DA SPA ALLA 24 ORE DI LE MANS 1970

Ci risiamo.
Un' altra puntata di quella stagione di corse in quell'anno straordinario per tante cose.
Vediamo di ricordare dov'eravamo arrivati: Spa e le sue vertiginose velocità erano appena archiviate quando si archiviò definitivamente anche il Mondiale Marche e si perse tragicamente un probabile futuro campione, dimenticato troppo in fretta in una stagione che avrebbe reclamato altre vittime molto più famose: Bruce McLaren, Piers Courage, Jochen Rindt...erano solo i grani più brillanti di un rosario di lutti.
Tornando alle corse: con il titolo definitivamente assegnato alla Porsche la stagione era finita solo sulla carta e per qualcuno doveva ancora incominciare...


Da Spa a Le Mans
L'esperienza di Spa non migliorò certo i rapporti già tesi fra Ickx e la Ferrari.
Surtees, com'è ovvio, non ci restò benissimo, ma il cronometro aveva chiaramente sancito che il vento aveva ormai figli più giovani di lui.
E più veloci.
John, da quel grande che era, si rassegnò al tramonto senza sussulti di una eccezionale carriera, che ,senza alcune incomprensioni, avrebbe potuto essere ancora più ricca di trionfi.
Continuò a costruire monoposto e con quelle a correre in F1, guidò ancora le Ferrari nel Mondiale Marche, ma non lasciò più il segno.
Per la Ferrari il Mondiale Marche, dopo Spa, era ormai appeso ad un filo di ragnatela aritmetico che lasciava, a rigore, qualche remota speranza, ma il bilancio era decisamente a favore della Porsche: sei vittorie (Daytona, Brands Hatch, Monza, Targa Florio, Spa) contro una soltanto (Sebring) e molti piazzamenti che spesso erano serviti soltanto ad aumentare l'amarezza.
Al Nurburgring il discorso si sarebbe potuto chiudere senza più appello.
La Porsche si presentò ancora con le "biciclette", stavolta due per la Gulf-Wyer e due per la Salzburg KG, la Ferrari rispose con le solite tre 512 S,stavolta in versione "barchetta", affidate a Surtees-Vaccarella, Giunti-Merzario, e Ickx-Schetty.
Quest'ultima unità non prese parte alla corsa causa un incidente nelle prove che la danneggiò a tal punto da renderla inutilizzabile e Ickx, vale a dire il pilota migliore a Spa, restò a piedi.
Nelle prove accadde anche una tragedia. La Porsche 908 del finlandese Hans Laine uscì di strada e mentre i soccorritori, fra i quali il collega Gerard Koch, cercavano di aiutare il pilota rimasto bloccato nell'auto, ferito ma cosciente, s'incendiò. Le fiamme divamparono con una tale intensità da impedire a chiunque di avvicinarsi per estrarre il pilota dal relitto dell'auto.
Quando, un quarto d'ora dopo, le fiamme erano state domate per il povero Hans Laine non c'era più nulla da fare.
Laine, assieme a Derek Bell, era stato la grande rivelazione di Spa, un circuito dove non si poteva mentire sulle proprie qualità di pilota.
Correva per un Team finlandese, l'AAW Racing Team (Antti Aarnio Wihuri, le cui iniziali davano il nome al Team era un pilota finlandese dotato di mezzi finanziari ed intraprendenza) che aveva già lanciato Leo Kinnunen.
Con la 917 K, gialla e arancione, Hans Laine aveva strabiliato a Spa classificandosi, in coppia con van Lennep, al quinto posto, dopo aver ben figurato a Monza, undicesimo.
Ancora meglio era andato con la 908/2, con la quale si era ucciso al Ring, a Brands Hatch ed alla Targa Florio dove aveva raccolto due quarti posti.
Hans Laine era destinato a diventare qualcuno, il suo nome era finito su molti taccuini, si diceva non ultimo quello di John Wyer che per i piloti aveva fiuto ed attenzione, avrebbe potuto prendere il posto del suo amico e connazionale Leo Kinnunen che stava rompendo con la scuderia inglese della Porsche.
La gara del Nurburgring andò come doveva andare, stavolta vinsero le Porsche 908/3 della Salzburg KG, mentre quelle della Gulf-Wyer rimasero a secco di punti e Kinnunen vanificò il buon inizio di Rodriguez, anche perché corse in condizioni quanto mai difficili dopo la tragedia di Laine.
Anche in questo caso, come alla Targa, la distinzione fra Gulf e Salzburg era arbitraria: le macchine "inglesi" non passarono mai per Slough e il Team Wyer fece solo atto di presenza formale al Ring, le "biciclette" erano state preparate alla perfezione a Zuffenhausen ed a differenza di quanto accadeva con le 917, le 908/3 erano in realtà tutte e quattro Porsche ufficiali dipinte in modo diverso.
Vinse Vic Elford, uno che meriterebbe il titolo di "Lord of the Ring" avendo trionfato in carriera ber ben cinque volte nell'inferno verde delle colline dell'Eifel: per tre volte nella 1000 Km e per altre due nell'Europeo Marche 2 litri.
Al Nurburgring quindi si chiuse il discorso relativo al Mondiale Marche, definitivamente assegnato alla Porsche, ma il Drake aveva un'idea per rovesciare la situazione.
E non avrebbe tralasciato nulla pur di metterla in atto.

