A volte ritornano…
Era un titolo di un celebre film horror, ma calzerebbe a pennello per descrivere perfettamente qualcosa che in Formula 1 è capitato abbastanza spesso.
E sempre di “Horror” potrebbe trattarsi… Visti i risultati.
A volte ritornano, ovvero “quando – si – torna – in – F1 – senza – ripetere – i - risultati – di – prima”
In sintesi: spesso una “reintrée” porta solo a rovinare una solida reputazione (conquistata precedentemente a fatica e a suon di onorevoli risultati) con prestazioni nettamente peggiori ed insufficienti. E quindi si potrebbero paragonare a degli spettri, a degli zombie… solo delle pallide ombre se raffrontate con quello che erano in precedenza.
La lista è piuttosto corposa:
Alfa Romeo. Vinse i primi due Campionati Mondiali del 1950 e 1951 grazie ad una superiorità di uomini e mezzi indiscutibile (nel 1951 per la verità dovette maggiormente impegnarsi contro Ascari e la Ferrari) per poi lasciare da campioneincarica. Dopo un periodo di oblio rientrò negli anni settanta in qualità di motorista gemellandosi con la Brabham di Bernie Ecclestone. Nonostante le aspettative, le cose non andarono come auspicato: un paio di vittorie e quintali di polemiche convinsero la Casa del Biscione a formare un proprio team tramite la sua estensione sportiva Autodelta. Esordio nel 1979 e grandi speranze iniziali. Poi, risultati altalenanti, grande confusione dirigenziale e budget necessari sempre più elevati, non controbilanciati da risultati adeguati (solo qualche pole position e podio occasionale), convinsero all’abbandono al termine di una stagione 1985 disastrosa e senza essere mai riusciti ad avvicinare le gesta degli anni cinquanta.
Alan Jones. Campione mondiale 1980 con la Williams, era stato la bandiera della squadra di Guilford grazie alla sua determinazione in pista e fuori. Dopo anni di gavetta in squadre minori, aveva sfondato e così, un pilota e un team “rampanti” erano riusciti finalmente a scalare fino ai vertici assoluti della F1. Alan Jones si stufò presto, appagato dei risultati, e si ritirò. Tornò poi, ingrassato, con la Arrows (senza molto successo) nel 1983 per una gara e, in condizioni fisiche migliorate, con l’ingresso del team Beatrice-Haas nel 1985 cavalcando i trionfalistici proclami di questi americani dall’impressionante budget iniziale. Salvo poi un repentino ridimensionamento della compagine e un veloce ritiro del pilota dopo un paio di stagioni senza infamia e senza lode.
Bruno Giacomelli. Tra le promesse italiane alla fine degli anni settanta riesce ad esordire nel 1977 sulla Mclaren. La sua carriera sembra chiudersi alla fine del 1983 dopo aver corso anche con Alfa Romeo e Toleman e 69 Gran Premi con alterne fortune. Solo una pole position nel 1980 rischiara la sua difficile carriera.
Nel 1990 a sorpresa torna per guidare la Life. La squadra è assolutamente inadeguata e la monoposto addirittura stenta a terminare anche un solo giro. Le prequalifiche sono quindi un ostacolo insormontabile e l’avventura finisce senza rimpianti anche per il simpatico “Jack O’ Melly.
Julian Bailey. Giovane speranza dell’automobilismo inglese aveva debuttato nel 1988 con la Tyrrell. Pochi Gran Premi e scarsi risultati, anche per il mezzo di cui dispone. Non trova un sedile per la stagione successiva e sembra sparire definitivamente dalle scene. Nel 1991, a sorpresa, torna in F1 accordandosi con la Lotus. Il bilancio è nettamente peggiore: una gara disputata e ben tre mancate qualificazioni, anche se un punticino riesce comunque a conquistarselo.
