ciao oggi in università ***** e aveo in mente una storia. eccola se volete darmi consigli, o insultarmi o leggerla, liberi di farlo.
Jack aspirò l’ultima boccata di fumo. Presto i suoi nervi avrebbero avuto bisogno di tutta la nicotina immagazzinata in un’intera mattinata.
Girando lo sguardo vide uomini in tuta da lavoro con le mani nere sporche di grasso; l’aria odorava di benzina e olio e si accorse del rischio che correva fumando proprio lì; ma, infondo, era il rischio minore che nelle successive due ore avrebbe corso.
Sorrise a questo pensiero e getto il mozzicone a terra schiacciandolo con la suola liscissima delle scarpe. Il suo volto tradiva l’età che aveva.;i suoi 25 ani non corrispondevano alle rughe che gli cerchiavano la faccia, retaggio del passamontagna bianco latte schiacciato sul suo viso da un casco azzurro e arancio, oramai il suo marchio di fabbrica. Anche questa volta seguì il solito rituale: si calò l’elmetto sul viso, ammassandoci dentro i suoi capelli biondi, ne corti, ne lunghi, semplicemente eternamente scompigliati; tastò con la punta delle scarpe i suoi 4 pneumatici, ognuno da 20 centimetri di battistrada; per un momento si disse che era di sicuro una ****** con i fiocchi assicurare le sua vita a meno di un metro di caucciù, liscio come la pelle di un bambino; tentò di scacciare questo assurdo pensiero alzando lo sguardo e ammirò il suo esile strumento di lavoro; appariva simile a un sigaro verniciato di verde con una striscia gialla che andava da muso a coda, una macchia bianca circolare sul muso incorniciava il suo numero di gara, il 27 che tanta fortuna gli aveva portato fino ad allora.
Ma un’altra, strana ed inquietante analogia gli venne in mente: sembrava proprio una bara, con delle ruote attaccate, che assomigliavano tanto a corone dei fiori; gli scarichi aggrovigliate in improbabili sculture metalliche appena dietro la sua testa sembravano volerlo attirare a se ed intrappolarlo.
Pensieri, solo inutili pensieri, e in questi attimi sarebbe stato meglio non avere tali idee; scavalcò il bordo della vettura, elevandosi sul sedile, per un momento sentendosi volare al di sopra del suolo poi con un rapido movimento si calò nel suo sedile; la pelle scamosciata lo avvolse a se, abbracciandolo nel seggiolo formato sulle sue dimensioni; gli sembrò allora che tutta la sua vettura gli fosse cucita su di lui, come un sarto farebbe con un vestito; i sui strumenti di lavoro erano alla giusta distanza, né troppo vicini, né troppo lontani, semplicemente si trovavano esattamente dove li avrebbe cercati. Passò una mano sul volante scivolando sulla corona in radica che rifletteva la luce proiettata dalle razze metalliche traforate.
Schiacciò il pedale destro, aspettandosi di sentire un ruggito violento nelle orecchie; non successe nulla; si disse tra se e sé che nulla era se non la calma prima della tempesta.
Ormai i cattivi pensieri si erano dissipati, o almeno solo al momento aveva altro da pensare; tutta la droga del mondo non valeva un grammo solo della sua adrenalina.
I guanti appoggiati sopra il contachilometri nascondevano numeri poco rassicurati che presto sarebbero sarebbero stati raggiunti da una lancetta, che si sarebbe mossa rapida, come impazzita. Avevo ancora una decina di minuti prima di staccare definitivamente il cervello.
Si girò alla sua destra e vide lei. L’aveva conosciuta pochi anni prima in una delle rare volte che ritornava al suo mondo natale. Dopo un caleidoscopio di feste, modelle, attrici, party, ossia le attività che contraddistinguevano il suo inverno, sentiva il bisogno di ritornare a casa, dove c’era il suo mondo da bambino.
Lei era tutto ciò che non era lui e che non erano quelle che gravitavano attorno a lui. Senza troppe parole si erano subito presi, attratti dalle rispettive diversità e non si erano più allontanati.
La guardò nella sua ingenuità e genuinità allo stesso tempo; se ne stava con un ombrello a proteggerlo dal sole, come se quello avesse costituito una insidia per lui; la gonna le arrivava fin sotto le ginocchia, facendola apparire proprio un pesce fuori dall’acqua, in quel’ambiente dove le donne si divoravano alla svelta, venendo spolpate della loro anima. Per averla avevo dovuto aspettare, soffrire, e la sua fama a nulla era servita.
Il vento le scompigliava i capelli biondi mentre gli occhi verdi erano celati da occhiali, come a difenderla dal mondo esterno. Accidenti, pensò, sarebbero, magari un giorno usciti dei bei bambini; non ora però; a lui era già toccato crescere orfano e non voleva imporre il rischio ad altre creature di fare altrettanto.
Per lui si era fatta andare bene ogni aspetto della sua professione; valige sempre pronte, poi voli, bagagli persi, cene sempre in posti diversi, l’amore fatto molto raramente nel letto di casa propria, l’odore della benzina e due ore di autentico terrore; il desiderio di essere mamma come tutte le sue coetanee da rimandare.