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Le Mans, la corsa della verità


Non lo avrebbe mai ammesso. ma quell'idea, lui, il Drake, l'aveva presa da Henry Ford che qualche anno prima aveva snobbato il Mondiale per puntare tutto sulla vittoria a Le Mans, certo com'era che quell'unica vittoria valesse, in termini di prestigio e di pubblicità, molto più di tutte le altre messe assieme e dello stesso titolo costruttori
Anche stavolta la sfida per Le Mans era molto sentita, quasi come ai tempi della Ford.
La Porsche infatti, come la Ford allora, non aveva mai vinto sul circuito francese se non nelle classi inferiori o alll'indice di prestazione, tutte vittorie tecnicamente molto indicative ma la cui risonanza si fermava all'ambiente degli addetti ai lavori e difficilmente arrivava a conquistare i titoli sui giornali, logico che la casa di Zuffenhausen puntasse ad un trionfo nella classifica assoluta che avrebbe avuto il significato di una consacrazione definitiva del dominio nella classe Sport-Prototipi.
La Ferrari, invece, tornando a vincere dopo quasi un lustro di digiuno, avrebbe reso meno amara la sconfitta nel Mondiale Marche ed, al tempo stesso, riconquistato quell'alloro tanto ambito da essere ritenuto più prestigioso, cosa che il Drake non avrebbe mancato di sottolineare, dello stesso titolo Mondiale.
Il Vecchio poi per Le Mans aveva un occhio di particolare riguardo, chiamava la 24 ore, “la corsa della verità” perché era una corsa che non perdonava nulla, che puniva ogni disattenzione e non tollerava l’approssimazione, la corsa dove non si poteva barare.
Porsche o Ferrari, prima vittoria o prestigiosa rivincita, Le Mans era comunque diventata un'ossessione ed entrambe le rivali misero in campo ogni risorsa per prepararsi all’impegno nel migliore dei modi
Com'era inevitabile l'aerodinamica tornò ad essere protagonista.
Per vincere la 24 ore c'erano due correnti di pensiero: una, della quale era il più grande sostenitore Ferdinand Piech, sosteneva la necessità di sfruttare al massimo la velocità sul rettifilo delle Hunaudières con l'adozione della carrozzeria profilata detta anche "Lang Heck" ("coda lunga"), l'altra, capitanata da John Wyer in persona, contava sul miglior comportamento nel tratto misto veloce delle versioni "K" ("Kurz Heck") e puntava a migliorare il comportamento di questa versione nei punti di massima velocità.
Sulla configurazione a "coda lunga" avrebbe puntato la Salzburg KG, nonostante Kurt Ahrens fosse miracolosamente uscito vivo da un terrificante incidente occorsogli al volante di una 917 di quel tipo sulla pista di prova della Volkswagen, ad Ehra-Lessien, l'unico circuito stabile dotato di un rettifilo di 9 Km.
La Gulf-Porsche aveva invece deciso, a priori, di non usare la versione a coda lunga, detestata dai piloti per la sua instabilità, questo confermava la spaccatura fra le due anime della Porsche, quella austro-tedesca e quella inglese, sempre più difficili da far coesistere.
John Wyer, tuttavia, ammetteva che la 917 K avesse "...la penetrazione aerodinamica di un pianoforte a coda con il cofano sollevato...", e questo era un problema, ed andava risolto
Ci avrebbe pensato, come al solito, John Horsman.
L'idea era quella di aumentare la penetrazione aerodinamica riducendo l'inclinazione degli spoiler posteriori, inserendo un piccolo alettone mobile fra le due code, per recuperare l'effetto deportante in maniera più efficace della soluzione "artigianale" realizzata a Spa.
La Ferrari si indirizzò sulla stessa strada delle Porsche austro-tedesca, realizzando una carrozzeria aerodinamica per la 512 S, basata anch'essa sulla "coda lunga" per ottenere miglior penetrazione aerodinamica e quindi migliori prestazioni velocistiche.
Anche a Maranello, forse, non tutti erano convinti che quella fosse la strada giusta da percorrere, ma venne percorsa e per verificarne la validità si mobilitarono tutte le possibili risorse, arrivando addirittura, con l'aiuto della Fiat, a ottenere la possibilità di provare su un tratto autostradale chiuso al traffico.
Non mancò qualche attrito con i piloti per questo.
Con Ickx, soprattutto.
Il belga si rifiutò di rispondere alla convocazione per le prove e, quando fu nuovamente contattato, stavolta "a nome del Drake", per convincerlo dell'importanza di prendere familiarità con la nuova configurazione, rispose con una frase destinata alla leggenda: "...dite al Commendator Ferrari che avrò 24 ore di tempo per imparare a guidarla..."
Chissà se le cose andarono davvero così e se quella frase fu riferita al Drake senza addolcirla in qualche modo.
Di sicuro, da allora, i rapporti fra Jacky Ickx e la Ferrari non migliorarono più.
-"Erano quelli i tempi in cui lo chiamavano 'Pierino la peste' e mangiava spaghetti crudi" - è questo il ricordo che Giulio Borsari dedica a Jacky Ickx nelle sue memorie.

