da Paddock_75 » 22/11/2007, 16:21
Prima di tutto un saluto agli utenti del forum. Sono al mio primo messaggio qui e fa sempre piacere trovare un luogo (anche virtuale) popolato di appassionati come me.
Il dualismo Prost-Senna (o Senna-Prost) è certamente un tema che mi ha appassionato e continua ad appassionarmi. Mi scuserete quindi se, come presumo, non riuscirò ad impedirmi di scrivere un messaggio molto lungo.
Proprio nei mesi scorsi mi sono rivisto (per l’ennessima volta) le registrazioni delle gare del triennio 88-90 perché per me rivedere un bel G.P. è un piacere equivalente, ma direi superiore, a quello di vedere un grande film. Ho l’abitudine di riguardare spesso le gare degli anni ’80 e degli anni ’90.
Venendo al merito: dopo tutti questi anni penso di essere giunto ad una visione “serena” degli eventi di quel periodo e la mia conclusione è che sia chi è convinto che Prost fosse il migliore, sia chi è convinto che il migliore fosse Senna ha delle ottime ragioni per sostenere la sua tesi.
Si potrebbe fare un discorso più ampio, ma se ci limitiamo alle stagioni 1988 e 1989 (per non andare OT) direi che la valutazione che ho appena scritto è in parte conseguenza dalla constatazione del fatto che entrambi i piloti avrebbero potuto aggiudicarsi il titolo in tutte e due le stagioni, trovo perciò giusto che la sfida sia finita con un titolo a testa.
Se un solo parametro riuscisse ad esprimere l’efficacia di un pilota nell’affrontare le gare di Formula 1 (sintetizzando in un unico numero la somma di velocità, continuità, e intelligenza strategica e tattica, capacità di messa a punto, etc.etc.) penso che nel caso di Prost e Senna avrebbe assunto due valori estremamente simili.
Quello che non era affatto simile è il modo in cui i due arrivavano a questa somma.
L’approccio alle gare dei due campioni era estremamente diverso. Tutti lo sappiamo ed è stato scritto anche in queste pagine:
Senna era il pilota della prestazione assoluta, sul giro secco per la pole resta probabilmente il migliore che la Formula 1 abbia visto negli ultimi 40 anni (dai tempi di Jim Clark). La sua gestione del week end di gara consisteva nel voler essere davanti sempre, in cima alla lista dei tempi in tutte le sessioni di prove libere, oltre che naturalmente in qualifica.
La maggior parte dei piloti cerca la pole position perché è la posizione di partenza migliore per la gara, per Senna era una cosa diversa, era una sfida con se stesso (non solo con gli altri) alla ricerca di quel limite personale assoluto che cercava di raggiungere fino a toccarlo e sentire che c’era qualcosa oltre, che poteva volare ancora più in alto. Lo ha spiegato lui stesso in una memorabile intervista.
Per Senna la velocità non era solo un mezzo per stare davanti agli altri, era anche uno strumento per entrare, in quei 90 secondi, in una dimensione a cui pochissimi hanno accesso.
La sua determinazione e motivazione traspariva anche dal suo modo di affrontare le gare, in cui la sua strategia non era diversa: stare davanti sempre e comunque. Una condotta che lo rendeva più aggressivo del compagno anche nei doppiaggi, specialità in cui ha sempre dimostrato di cavarsela meglio di Prost (guadagnando a volte vantaggi decisi su di lui proprio in queste fasi, come a Monaco nel 1989), e lo poneva in una classe tutta sua sulla pista bagnata.
Nel 1988, quando i due iniziarono a confrontarsi come compagni di squadra, Alain Prost non era più nella condizione di avere un simile approccio alle corse. C’è una dichiarazione molto onesta di Alain in cui dice “non posso spingere sempre al massimo come fa lui, tutti i giorni, in tutte le sessioni, in tutte le gare, provando a fare la pole position sempre. Non posso più farlo” e poi aggiunge “forse sono troppo vecchio”.
