Sull'argomento non ho espresso un voto.
Vi do la mia opinione personale basata su quanto dovremmo (il condizionale è d'obbligo) aver imparato dall'evoluzione dell'aerodinamica nelle corse automobilistiche.
Sono sempre più convinto che le auto da corsa, a maggior ragione le cosiddette "ruote coperte", dovrebbero assomigliare alle auto di tutti i giorni e questo è stato vero fino a che l'aerodinamica non ha preso campo partendo proprio dalla categoria che allora era definita Sport o Sport Prototipi.
Perché la più grande imprecisione che sento più volte è che l'applicazione seria dell'aerodinamica sia nata in Formula 1. E' vero esattamente il contrario.
Ho visto delle foto di un'improbabile ala posticcia su una Porsche 550 (anni '50), ma sostanzialmente fino alla metà degli anni '60 la scienza del vento era praticamente estranea allo sport dell'auto.
Cominciò, intendo avendo un'idea precisa di quello che faceva, di quello che cercava di ottenere, e del metodo impiegato per raggiungere lo scopo, Jim Hall con le sue Chaparral.
Poi la faccenda finì in Formula 1 con le ali a geometria variabile azionate dal pilota ma ancorate alla scocca dietro il roll-bar (Ferrari 1968) e quindi ancora poco efficaci, per poi passare al collegamento alle sospensioni con altezze (e conseguente efficacia) sempre maggiori (Lotus 49 1968) fino alle esagerazioni (ali alte anteriori e posteriori) con sostegni sempre più fragili per limitare la resistenza all'avanzamento che a seguito del doppio incidente di Hill e Rindt al GP di Spagna portarono alla proibizione della geometria variabile (o meglio delle "masse volanti") ed all'utilizzo delle ali "fisse".
In quel 1969 l'aerodinamica prese il sopravvento anche fra i prototipi con gli esperimenti della Porsche e della Matra per Le Mans con code lunghe ed alettoni mobili e fissi sempre più sagomati, apparsi anche sulla Ford 3L l'anno prima.
Più o meno in quel periodo l'aerodinamica "diretta" (il termine è mio) , ovvero quella che cercava ( e cominciava a trovare) la "downforce" (che noi traduciamo abbastanza liberamente con deportanza) tramite la sovrapressione del fluido attraversato sulle superfici chiamate appunto "aerodinamiche", venne affiancata da quella più subdola ("rovescia" come la chiamo io) che punta a trovare la deportanza tramite la creazione di una "depressione" sotto la macchina.
Anche qui ci pensò per primo Jim Hall che lo fece nella maniera più diretta con un "aspiratore" che creava il vuoto sotto la sua avveniristica "2J".
Fu l'inizio della fine (almeno per chi la pensa come me), e dopo qualche anno di incubazione esplose l'effetto Venturi.
Da allora l'effetto suolo, alla luce del sole o camuffato, ha spadroneggiato creando auto sempre più veloci in curva e riducendo quindi, anche per la progressiva sparizione dei circuiti stradali, l'importanza del motore (se non per l'affidabilità) e dei piloti le cui caratteristiche si sono inevitabilmente appiattite perché ormai tutte le auto richiedono più o meno la stessa guida, mentre il Prof. Vaccarella mi ha raccontato che, più o meno a parità di potenza, fra una GT40 ed una 275P2, o una 330P4 la differenza di guida ( dalla tenuta di strada, all' inserimento in curva, per finire alla di curva di potenza e di coppia ecc ecc) era molto marcata.
Vi invito, se ne avrete l'occasione, a guardare qualche filmato "pre-aerodinamica diretta" (per essere sicuri basta limitarsi agli anni '50 e alla prima metà degli anni '60) sia di Formula 1 che di Sport Prototipi e confrontare come vengono affrontate le stesse curve in un filmato "pre-aerodinamica rovescia" (dal 1970 al 1976) e infine con l'effetto suolo o gli estrattori.
Un esempio evidentissimo è la curva che a Le Mans immette sul rettifilo dell'Hunaudiéres: guardate la differenza fra una Jaguar D-Type, una Ford Mark IV, una Porsche 917 e una barchetta Audi dei giorni nostri e capirete perché sarebbe il caso che chi davvero ha il potere di cambiare le cose dovrebbe seriamente pensare di farlo.
Scusate la lunghezza dell'intervento, ma vi assicuro che mi sono limitato al massimo...