(continua)

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Ora la velocità pura fa un po' sorridere, ma all'epoca era presa molto sul serio...

Quattrocento chilometri all'ora

Le prove, con o senza Jacky Ickx, vennero fatte e la 512 “allungata” fu cronometrata a 340 Km/h nel tratto autostradale chiuso al traffico per intercessione diretta, dissero, addirittura dell'Avvocato Agnelli.
Fu considerata una prestazione rispettabile, ma inferiore a quella di cui venivano accreditate le Porsche 917 LH.
Qui, per onestà intellettuale, andrebbe aperta una parentesi riguardo alle velocità di punta sulle Hunaudières, autentico tormentone di quegli anni.
Il rettifilo, diventato famoso con la grande corsa, era composto in realtà da due tratti rettilinei raccordati da una velocissima “s”, più teorica che reale, detta “Mulsanne kink” che in pratica risultava quasi impercettibile.
L’ingresso al primo tratto avveniva provenendo dalla veloce “s” del Tertre Rouge e in pratica i successivi quasi 7Km di pista , coperti in un minuto e mezzo circa erano percorsi “flatout”, nel secondo tratto, il più impegnativo più che altro perché i piloti erano in tensione da oltre un minuto, c'era un dosso pronunciato e subito dopo, una frenata impegnativa per l’inserimento nella curva di Mulsanne che era quasi una 90° perfetta
Questo interminabile rettifilo ("che ad ogni giro sembrava più lungo" - ho sentito dire da Zeccoli) era il simbolo di Le Mans, al tempo stesso la parte più facile e la più pericolosa, perché se all'epoca c'era un "luogo della velocità", non era il catino di Indianapolis ma questo pezzo di strada nel Dipartimento della Sarthe.
Il punto in cui le auto raggiungevano la velocità massima, o almeno il punto nel quale veniva rilevata con le strumentazioni disponibili la velocità delle auto, si trovava circa a tre quarti del rettifilo completo.
I primi sistemi di misurazione erano a fotocellula, poi si imposero quelli a impulsi radio, in pratica veniva cronometrato il tempo di percorrenza fra due punti e con quello calcolata la velocità media nel tratto percorso.
Cominciarono a misurarla quasi per curiosità, nel 1961.
Nel 1963 la Ferrari di Pedro Rodriguez (che era il modello 330 TRI vittorioso l'anno precedente, ultima Ferrari e ultima auto da corsa a motore anteriore a vincere la 24 Ore di Le Mans) nel giro col quale conquistò la "pole" fu anche la prima a superare i 300 Km/h. Il responso fu di 302 Km/h.
La prima che invece superò il muro "psicologico" dei 300 all'ora in corsa fu l'anno dopo la Maserati 151/3 di Simon e Trintignant, un mostro di 5000cc a motore anteriore, accreditato a 310 Km/h. Uno degli ultimi prototipi della Casa del Tridente.
La velocità sulle Hunaudières diventò un’ossessione ai tempi della Ford, quando i tecnici americani, peccando decisamente d’ottimismo, ipotizzarono, dopo non meglio specificate “simulazioni al computer”, che il prototipo Ford “J”, diventato poi la Ford Mark IV con soluzioni meno estreme, avrebbe potuto raggiungere i 400 Km/h.
Dopo le prime esperienze con le GT40 e le Mark II, nel ’66 l’ignoranza in campo di aerodinamica di veicoli terrestri da competizione era ancora quasi assoluta, e le soluzioni erano legate all’intuizione.
La Ford “J” risultò molto più lenta del previsto (in prova fece segnare 320Km/h) ed i 400Km/h restarono un sogno lontano.
