IN PISTACON LA FERRARI 512S

Ecco invece, come promesso, la mia breve, ma intensa blushing , esperienza su una 512S.

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Fine febbraio '89. Ormai ho "quasi" deciso che quella sarà la mia ultima stagione in Ferrari (decisione non facile da prendere). Ho accumulato un numero di giorni di ferie non ususfruite tale da poter restare a casa per un paio d'anni, quindi punto i piedi e riesco a farmi dare una settimana. Mi occorre per riflettere e per ricucire vecchi contatti che sono pendenti da almeno un anno.
Non credo che, al momento delle dimissioni, Maranello mi faccia firmare un contratto in cui m'impegno di stare lontano dalla F1 per un tot di tempo (non sono così importante) e non è neppure mia intenzione rientrare nel Circus da avversario, almeno subito, perchè mi sembrerebbe di tradire il mio sogno di ragazzo.
Faccio un giro di telefonate con vecchie conoscenze impegnate nell'endurance: niente di certo anche perchè i tempi sono prematuri, ma un paio di proposte che potrebbero essere interessanti da lì a dodici mesi.
Il paese è piccolo e la gente mormora: non passano due giorni che mi chiama un "amico":
- Ciao, come stai, bla bla bla ecc. Senti, so che sei a casa, mi faresti un favore?
- Dimmi, se posso ......
- C'è un Tizio, un francese, che ha fatto restaurare una vecchia 512. La macchina fino a domani è alla Marelli, ma mercoledì, prima di farla spedire, vorrebbe provarla a Monza. Non l'accompagneresti?
- Ma scusa, che mi frega di un BB?
- Ma quale BB, una 512S di ven'anni fa!
- Vorrai dire M ......
- Prima era S, poi M ed ora di nuovo S. Anzi l'ha rivoluta proprio come era appena uscita dalla fabbrica o quasi.
- Ah. Ma io che c'entro?
- Ma ..... nulla. Però ha speso un casino e la tua presenza lo farebbe sentire importante. Sai come sono 'sti collezionisti.

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Sento puzza di brucio ..........

- Senti, non ti sognare che io voglia spendere una parola su quella macchina. Tra l'altro non appartiene neppure alla mia epoca in Ferrari.
- Ma no, che c'entra, mica devi garantire i lavori fatti. Sai come sono a Maranello: gli hanno dato un po' d'indirizzi cui rivolgersi, ma non se lo sono filato neppure un po' e lui c'è rimasto male. Infondo la tua presenza sarebbe solo un bene per i tuoi capi e ti passi pure una giornata interessante scambiando quattro chiacchere con uno appassionato come te!
- Non mi stai fregando, vero?
- Dai, da quanto ci conosciamo? Ah, lui sarà a Monza per le undici, mezzogiorno: se ci sei mi fai un regalo!
- Vabbè, vedrò di esserci.
- Oh, grazie! A proposito, per ogni piacevole evenienza, portati casco e tuta.
- Ma sei scemo? Io non ho nessuna tuta.
- Ah, vabbè, vedi tu. Io te l'ho detto.

Ho la vaga impressione di essermi cacciato in qualche casino, ma l'idea di respirare della buona aria del tempo che fu m'intriga assai.


La mattina dopo sono a Monza: jeans, maglione, giubotto, un paio di mocassini con suola in gomma tassellata, ma, nel bagagliaio ...... il mio Bell vecchio di vent'anni.
Il cielo è sereno, ma, proprio per questo fa un freddo boia e i mocassini, anche se non troppo leggeri, non sono il massimo.
Ancora prima di arrivare al sottopasso capisco di non essere in anticipo: il rumore di un 12 che viene scaldato riempie l'aria.
E' nella corsia box, stranamente in senso contrario col muso che guarda la Parabolica. Il cofano motore è sollevato e due meccanici ci son chini sopra. Osservo l'intreccio dei tubi di scarico ed ho l'impressione di guardare una P4: si vede che son figlie dello stesso padre!