Attenzione però, questa dichiarazione era appunto la constatazione della sua differenza di approccio, ma non era una resa, perché Alain era convinto che, nelle occasioni in cui avesse deciso di spingere anche lui al maSsimo, la sua velocità non avrebbe avuto niente da invidiare a quella di nessuno, nemmeno di Senna.
E infatti quella frase fu pronunciata con il sorriso sulle labbra, con serenità oltre con onestà, perché veniva in una giornata in cui Prost aveva appena dimostrato a se stesso che le cose stavano effettivamente così, al termine del Gran Premio del Messico del 1988 in cui ebbe la meglio su Senna proprio sul terreno della velocità pura, arrivando a distanziarlo fino a 10’’ in una battaglia di giri più veloci contro giri più veloci. Una delle sue vittorie più memorabili.
Queste erano le basi su cui si svolse quel confronto: in prova non ce n’era per nessuno e le due stagioni si conclusero con due netti 14 a 2 a favore del brasiliano (che in entrambe le stagioni partì al palo la bellezza di 13 volte), ma in gara la situazione era molto diversa e se è vero che Senna fu globalmente più veloce e incisivo, ottenendo un maggior numero di vittorie, è altrettanto vero che quando Prost volle o ebbe la necessità di rispondere le sue prestazioni lo misero in grado di lottare alla pari con Senna, standogli davanti in diverse occasioni e limitandosi a cercare il miglior piazzamento possibile nelle altre. Una strategia che gli consentì di marcare un numero di punti superiore al rivale in entrambe le stagioni (105 a 94 nella prima, 81 a 60 nella seconda), perdendo il titolo del 1988 solo per la regola degli scarti che venne poi abolita un paio di stagioni dopo senza suscitare particolari rimpianti.
Nel 1988 (e poi nel 1989) molti ebbero l’impressione di vedere un replay del duello tra Prost e Lauda avvenuto pochi anni prima, sempre in seno al team Mc Laren.
E in effetti le similitudini erano molte:
Nel 1984 Prost era appena arrivato nel team ed era alla ricerca del suo primo titolo, Lauda era un due volte campione del mondo già integrato nella squadra (anche se mai come lo sarebbero stati Prost prima e Senna poi).
Prost era più veloce e si assumeva rischi che Lauda non prendeva nemmeno in considerazione. Qualcuno ricorderà quanto spesso Prost riuscì, in quella stagione, a portare la sua McLaren in prima fila nonostante la Porsche fosse l’unico motorista (tra quelli di punta) a non prevedere l’esistenza di un propulsore da qualifica (cioè con una pressione di sovralimentazione spinta a livelli tali da far toccare al motore, per la breve distanza di pochi giri, picchi di 1000-1200 cavalli), il che si traduceva in un deficit di decine, se non centinaia, di cavalli durante le prove.
Lauda rispondeva con una maggiore costanza di rendimento e ammetteva senza problemi la superiorità velocistica del compagno, una volta disse “non posso credere a quanto va forte Prost in prova” e infatti si ritrovava regolarmente distanziato di due o tre file sullo schieramento di partenza.
C’era però a mio avviso una significativa differenza tra il confronto Lauda-Prost e quello Prost-Senna:
Lauda non fu mai in grado di sfidare Prost sul piano della prestazione, mai una volta lo sopravanzò in gara in una battaglia a viso aperto e senza l’intervento di fattori esterni come i guasti meccanici (qualcuno forse citerà Zandvoort 1985, ma non è quello di cui sto parlando). L’austriaco, avendo accettato di essere meno veloce, si limitava a mettersi davanti al resto del plotone (cosa spesso alla sua portata, non solo per le sue doti, ma anche perché la McLaren Porsche in gara era nettamente la monoposto migliore) aspettando e sperando che succedesse qualcosa a Prost. Cosa che in effetti accadde in diverse occasioni nel 1984, tanto è vero che Lauda vinse il titolo per mezzo punto. Lauda era il calcolatore, Prost il pilota del “vincere o rompere”.
Nel 1988 Prost era cresciuto come pilota, aveva vinto due titoli, battuto il record assoluto di vittorie, guadagnato in esperienza e autocontrollo, ma perso qualcosa in aggressività e velocità pura. Aveva fatto suo il “Lauda Way”, preferendo gestire le gare senza più cercare la vittoria a tutti i costi.