Qualcuno imputò questo risultato imprevisto in termini velocistici all'eccessiva resistenza all'avanzamento, ed alla coda tronca del prototipo americano che l'errato modello di calcolo non aveva evidenziato nelle simulazioni.
La Mark IV che, con 343 Km/h nelle prove dell'edizione 1967, aveva fissato il record della velocità aveva infatti una coda allungata, o meglio "profilata", che si ispirava alle soluzioni aerodinamiche, un po' naif, messe in atto dalle Porsche 906 e dalle piccole cilindrate come le Alpine Renault.
Anche la Porsche 917 nel ’69 con la coda lunga ormai esasperata e "stabilizzata" con gli spoiler mobili, per i quali avevano avuto una speciale dispensa, promettevano di avvicinarsi al limite dei 400 Km/h, ma in realtà rimasero molto al di sotto (319 Km/h in gara, 312 in prova) in quanto, alla frenata di Mulsanne tendevano a perdere aderenza al retrotreno.
Tenendo conto di quanto detto i 340 Km/h della 512 "allungata" erano un risultato senz'altro promettente.
Per la grande sfida la Porsche preparò per la Salzburg KG una 917 LH affidata ad Elford - Ahrens, alla quale venne affiancata una 917 K nella configurazione aerodinamica classica ed il motore 4,5 litri, ritenuto più affidabile.
Un'altra 917LH affidata a Larrousse e Khausen, venne iscritta dalla Martini International Racing Team con una livrea destinata ad entrare nella storia: era la prima macchina con un disegno "psichedelico".
La Gulf-Wyer mantenne le sue convinzioni iscrivendo tre 917 K con l'ultima configurazione aerodinamica, quella con il piccolo alettone fra le due pinne di coda, la terza auto venne affidata a Mike Hailwood e David Hobbs.
La 917 del Team finlandese AAW, affidata stavolta a Piper e Van Lennep completava lo schieramento tedesco.
La Ferrari rispose con uno squadrone formidabile: quattro 512S "allungate" ufficiali per Vaccarella-Giunti, Ickx-Schetty, Merzario-Regazzoni e Peterson-Bell, segno che Derek Bell a Spa non aveva impressionato solo Wyer.
Ma a queste se ne aggiungevano altre sette (!) con la scuderia americana NART(due), la spagnola Montjuich, quella svizzera Filipinetti (addirittura tre...), e l'Ecurie Francorchamps: uno spiegamento di forze ed anche un conseguente sforzo organizzativo senza precedenti per la casa di Maranello.
Nelle prove spiccò Vic Elford, che l'anno prima si era arreso dopo 22 ore: il suo tempo gli valse la "pole", ma Vaccarella finì solo a 2/10 e Siffert dimostrò che la scelta del Team Wyer non era campata in aria, quarto si piazzò Regazzoni e quinto Rodriguez.
Sarebbe stata una bella lotta, questo lo si capiva.

(...continua...)

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Ancora un po' stordito per l'onore ricevuto e per l'attenzione nella scelta della foto, la stessa che ho impiegato nel mio blog e sul mio sito per ricordare Pedro Rodriguez, vi invio un'altra puntata della saga sulla stagione 1970.
Vi ricordo che ci siamo lasciati a Le Mans, nell'imminenza della partenza.
Sul tavolo ci sono le fiches di un vecchio Drago che non ha mai imparato a perdere e che ha rilanciato tutto sul piatto più importante, e quelle di un uomo la cui squadra ha trionfato nelle ultime due edizioni della grande corsa ed ha appena conquistato il Mondiale Marche per la Porsche.
"Le Mans" - dicevano - "non fa mai sconti", anche stavolta non avrebbe fatto eccezione ed il conto l'avrebbero pagato entrambi.