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Veloci presentazioni con un unico intoppo: il mio francese è quasi peggio del suo inglese. Scegliamo una via di mezzo: non so quanto capiamo l'uno dell'altro, ma forse è meglio così. E' un tipo simpatico e non se la tira più di tanto. Avrà una decina d'anni e di chili più di me, ma siamo della stessa statura. Indossa, sotto un giaccone, una tuta bianca con i filetti rossi e la scritta Firestone: faccio finta di nulla e mi metto a guardare l'auto.
E' veramente bella: tutta rossa con i bolloni bianchi su cui attaccare il numero di gara, il lunotto posteriore bianco a "persiana" e, uniche differenze rispetto a quelle di prima omologazione, due baffetti rivettati obliqui sul muso e i due spoileroni alla fine del cofano posteriore.
Comincia a spiegarmi, o almeno credo di capire, che ha rivoluto la vettura completamete originale e che l'unica cosa che ha tenuto della M (in cui era stata trasformata) è il motore.
Io continuo a far sì con la testa, quando lui mi chiede:
"Pensa che avrà la stessa potenza della M anche se ormai non ha più l'airscope?"
Me la cavo con un sorriso e con un:
"Vedrà che sarà più che sufficiente!"
Getto un'occhiata all'abitacolo e noto che sedili e cinture sono blu. Non dico nulla ma, probabilmente, mi tradisco con l'espressione.
"Pour la France!" dice lui e ride.
Si lancia poi in una lunga disquisizione della quale non capisco quasi nulla, tranne il fatto che vuole partecipare a qualche concorso, qualche raduno e, perchè no, qualche gara vintage.
Evito accuratamente di chiedere la storia di quella macchina, nè da chi l'abbia acquistata, nè chi l'abbia restaurata. Quando lui sta per raccontarmelo vengo salvato dal rumore dei tubi di scarico. Un meccanico si avvicina e gli dice qualcosa, lui fa sì con la testa e l'altro sale, percorre al contrario la corsia box, esce, inverte la marcia e comincia il giro. Il francese entra nel box e s'infila casco e guanti. Intanto il meccanico ha finito il giro e rientra. Si ferma, il suo collega gli apre la portiera portandola in verticale, lui dà un ultimo colpo d'acceleratore, poi ruota una "farfalla" rossa sulla parte alta della porzione verticale del cruscotto e il motore si spegne. Un leggero vapore esce dagli scarichi.
E' il momento del proprietario. Nonostante la stazza entra con relativa agilità. Ora ha lo sguardo che non ride più: sembra iperconcentrato o, forse, finge solo di esserlo. Mette in moto (uno dei meccanici gli chiude la portiera), innesta la prima, fà mezzo metro e il motore si spegne. Scuote la testa, ripete la manovra che questa volta riesce anche se sfriziona un po' troppo per i miei gusti.
Però non guida affatto male: ogni giro che compie si sente che ci sta prendendo la mano. Esce più veloce e largo dalla Parabolica, tira di più le marce, cambia bene sia salendo che scalando alla prima chicane. Senza accorgermene comincio ad appassionarmi e gli conto i rapporti: alla prima variante entra in seconda, mette la terza, sottogiri, tra la prima e la seconda "esse", quarta poco dopo esserne uscito, poi, prima del Curvone si sente il motore calare di giri. Non riesco a capire se metta la quinta, sottogiri, o se alleggerisca.
Nel silenzio del Parco lo sento uscire di terza dall'Ascari, salire due marce nel rettifilo opposto e scalare nuovamente in terza per la Parabolica.
Dopo una dozzina di giri rientra. Gli sorrido, gli faccio segno col pollice in su ed è un gesto sincero.
Lui scende rosso e sudato, ma gli occhi sono nuovamente felici. Un meccanico gli porge il giaccone. Lui ci scambia un po' di opinioni: capisco solo che si lamenta della frizione che attacca troppo presto e delle gomme che faticano ad andare in temperatura.

Mi complimento con lui e gli domando con che rapporto facesse Lesmo: in terza la prima e in quarta la seconda. Sto per chiedergli del Curvone quando lui all'improvviso fa:
- "A Vous, monsieur!" e mi indica l'abitacolo stendendo il braccio.

Ovviamente dico di no, ringraziando per l'offerta, ma lui insiste spiegando che è il minimo per sdebitarsi della la mia presenza.
Mi sto domandando che cacchio gli abbia raccontato "l'amico", quando lui mi porge il suo casco. Io sorridendo faccio ancora no con la testa, ma lui lo prende per un diniego dettato dalla superstizione, escludendo a priori che io non voglia provare la sua vettura, perchè fa:
"Comme Ascarì", mettendo un bel accento sulla i.
Contemporaneamente si rivolge ad uno dei meccanici che subito mi porge una bustina sigillata, con i tappi per le orecchie. L'altro solleva la portiera tenendola aperta.
Capisco che sono fottuto. Mi do un contegno: apro la bustina e lecco i tappi prima d'infilarli. In anglo-francese spiego al facoltoso personaggio che è tutto a suo rischio e pericolo. Lui contnua a sorridere e mi dà una pacca sulla spalla.