Porsche. Ai più la casa tedesca è legata ai grandi risultati ottenuti nella categoria Sport e, in F1, col suo motore (marchio TAG) montato sulle Mclaren di Lauda e Prost. All’epoca dei motori turbo, sul finire della stagione 1983, esordì il TAG-Porsche frutto del totale finanziamento di Masur Ojiei che copriva progettazione e costruzione di questo 6 cilindri turbo a V. L’anno successivo fu dominio pressoché assoluto nei campionati piloti e costruttori grazie anche ad una elettronica avanzatissima che riusciva e gestire perfettamente il controllo dei consumi laddove gli altri erano costretti a capitolare. Anche nelle due stagioni seguenti i successi non si contarono e solo alla fine del 1987 la Tag-Porsche si ritirò dalle scene ufficiali con un bottino di tutto rispetto: 3 titoli piloti e due costruttori insoli quattro anni completi. Nel 1991 la Footwork (Arrows) si accordò con la Porsche per utilizzare un suo nuovo motore. La casa tedesca era convinta di poter ben figurare pur riuscendo a limitare le spese. L’unità motrice era il frutto dell’accoppiamento di due blocchi motore. Il risultato fu un motore ingombrante, particolarmente pesante e fragile. Alboreto e Caffi quasi compromisero le loro carriere di fronte a tanta pochezza e ben presto la squadra dovette ripiegate su un più classico Ford Cosworth con il quale peraltro riuscì finalmente ad ottenere qualche soddisfazione. Il motore Porsche finì ben presto in qualche fondo di magazzino e dimenticato.
Jan Lammers. Pilota olandese, dalle discrete doti, che calcò le scene della Formula 1 nei primi anni ottanta pur non brillando per risultati particolarmente eclatanti. Ha corso con la Shadow, ATS, Ensign e Theodore dal 1979 al 1982 lottando soprattutto per qualificarsi per la relativa competitività dei mezzi a disposizione. Non tantissimo ma comunque dignitoso il bilancio... Nel 1992 eccolo ritornare, dopo ben 10 anni e alla “veneranda” età di 36 anni in seno al team March - Leyton House che ormai sembra una bagnarola in disarmo con la ovvia conseguenza che i risultati non potranno essere granché. Solo due gare senza costrutto e l’avventura del ritorno si conclude dimenticata.
Nigel Mansell. Campione mondiale 1992 con la Williams, uno dei più veloci piloti di tutti i tempi, in grado di compiere gesta in pista degne di un romanzo d’avventura come improvvisi scoppi di pneumatici o testacoda ripresi senza conseguenze a 300 Km/h. Il “Leone” ha sempre combattuto con foga e determinazione in ogni situazione. Dagli esordi con la Lotus fino all’epopea Williams passando per la rossa di Maranello. Lottare con Senna, Piquet e Prost, tre tra i migliori piloti di ogni epoca, è stata la sua carriera, la sua vita. Spesso buscandole, altrettante volte vincendo. E’ più facile che un cammello passi attraverso la cruna di un ago che riuscire a raccontare Mansell e le sue gesta in poche righe. Alla fine del 1992 i giochi di mercato lo escludono di fatto dai migliori sedili; lui urla e sbraita… poi passa alla Cart e stravince esaltando ancora di più la sua nomea. Ma vuole tornare in F1 e riesce a correre qualche gara con la Williams orfana di Senna nel 1994 con un bilancio più che positivo: una pole position in Francia e una vittoria in Australia. Ma non è un ritorno; per quello deve aspettare il 1995 quando viene ingaggiato dalla Mclaren. Tra Nigel e Ron Dennis però non corre buon sangue (memori forse di rivalità passate) e la Mclaren Mp4/10 sembra, agli occhi dell’inglese, solo un vecchio mulo recalcitrante. Forse è abituato alla perfezione Williams, forse l’auto è davvero scandalosa, forse la squadra ha già perso la voglia di avere un driver “scomodo” come Mansell… fattostà l’innamoramento non avviene e i risultati parlano chiaro. L’inglese salta vari Gran Premi e alla fine ne disputa solo due con pessimi risultati. Lo stop è l’unico esito di questo matrimonio fallito in partenza e Nigel se ne ritorna a giocare a golf nella sua isoletta.
Honda. A parte la breve esperienza maturata negli anni sessanta con un team proprio, la marca giapponese è universalmente ricordata per il suo fortunato impegno dal 1983 al 1992 quale fornitrice dei suoi motori. In particolare, (dopo una breve fornitura alla Spirit) da fine 1983 equipaggia la Williams, che non tarderà a dominare la scena a suon di successi, e poi la Mclaren con analoghi, fortunati, vincenti risultati. Con la messa al bando dei motori turbo il risultato non cambia e il nuovo aspirato Honda continua a dettare legge fino al 1992, quando la Renault prende il sopravvento. Il bilancio è terrificante: 5 titoli piloti e 4 costruttori. I giapponesi lasciano il campo come impegno diretto delegando alla Mugen l’onere di difendere la bandiera del sol levante. La Honda torna con un impegno diretto nel 1997 con un nuovo motore fornito a B.A.R. e Jordan ma ormai lo scenario è mutato e, a tutto il 2003, stenta ancora a raggiungere la vetta nonostante gli sforzi profusi.