La disfatta di Wyer

E una bella lotta lo fu senz'altro.
Una corsa combattuta, difficile, incerta e con un epilogo tragico.
Ma andiamo con ordine.
Per al prima volta il via venne dato senza la classica partenza "alla Le Mans".
Le auto erano piazzate nello stesso punto, davanti ai box, nella stessa posizione a spina di pesce, ma i piloti erano nell'abitacolo con le cinture di sicurezza allacciate e il motore spento, che sarebbe stato acceso solo all'abbassarsi della bandiera dello starter.
Elford fu il più pronto, dietro di lui si inserì Siffert, poi superato da Rodriguez ed alla fine della prima ora le tre Porsche erano ai primi tre posti, ed al quarto c'era l'altra Gulf-Porsche con al volante Mike Hailwood.
Molti cominciarono a pensare che John Wyer avrebbe conquistato la sua terza Le Mans di fila, la quarta considerando quella vinta nel '59 quando era Team Manager dell'Aston Martin.
Ma il cielo sopra Le Mans aveva in sorte qualche sorpresa.
I guai cominciarono all'improvviso dopo una ventina di giri quando Pedro Rodriguez si fermò con una biella rotta: un guasto impossibile da spiegare dopo appena un'ora di gara se non con un pezzo costruito male.
Pedro la prese malissimo, ci teneva a vincere la sua seconda Le Mans.
Qualcuno alla Porsche ammise poi, a mezza bocca, che dovendo preparare un gran numero di motori i controlli ai raggi X sulle bielle, previsti dal protocollo, erano stati fatti "a campione".
Era solo l'inizio della giornata nera di John Wyer.
Poco dopo era iniziato a piovere, Hailwood si era fermato per il rifornimento, ma era ripartito senza voler montare le "rain".
Immediatamente dopo, quando la 917 di Mike era ancora nella "pit lane" però, la pioggia si era trasformata in diluvio.
David Yorke, allora aveva subito telefonato al posto di segnalazione di Mulsanne perché ordinassero a "Mike the bike" di rientrare per cambiare le gomme, ma quando gli risposero gli dissero che era appena transitato e, senza aver avuto segnalazioni, Hailwood passò nuovamente davanti ai box senza fermarsi.
Si sarebbe fermato poco dopo contro un'auto parcheggiata ai bordi della pista dopo aver perso il controllo per un aquaplaning sotto il diluvio: non era ancora scoccata la quarta ora di gara e due delle tre Gulf-Porsche erano già fuori.
Non avendo avuto nessuna segnalazione Mike Hailwood aveva pensato che ai box della Gulf Wyer non fossero pronti, invece lo stavano aspettando, inutilmente, con un treno di gomme da pioggia.
Intanto era passata a condurre la corsa la Gulf-Porsche 917 di Jo Siffert e Brian Redman, che sembrava poter controllare la corsa.
Lo fece per ore, saldamente al comando, nulla sembrava poterla scalzare, ma quella non era la giornata di John Wyer e del suo team e la 24 Ore di Le Mans era una corsa maledetta per Jo Siffert: in sette partecipazioni avrebbe raccolto solo un quinto ed un quarto posto e cinque ritiri, gli ultimi quattro consecutivi.
Dopo sette ore in testa, con un vantaggio che ormai superava i cinque giri, la Gulf Porsche di Siffert, appena prima del ponte Dunlop, stava per superare un paio di piccole cilindrate, un gesto semplice per un pilota, apparentemente banale.
Ma banale non fu: Jo Siffert, infatti, sbagliò a cambiare la marcia, e fece quella che si chiama in gergo "una sfollata".
La Porsche 917 non aveva il limitatore di giri, e l'urlo del 12 cilindri tedesco fu l'annuncio della fine.
Dopo un giro concluso a passo d'uomo, Jo Siffert rientrò ai box: la terza Gulf Porsche aveva rotto il motore.
Enzo Ferrari non per nulla la chiamava "la corsa della verità", una corsa che non perdonava niente a nessuno e che aveva condannato uno di migliori piloti "endurance" di tutti i tempi ad un mortificante ritiro per un errore da principiante, un errore dovuto ad un attimo di deconcentrazione pagato carissimo.
Dopo 10 ore la terza vittoria consecutiva del Team Wyer a Le Mans svaniva nei vapori dell'olio bruciato che gocciolava mestamente da entrambi gli scarichi dell'ultima 917 arancio e celeste, mescolandosi alla pioggia .
La grande corsa non ebbe più sussulti né sorprese, il comando della classifica era stato ereditato dalla Porsche 917 della Salzburg, equipaggiata con l'indistruttibile motore 4,5 litri ed affidata ad Hans Hermann e Dick Attwood, che seppero amministrare il vantaggio fino alla fine.
Ma quella era stata anche una notte tragica.