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Vedo di salire nel modo meno goffo possibile, evitando accuratamente di aggrapparmi al tetto che è in materiale plastico. Il fatto che la prima gamba ad entrare sia la sinistra (quella per me sifula), non aiuta, ma la manovra è molto meno complicata di quanto temessi. Mi lascio scivolare sul sedile che sembra non arrivare mai: la posizione di guida è molto sdraiata, come si usava negli anni '70, non certo come nei prototipi o le Gt di oggi.
I pedali sono leggermente disassati a sinistra, ma molto meno che su una 250 LM, ed il cambio, per fortuna (ma questo già lo sapevo) è sulla destra, affogato nel pannello del telaio. La leva non è perfettamente dritta, ma ad "esse" e il pomello, piccolo e a forma di uovo, è in legno. Come in tutte le Ferrari 5 marce, la prima è in basso a sinistra. Il volante è poco più grande di quello di una formula, con dietro, al centro, il contagiri: striscia gialla a 8.000 e rossa a 9.000. Poco più a sinistra il manometro olio, altri strumenti a destra, ma posti in verticale. La parte sinistra della plancia porta la "farfalla" rossa del "contatto", un pulsante per l'accensione e cinque o sei leve e levette. Proprio al centro del cruscotto spunta in verticale una leva in acciaio cromato con pomello in plastica nera che sembra presa pari pari da un devialuci Fiat: mi rifiuto di chiedere se sia per le frecce, il tergi o il lampeggio. Di certo non la toccherò.
Intanto un meccanico è chino su di me e sta stringendo le cinture.
Le dimensioni in larghezza del muso s'intuiscono dai passaruota che sono alti e pronunciati, dove invece finisca in lunghezza resta un mistero.
Il meccanico mi chiede come vada: mi scrollo un po' sul sedile, provo a spingere i pedali e faccio sì con la testa.
Guardo dietro: nulla. Le uniche cose che intravedo tra le fessure del lunotto sono i tromboncini d'aspirazione racchiusi in uno scatolotto di policarbonato.
Il meccanico mi indica la farlalla a sinistra e il pulsante che gli sta sotto. Alzo il pollice facendo capire che lo so (l'ho imparato stamane Cool ).
Ruoto la manetta e sento, non con le orecchie ma con il corpo, che una lieve vibrazione attraversa la macchina e me.
Abbasso la frizione, schiaccio di un millimetro l'acceleratore e premo il pulsante. Non ci sono tappi che tengano: il motore è partito! Lascio la frizione e accelero per capire la risposta al pedale. La portiera viene chiusa: il finestrino, ricurvo, è vicino vicino alla testa e l'abitacolo sembra ora molto più angusto. Ringrazio mentalmente Caliri, l'artefice della linea, per la sensazione di claustrofobia che ora sto provando. Ma non poteva prendersi una spider il francese! Per fortuna il rettangolo d'apertura sul finestrino è aperto: ci passerebbe a stento una mano, ma aiuta.