Anche Prost, come Lauda quattro anni prima, riconosceva la superiorità in prova del suo nuovo compagno di team, ma, a differenza di Lauda 4 anni prima, quando decideva che era il momento di attaccare, e di lottare con il coltello tra i denti, Senna doveva sudare sette camice per cercare di stargli davanti in gara.
Una di queste occasioni fu proprio la gara di cui si è parlato qui, il Gran Premio del Giappone del 1989. E’ probabilmente la gara che rivisto più volte in vita mia, diverse decine nell’arco di 18 anni e secondo me resta una corsa senza pari, ognuno dei 53 giri di quella gara (specialmente i primi 47) meriterebbe un posto nella storia della Formula 1.
Anzi, ci sarebbe da aggiungere anche un altro giro, quello della pole di Senna, per quanto mi riguarda resta il suo giro di qualifica più impressionante, il suo arrivo in chicane è roba dal pelle d’oca.
Dopo una dimostrazione di forza così straripante da parte di Senna in prova Prost sapeva che se voleva portare a casa il mondiale (che rischiava di perdere come l’anno precedente, pur avendo segnato ben 21 punti in più del brasiliano, per la “solita” regola degli scarti) doveva rispolverare il manico dei tempi migliori, quello che da qualche gara lasciava nel cassetto.
E così fece: centrata una partenza perfetta allungò su Senna fino a quasi 5 secondi nei primi 8 giri (una progressione degna di entrare in cineteca al pari del giro da pole di Senna del giorno prima), mantenendo poi il vantaggio tra i 3 i 4 secondi per due terzi di gara.
Nel finale Senna, anche sfruttando un paio di doppiaggi favorevoli, riuscì a riportarsi nella coda del francese, ma si accorse ben presto che sarebbe stato quasi impossibile superarlo sul dritto perché Prost era partito con ali meno cariche e gli andava letteralmente via in accelerazione e nei due tratti veloci della pista. Senna per contro poteva sfruttare il maggior carico aerodinamico sul misto e in curve come la veloce 130R, che riusciva a percorrere più velocemente di Prost.
E fu proprio all’uscita di questa curva che Senna, decidendo di rischiare il tutto per tutto e senza molte alternative, tentò un ultimo estremo attacco a Prost a 6 giri dalla fine.
Concordo con chi (tra questi Jo Ramirez) sostiene che Senna non sarebbe mai riuscito a fare la chicane entrando fuori traiettoria e a quella velocità.
Inoltre una manovra del genere, considerando la distanza che c’era tra le due macchine prima della frenata, poteva avere successo solo se Prost avesse “collaborato”, ma Prost aveva detto, proprio prima di quella gara, che il tempo delle porte aperte è finito, d’altronde i due già in pratica non si parlavano da quasi 6 mesi, dopo il “patto tradito” di Imola, e infatti Alain chiuse d’istinto il rivale (e al momento di impostare la curva era ancora davanti di quasi mezza macchina, quindi ne aveva diritto) e le vetture si toccarono.
Un incidente di corsa che portò poi alle polemiche che sappiamo, specie per ciò che avvenne dopo, e al titolo mondiale per Prost.
Dopo questo lungo (troppo lungo) post in cui ho cercato (senza ovviamente riuscirci) di non soffermarmi troppo sui particolari arrivo alla mia conclusione che è poi il punto da cui sono partito:
Parliamo dei due più grandi piloti della loro epoca, forse di sempre. A distanza di tutti questi anni non mi interessa più cercare di dimostrare a tutti i costi chi dei due era il migliore (e in merito ho ovviamente un mio personale verdetto che forse traspare da ciò che ho scritto), mi sento solo fortunato per aver assistito in diretta e in prima persona a qualcosa di forse irripetibile. Perché raramente accade che due piloti di questa levatura appartengano alla stessa generazione e possano quindi confrontarsi in pista. Noi che lo abbiamo visto lo sappiamo: non lo dimenticheremo.
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Paddock_75 il 22/11/2007, 17:23, modificato 1 volta in totale.