(continua...)

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Ci eravamo lasciati a Le Mans in piena corsa con John Wyer nei guai, e la Ferrari ?


Jacky Ickx non sbaglia mai

Le speranze della Ferrari, importanti alla vigilia, si erano ridimensionate bruscamente dopo tre ore di gara per un evento imprevedibile e quasi grottesco che non avrà migliorato certo l'umore di quel signore anziano di cui ogni tanto si parla.
Clay Regazzoni lo ha raccontato così: " Aveva iniziato Merzario, poi io gli avevo dato il cambio mentre cominciava a cadere qualche goccia di pioggia. <<Arturo com'è la pista ?>>
<<Non ci sono problemi>> mi aveva risposto.
Ero ripartito allora con le gomme da suolo secco e mi ero subito trovato davanti altre due Ferrari: quella di Parkes e quella di Wisell.
In frenata superai subito quella di Parkes.
Avrei potuto fare loo stesso con quella di Wisell, ma il pensiero di essere in una ventiquattro ore e non in un Gran Premio mi frenò.
Poco prima di Maison Blanche, le tre Ferrari:Wisell, io e Parkes, nell'ordine, raggiungevano un'Alfa Romeo. Era De Adamich che non si accorgeva della formazione alle sue spalle ed iniziava il sorpasso di una vettura più lenta. Colto di sorpresa, Wisell frenava di colpo. Il resto avvenne automaticamente: io sbattevo contro Wisell e Parkes contro di me. Colpa anche delle gomme da asciutto che sull'asfalto appena bagnato non avevano tenuto.
Il cofano posteriore della macchina di Wisell era finito sul tettuccio, bloccando le portiere e lui non poteva uscire.
Era la terza ora e tre Ferrari era fuori combattimento"

Fortunatamente, aggiungo io, la Ferrari di Wisell non s'incendiò altrimenti la tragedia sarebbe stata inevitabile: col pilota bloccato nell'abitacolo, si sarebbe potuta ripetere la terribile morte di Hans Laine al Nurburgring.
Le speranze "ferite" della Ferrari ripresero vigore dopo il ritiro delle prime due Gulf Porsche 917 e con l'arrivo della pioggia battente che indubbiamente favoriva l'abilità di Ickx, anche perché l'altro "mago della pioggia", Pedro Rodriguez, era già fuori dai giochi.
Con una rimonta esaltante il belga si era portato in seconda posizione e guadagnava terreno con regolarità: più pioveva, nel buio della notte sciabolata dai fari delle auto, più Jacky sembrava aver ereditato gli "occhi di gatto" di Gendebien che uniti alla sua prodigiosa sensibilità di guida sul bagnato lo rendevano il pilota nettamente più veloce in gara.
Non ci sono conferme certe sulla dinamica di quanto accadde alla Chicane Ford, alle due meno un quarto di quella notte da lupi, si instaurò in seguito (e ne ha parlato Power in uno dei suoi preziosi interventi) una sorta di Rashomon in cui ognuno dei protagonisti, diretti ed indiretti dell'episodio raccontò versioni diverse.
Gli organizzatori erano felicissimi di liquidare l'accaduto come una tragica fatalità, dovuta alla scarsa visibilità ed alla ancor più scarsa aderenza che avrebbero indotto, assieme all'inevitabile stanchezza, il pilota a perdere il controllo.
Come loro la voleva pensare la Gendarmerie.
Ickx, invece, di ammettere un suo sbaglio non ci pensava nemmeno e fece di tutto per addebitare l'accaduto ad un inconveniente meccanico, cosa che, se accertata con le perizie del caso, avrebbe messo nei guai la Ferrari chiamata a risponderne. La 512 venne messa sotto sequestro e a Gozzi, Direttore Sportivo, venne ritirato il passaporto.
Poi la faccenda si sgonfiò, ma per diverse ore a Maranello l'aria diventò pesante.
Cambio e freni vennero ispezionati senza trovare nulla che avvalorasse le tesi del campione belga, ma ancora oggi non mancano siti anche autorevoli che attribuiscono la causa dell'incidente al bloccaggio dei freni posteriori.
L'unica cosa certa fu che per l'ennesima volta la 24 Ore di Le Mans aveva reclamato un tributo di sangue.
Veniamo ai fatti, tralasciando le interpretazioni.
La Ferrari di Ickx uscì di strada all'imbocco della Chicane Ford, sfondò le barriere di protezione e investì in pieno un commissario di gara uccidendolo sul colpo.
Secondo la ricostruzione che ho trovato, il poveraccio stava riposando in un sacco a pelo fra le balle di paglia in un riparo di fortuna.
Probabilmente aveva dato il cambio ad un collega.
Questo fatto, e le prime concitate ricostruzioni dell'accaduto, fecero sì che molte fonti riportassero un bilancio di due vittime (un commissario di gara, appunto, ed un tifoso che dormiva nel suo sacco a pelo, come ha scritto Power).
In realtà, almeno secondo quanto ho trovato io, vi fu una sola vittima.
In quel punto del circuito, durante le prove era anche avvenuto un altro gravissimo incidente il cui esito aveva letteralmente fatto gridare al miracolo.
Dieter Spoerry, con una vecchia Porsche 908/2, probabilmente per un problema ai freni particolarmente sollecitati in quel punto, era entrato in collisione con la Matra di Jack Brabham, e poi letteralmente volato fuori pista in piena velocità.
La sua Porsche aveva piroettato più volte come una trottola impazzita, infine si era spezzata all'altezza del motore in due tronconi, che avevano terminato la loro folle corsa al di là dello sbarramento. La dinamica dell'incidente, ai pochi che l'avevano visto, non lasciava nessuno spazio alla speranza di un esito fausto.
Invece i primi soccorritori ebbero la sorpresa di vedere Dieter Spoerry slacciarsi la cintura dal seggiolino rimasto incredibilmente solidale con un troncone del telaio e uscire da quel poco che restava della metà anteriore della sua Porsche letteralmente senza un graffio.
In quella terribile carambola, Dieter Spoerry aveva soltanto perduto entrambe le scarpe.