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Ci siamo: il meccanico fa cenno che quando voglio, posso.
Sfondo il pavimento con la frizione, dentro la prima, che entra con un lieve schiocco metallico, sospiro a scacciare i cattivi pensieri, motore verso i 3.000 e stacco la frizione senza strappare, ma con decisione. Il primo ad essere stupito sono io, ma è stato facile: sto percorrendo la corsia box.
Potrei farlo dopo, ma potrebbero non notarlo, quindi, da sborone, lo faccio subito: destro sull'acceleratore e sinistro sul freno per scaldare i dischi. Percorro così, alleggerendo e premendo, tutta la pitlane; quando sto per uscirne lascio andare i freni, accelero gradualmente e metto la seconda. Come in tutte le macchine da corsa, i cambi a dentri dritti e senza sincronizzatori, gradiscono un movimemto della leva molto rapido, quasi violento: è il miglior sistema per non farli grattare. L'olio, poi, è ancora caldo e questo facilita molto la manovra, la rende pastosa. Insomma, faccio una gran bella figura.
Chissà perchè, ma quando finisce il muretto e la pista si allarga a dismisura, si tende a provare una strana sensazione: quella di essere nudo in piazza del Duomo.
Mi accorgo di non aver più guardato il contagiri da quando son partito (la pit mi appariva terribilmente stretta), nè so a quanti giri ho messo la seconda: ad orecchio direi 4.000/4.500. Ora però è tempo di farci caso. Nel frattempo faccio un po' di zig-zag per scaldare gli pneumatici: se riescono a vedere anche 'sta manovra, guadagno 100 punti di stima!
Accelero a 5.000, metto la terza: il motore scende un po' sotto i 4.000 ma non dà segno di soffrire, almeno finchè lo richiamo dolcemente. Scalo quindi nuovamente in seconda: la variante è ancora un po' lontana e quindi mi rimetto a zigzagare, per fingere che tutto è sotto controllo. Cosa che non è.
Ok, mi dico, non sarà peggio della F40 con cui ho fatto un giro a Fiorano, almeno questa ha un motore pastoso ed aspirato. Palle! Appena spingo la seconda in uscita del primo tratto di variante, la coda comincia ad ondeggiare: sono a 6.500. Dentro subito la terza, sottogiri, e lascio scorrere sostenendo appena col gas sino alla fine della seconda "esse". Calmo - mi dico - sono solo le gomme fredde e, con questo tempo, è il minimo che potessi aspettarmi.
Tiro la marcia fino a 7.000 e metto la quarta che tengo per tutto il Curvone tenendo i giri sui 6.000 senza accelerare.
Da questo punto in poi so che dai box non mi possono più sentire, lo so e mi sento più libero e tranquillo. Tiro la quarta fino a 7.000, metto la quinta, ma sono già al cartello dei 200 della Roggia. Giù tre marce pestando sul freno: sono corto! Accelero in uscita e nuovamente la coda tende a muoversi. Terza, non schiaccio a fondo, poi rilascio e imposto la prima di Lesmo: vado talmente piano che la macchina sembra incollata. Mi faccio schifo. Do un'occhiata al contagiri: sono a 4.500 e non vale neppure la pena di passare in quarta per la Lesmo 2.
Quasi vent'anni di ruggine non son facili da togliere ma, o comincio a tirare o la situazione non potrà migliorare.
Quarta in uscita e poi quinta verso il Serraglio: stavolta con un po' più di cattiveria. Al Sottopasso freno e scalo due marce (la terza sarà quella giusta per l'Ascari o è meglio la seconda?): decido per la terza facendo scorrere. Scorrere una fava: Il muso non vuol saperne di girare! Perdo di almeno un metro la corda e tocco duro il cordolo esterno. Mi vedo già dritto contro il rail quando il vecchio istinto ha, per fortuna, il sopravvento: giù il gas (poco, oh!), coda che allarga e traiettoria che si chiude. Sterzo a sinisra, ancora un po' di gas sostenendo e sono dritto sul rettifilo opposto.
Ho avuto paura? Sì, ma la rabbia verso di me è ancora maggiore. E questo è un bene. Tiro la terza ad 8.000, la quarta a 7.000 (sennò non faccio in tempo a mettere la quinta) e poi quinta spostandomi a sinistra.
Stacco per la Parabolica dopo i 200, ma prima dei 150, mentre scalo in terza. Mi porto alla corda sotto la tribunetta dei fotografi, vorrei far scorrere, ma il muso tende ancora ad allargare: ma che cacchio d'assetto sottosterzante gli han fatto? Stavolta faccio uscire il retrotreno staccando e riaccelerando: non sarà splendido, ma funziona. Esco ridicolarmente stretto e lento: per evitare la figuraccia accelero tutto, spostando la traiettoria a sinistra come se fosse per la forza centrifuga. Quarta e quinta poco prima del traguardo (quello vecchio, quello dopo i box). Do uno sguardo con la coda dell'occhio, ma evito di voltare la testa.
Mi viene in mente la 1.000 Km del '70: avevo criticato Vaccarella perchè girava un paio di secondi più lento di Giunti. Col pensiero chiedo perdono al Preside Volante.