Non amava quello che Jack faceva; non capiva perché per girare in tondo si dovesse rischiare tanto, piangeva disperata ai funerali di ragazzi che troppo spesso e troppo giovani morivano per quella insana passione, augurandosi di non essere la prossima a cui sarebbero stati spediti dei telegrammi con frasi di rito.
Però mai l’avrebbe fermato e Jack lo sapeva fin troppo bene; avrebbe anche questa volta passato le prossime due ore con un cronometro stretto in una mano tremante; dopo averlo bloccato alla fine di ogni giro, avrebbe ringraziato dio che in quel giro non gli era successo niente; meticolosa com’era, avrebbe annotato il tempo ottenuto in un foglio, compilato con una bella tabella con già segnati il numero dei giri che ci sarebbero stati quel giorno; ad ogni giro avrebbe affiancato il tempo; Jack la guardò e rise della sua innocenza, credendo in cuore suo che segnare già il numero dei giri totali era una *****, uno spreco di grafite, perché, chissà, se sarebbe arrivato al seguente.
Il solito rituale prima del via avveniva anche quest’oggi; i guanti infilati lentamente, stretti bene, la sciarpa viola legata attorno al collo, come portafortuna, una preghiera a un dio al quale non credeva, ma nel dubbio riteneva fosse cosa saggia ingraziarselo con litanie imparate da bambino.
Quanto era lontana per lui quell’età. Per un momento ripensò al perché faceva ciò. Non era nato ricco, come poteva esserlo venendo dai quartieri operai eretti nel secondo dopoguerra nell’Est End londinese?
A scuola gli avevano pronosticato un’esistenza difficile, e pensando a ora non poteva che ridere. Le prime *****, poi un lavoro lo aveva salvato dalla strada e da un futuro di scaricatore di chiatte nel bacino del Tamigi.
In officina si era appassionato alla meccanica e alle leggi che ne governano l’esistenza; ma la sua passione più forte era tanto semplice quanto distruttiva; prendere le macchine appena riparate e schiacciare a fondo il pedale destro, anche se non aveva l’età per farlo.
Che casino quella volta che in una curva distrusse la macchina di un cliente particolarmente danaroso. Ripensò alla paura di allora e di come quell’evento gli cambiò la vita. Successe che in cambio del lavoro gratuito per riparare la vettura incidentata aveva avuto la possibilità da parte del proprietario della macchina di sfogare il suo talento a bordo di una sua monoposto, ovviamente correndo a gratis, nelle prime corse che si andavano affermando nell’Inghilterra degli anni sessanta.
Una mano gli sfiorò le cosce, destandolo dai suoi pensieri; Bill, il suo meccanico lo stava legando al suo destino, stringendo come un forsennato le cinture di sicurezza. Per un momento gli si annebbiò la vista per il poco ossigeno che i suoi polmoni impossibilitati a espandersi bene riuscivano a catturare.
Perché andare avanti con questa vita, si chiese? Domanda cattiva, che uno nelle sue condizioni non avrebbe dovuto fare se non voleva prendere paga in gara.
Sicuramente non era per i soldi. O almeno non ora. Aveva barche, auto, case, ville, e con quello che gli avanzava avrebbe potuto essere uno dei più ricchi dei quartieri londinesi.
Non lo faceva per il prestigio, per la fama o quanto altro, visto che rifuggiva dalla popolarità asfissiante. Sicuramente non lo faceva per le donne, anche se era innegabile che molte donne cedevano al fascino del suo lavoro e lui, di sicuro, ne aveva approfittato per condividere un letto, una sedia, un muro, molte volte.
“gentlemans start your engine” gracchiò la voce distorta speaker. Lei lo lasciò li solo con davanti solo boschi e foreste e un nastro di asfalto che entrava in esse.
Il motore otto cilindri entrò in moto con un boato secco, poi si acquietò un poco, come un gatto in attesa di mordere.
Si calò la visiera e celò al mondo i suoi occhi glaciali. Ora era calmo e in pace con se stesso. Non aveva paura.
Non aveva più pensieri se non quello di come aggredire il più forte possibile le curve. Ripassava mentalmente le pieghe in mezzo alle foreste, di una pista che non perdona. Vivere o morire e lui si sentiva fortissimo.
Luci rosse accese.
Il frastuono si leva fortissimo.
La gente assiepata sui terrapieni freme.
Fu un attimo e capì tutto, capì il perché anche sta volta si trovava lì.
Girò la testa a destra. Strano, si dissero dal bordo pista: i suoi avversari li aveva tutti sulla sinistra. Ma lui guardando a destra aveva trovato la risposta ai suoi perché. A destra vi era un concorrente che solo lui poteva vedere, una sorta di suo demone, con il quale tutti dovremo fare i conti, con il quale ogni volta ingaggiava una spietata guerra che fino ad adesso lo aveva visto trionfare sulla Signora in Nero la quale proprio ora ricambiava il suo sguardo.
Luci verdi. Prima marcia. Le ruote fumano.
“prova a prendermi, se ci riesci” disse Jack.