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Rivisitando questa stagione di gare mi accorgo che fu davvero "A year to remember" come la Gulf volle intitolare il documentario a scopo pubblicitario che la consegnò alla storia.
Una stagione in cui vi fu un po' di tutto: trionfo e sconfitta, tragedia e polemiche, rivalità accese e giochi di potere, una stagione nella quale successe davvero tutto ma nella quale sarebbe bastato pochissimo perché potesse succedere il contrario di tutto.
Se avrete la pazienza di leggere ancora vi accorgerete come anche nel finale di quell'anno 1970 sarebbero accadute cose che non si spiegano facilmente, neppure traguardate con la lente del tempo.



La resa dei conti

Tornando alla corsa ed al suo epilogo, si può dire che molte cose andarono al loro posto: la Porsche, al terzo assalto in massa alla 24 Ore di Le Mans, colse la prima di una lunga serie di vittorie, Hans Hermann, "Der Alte Hans", il vecchio Hans come lo chiamavano con affettuoso rispetto i meccanici della Porsche, si prese la rivincita sulla beffa dell'anno precedente, quando aveva perduto la 24 Ore per meno di 200 metri, superato allo sprint da Jacky Ickx e così poté onorevolmente concludere una lunga carriera col successo più importante.
L'aveva promesso alla moglie "Se vinco a Le Mans smetto di correre", ma nessuno, lei per prima, ci aveva creduto.
Invece "Der Alte Hans" annunciò il suo ritiro proprio durante la cerimonia ufficiale di celebrazione della prima vittoria della Porsche alla 24 Ore di Le Mans, nel Municipio di Stoccarda dove era arrivato, da Zuffenhausen, facendo passerella con la vittoriosa Porsche 917 bianca e rossa.
Quella vittoria rappresentò anche il riscatto della Porsche Salzburg, "la vera Porsche", che finalmente colse un altro importante successo in una stagione che l'aveva vista trionfare solo alla 1000 Km del Nurburgring.
Grazie a questo successo Ferdinand Piech, il giovane ed ambizioso "rennfuhrer" erede di Huschke Von Hanstein, poteva far leva sulla conquista di due delle quattro grandi classiche dell'Endurance (le altre erano la Targa Florio e la 12 Ore di Sebring) per riequilibrare, nel prestigio dei risultati conseguiti se non nel numero di successi, la bilancia del confronto con la Porsche "inglese" del Team Wyer.
In realtà, a ben guardare, però erano proprio le idee di Piech ad essere uscite sconfitte dalla 24 Ore di Le Mans: lui era stato il sostenitore della "coda lunga", ed aveva vinto il modello "K", quello con la coda tronca, lui era stato il fautore e primo sperimentatore del motore 5000 cc e la macchina vincente era equipaggiata con il vecchio 4500 cc.
A parte questo il trionfo della Porsche "austriaca" non passò inosservato e la casa tedesca non fece molto per evitare che la vittoria a Le Mans superasse in prestigio e popolarità quella nel Mondiale Marche, dovuta in massima parte a John Wyer ed al suo Team, nel quale la disfatta della 24 Ore lasciò molti strascichi.
Nel suo libro di memorie ("The certain sound") John Wyer racconterà anni dopo di un accordo con Ferry Porsche e Madame Louise Piech, la titolare della Salzburg e sorella dello stesso Ferry Porsche, stipulato, in piena notte, sulla terrazza dei box di Le Mans.