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Stavolta stacco un po' sotto i 200 e certo non arrivo corto, anzi mi tocca ad impostare la sinistra ancora un po' pinzato: meglio, il muso s'inserisce subito alla corda! Terza in uscita nel cortissimo rettifilo, faccio scorrere nel secondo tratto della variante e poi tutto giù verso il Curvone. Quarta decisa (che non vuol dire flat) per tutta la percorrenza e poi, a 8.000, quinta. Staccatona ai 200, giù tre marce ed entro alla Roggia ancora col piede sul freno: ma allora è questo che ti piace ragazzina! Terza in uscita, frenatina ad impostare Lesmo 1, poi quarta verso la Seconda. Un bel colpo di freni e dentro: sarà che sto andando molto ma molto sotto il limite, ma la 512 sembra su due binari!
Ora all'Ascari non mi faccio fregare: entro cattivo e col piede sul freno finchè il muso con sfiora la corda. Lascio scorrere per la successiva destra ed appena sento che il carico si è trasferito, apro il gas (poco oh!) per la successiva sinistra. Bene: al momento ancora non lo so, ma mi accorgerò dopo che mi stavo divertendo.

In Parabolica entro più veloce (sempre un po' pinzato perchè il trucco l'ho capito) ed ho l'impressione di essere io a portare la macchina e non viceversa. Esco a sinistra senza bisogno di allargare lo sterzo, anzi, e prima della metà dei box devo già mettere la quinta. Rispetto al giro precedente ritardo le staccate di una decina di metri, ma non riesco a percorrere il Curvone in quarta piena perchè sento il volante che tende ad alleggerire.
Il bello però è in Parabolica: riesco a far scivolare un po' la macchina sulle quattro ruote, con la sensazione di poterla prendere e riprendere a mio piacimento: sarà grossa, ma pesa ben meno di 900 kg!. Sto già pensando che proverò a tener giù al Curvone e a quello che farò all'ultima curva nel giro successivo, quando dal muretto mi espongono il cartello box con sotto una bella freccia.

La festa è finita, ma è meglio così: cominciavo a sentirmi "troppo" sicuro.
Come è sempre stato mio costume, percorro il giro di rientro adagio, come stessi guidando una vettura di serie: la 512 l'accetta ed io mi godo l'adrenalina che va scemando. Slaccio le cinture e respiro a fondo. Mentre finisco il giro mi chiedo come sarebbe stato sulla vecchia Monza, quella senza varianti, quella che ho sempre rimpianto (non sapendo ancora cosa le avrebbero fatto pochi anni dopo), quella dove ha corso veramente la 512. Non voglio però darmi una risposta: ho paura che avrei avuto paura.

Arrivato ai box mi accorgo di essere stanco e che uscire dalla vettura è più difficile che entrarvi, perchè con la gamba destra devi scavalcare, oltre al brancardo già alto di per sè, anche la leva del cambio. Il sistema semplice sarebbe mettere i piedi sul sedile, ma proprio non è il caso: mi arrangio come posso e i meccanici mi danno una mano nell'impresa. Nei loro occhi noto una certa soddisfazione e, mentre mi infilo il giubbotto, il proprietario si avvicina battendomi una mano sulla spalla. Comincia a parlarmi, ma mi accorgo di non sentire quasi nulla. Solo allora mi ricordo dei tappi nelle orecchie. Li tolgo ma non è che la situazione migliori poi di molto: avrei dovuto mettere anche il casco.

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Sono frastornato, non lo nascondo, con quello che continua a parlarmi in un anglo-francese che farei fatica a capire anche in condizioni normali. Poi mi mette in mano un foglietto: l'ultimo giro l'ho fatto in 2 minuti e 10, quindi 25/30 secondi in più di quello che sarebbe il limite della macchina. Uno schifo, ma so che almeno 15 li avrei tolti se avessi avuto ancora una mezza dozzina di giri a disposizione. Ancora di più con un assetto meno "sotto" e qualche appendice aerodinamica in più. Poi mi torna alla mente la foto di Amon, al venerdì' della 1000 km, con la macchina ferma a cavalcioni del rail esterno di Lesmo e mi dico che veramente è stato meglio così.

Ringraziamenti di rito, evito un invito a pranzo inventando un inderogabile impegno e torno a casa.
Arrivato tolgo dal bagagliaio il vecchio Bell tutto bianco. Come un idiota gli faccio una carezza: "Mi sei mancato, ti saresti divertito anche tu!"