pensiamo più attentamente, quante volte ci si è interrogati sui costi troppo altri raggiunti dalla Formula 1? Non sta per franare tutto proprio per colpa di questi costi?
Sempre per i corsi e ricorsi storici, su Autosprint Anno del 1977 ci si interroga sul fatto che Lauda abbia vinto il campionato mondiale con tre vittorie e sei secondi posti, mentre Andretti si sia classificato terzo con quattro vittorie: oggi non ci si sta chiedendo se il sistema di punteggio in vigore sia gusto? Ecclestone ha pensato addirittura di premiare i primi tre con delle medaglie, come se si fosse alle olimpiadi.
Nello stesso numero si legge che Hunt, in una intervista concessa durante le prove libere del Gran Premio del Sudafrica, aveva chiesto che fosse istituita una squadra di commissari di pista professionisti. Mai dichiarazione fu più veritiera visto quel che successe in gara.
Ma una commissione di commissari di pista professionisti non è stata invocata dopo quello che è successo quest'anno alla fine del Gran Premio del Belgio? Commissione mai adottata perchè "troppo costoso formare una squadra di commissari professionisti da far presenziare ad ogni gran premio". Per cui è chiaro che quello che succede oggi in Formula 1 è già successo in passato, con una piccola ma basilare differenza però: la presenza delle grandi case costruttrici da una parte, la crisi economica mondiale dall'altra. Queste due componenti legate a doppio filo l'una all'altra, hanno il potere di far crollare il castello di carte come mai prima d'ora. E crediamo che lo sapremo presto.