Lo scopo era quello di assicurare la prima vittoria della Porsche a Le Mans, evitando una lotta fratricida che avrebbe potuto favorire, dopo il ritiro delle Gulf-Porsche di Rodriguez e Hailwood, la Ferrari.
Questo accordo, di fatto, sanciva la vittoria della Gulf-Porsche 917 di Siffert-Redman, in quel momento al comando con cinque giri di vantaggio dopo dieci ore di corsa, e quindi il terzo successo consecutivo (e quarto personale) di Wyer a Le Mans.
Sempre in quelle pagine Wyer descrive l'errore che porterà al ritiro di Siffert in maniera molto asciutta, quasi con fastidio, senza concedere nessuna attenuante al campione svizzero:- "Immediatamente dopo (che alle Porsche della Salzburg era stato ordinato di mantenere le posizioni ndR) tornai ai nostri box, e prima che potessi fare qualsiasi segnale, Siffert uscì dalla "chicane Ford" dietro due auto lente.
Aveva un netto vantaggio, ed avrebbe potuto aspettare il lungo rettifilo (delle Hunaudières) per superarle. Essendo Siffert, volle fare una manovra spettacolare e sorpassarle di fronte alla tribuna dei box.
Facendo questo, sbagliò la cambiata e ruppe il motore"

Non una riga, né una parola di più.
Da quel giorno i rapporti fra Siffert e Wyer avrebbero potuto essere migliori, d'altra parte, sia lui che Redman, non erano piloti del Team Wyer, entrambi, infatti, erano sotto contratto con la Porsche che li aveva "prestati" (in realtà, imposti) alla Gulf,.
Wyer aveva fatto di tutto, prima dell'inizio della stagione, per poter mettere sotto contratto Jacky Ickx, che con lui l'anno prima aveva vinto a Le Mans.
Gli era andata male perché Enzo Ferrari aveva fatto sapere al belga che se voleva correre in F1 per lui, avrebbe dovuto correre per lui anche nei Prototipi: prendere o lasciare.
Messo davanti ad una simile alternativa la scelta di Ickx era stata di restare con Ferrari.
Fu così che Wyer ripegò su Pedro Rodriguez la cui convivenza con il campione svizzero non era stata facile fino dai primi momenti, il loro era - come scrisse Franco Lini - "uno scontro di personalità".
Le tensioni sopite fino a quel momento dalle tante vittorie vennero a galla e John Wyer sapeva bene che se la Ferrari fosse stata meno pasticciona l'esito finale avrebbe potuto essere molto diverso o almeno molto meno scontato.
Lo stesso Leo Kinnunen da tempo si dimostrava insofferente, nervoso.
La spiegazione "ufficiale" era la perdita dell'amico Hans Laine che in effetti lo aveva prostrato.
C'era però dell'altro: Leo Kinnunen si trovava sempre a guidare un'auto preparata su misura per Rodriguez e la cosa lo costringeva spesso ad una guida innaturale che viste le differenti caratteristiche dei due contribuiva ad amplificare il "gap" di prestazioni
Wyer e Yorke, poi , avevano tutte le intenzioni di portare nel Team, oltre a Derek Bell anche Jackie Oliver, così quando fu ufficiale la scelta di Brian Redman di lasciare il Team per poter tentare l'avventura in Can Am venne lasciato a piedi anche Kinnunen.
Questo sarebbe accaduto alla fine della stagione, che, sebbene fosse ormai tutto deciso avrebbe vissuto qualche altro momento interessante.

(continua...)