In questo articolo vogliamo raggruppare tutti quelli che sono stati gli interventi più interessanti di Powerslide, un ex ingegnere F1 che ha lavorato anche in ferrari negli anni 80 e che tutt'ora si applica nel mondo dei motori da competizione.

Non siamo mai riusciti, nè penso vi riusciremo, a scoprire la sua vera identità, ma forse anche per questo, il suo personaggio assume uno spessore storico ancora più rilevante. Il poter avere una visione dall'interno di molti fatti che purtroppo abbiamo potuto vivere solo tramite le immagini TV, o addirittura in alcuni casi solo per sentito dire (anni 60), ci fa scoprire una prospettiva del tutto diversa ed appassionante delle cose.

L'opera non è facile nel senso che abbiamo cercato di pescare interessanti passaggi da diversi thread cercando di contestualizzarli con dei titoli che rendessero bene l'idea dell'oggetto del discorso, non è stato facile ma crediamo che il nostro McLaren7C abbia fatto davvero un ottimo lavoro.

E non è finita ovviamente! Finchè il nostro Powerslide ci delizierà con tali chicche vedremo di aggiornare questo articolo, rimanete in contatto e buona lettura!


ELIO DE ANGELIS

E' il 15 maggio 1986.
La Montagnetta di San Siro prende il nome dal vicino stadio. E' stata costruita con i rifiuti, alta, sempre più alta, sempre più grande. Poi l'erba è cresciuta e dopo l'erba gli alberi. Ora è un'oasi di verde e di pace, così vicina e così lontana dalla Milano di tutti i giorni.
Hanno innalzato un tendone da circo e stiamo tutti in fila per entrare a vedere il concerto di Joan Baez. Siamo in tanti, ma pochi per un mito che negli anni '60 radunava centinaia di migliaia di ragazzi, quando saliva sul palco e cantava insieme a uno strano ragazzo americano di origine ebrea che si chiamava Robert Allen Zimmerman, ma si faceva chiamare Bob Dylan.
L'atmosfera è un po' malinconica: noi quarantenni ci osserviamo come fossimo i sopravvissuti di un'epoca che sta sbiadendo nel ricordo. Lei entra in scena: non è più quella ragazza in*****ata che insieme a Bob cantava la sua rabbia per i morti in Vietnam, bianchi o gialli che fossero. Una signora della nostra età o poco più, vestita con una lunga tunica colorata. Si accompagna solo con una chitarra, nessuna orchestra, nessun effetto speciale. Canta le stesse canzoni di una volta, ma con grande dolcezza: quasi rassegnazione per un mondo molto, troppo difficile da cambiare. Ti coinvolge, ti fa venire la pelle d'oca. Vuoi cantare con lei, ma lei si ferma: <scusate - dice in un inglese frammezzato da qualche parola in italiano - sono molto felice di ciò che state facendo, ma se cantate, non sento più la mia voce e vado fuori tempo.> E anche questo lo dice con molta dolcezza, come per farsi perdonare. Noi ubbidiamo, limitandoci a sussurrare le canzoni dei nostri vent'anni e a scaricare i nostri Bic in fiammelle di lacrime. Chiude il concerto in modo totalmente imprevisto: canta "C'era un ragazzo" di Morandi e allora ci dice di cantare con lei, perchè l'italiano non è il suo forte.
Esce in maniera semplice, così come semplice, ma grande. è stato il suo concerto.
Usciamo con una sensazione dolce amara, ma felici.
Una voce dice:
<Chi?>
<De Angelis>
<Sicuro?>
E' così che le notizie si vengono a sapere: smozzicate frasi di persone diverse.
<E' morto?>
< No è vivo, ma ha respirato le fiamme.>
< No, è morto, l'ha detto ora la radio!>.

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Elio, un pilota d'altri tempi. Di famiglia ricca, bello, distinto: un "signore" di 28 anni. Elio che nel G.P. del Sud Africa, mentre gli Ecclestone strepitavano contro lo sciopero dei piloti, minacciando di licenziarli tutti e di sostituirli, raggruppava i colleghi nella hall dell'albergo, si sedeva al piano e suonava Chopin. Poi cambiava ed eseguiva canzoni moderne, mentre gli altri piloti cantavano, come fossero tutti normali ragazzi, con tanta voglia di divertirsi. E tali erano, come tali sono quelli di oggi, anche se spesso ci viene difficile considerarli tali.
Elio, un pilota stimato meno di quello che valeva (ed anch'io non ero convinto del suo talento). Solo dopo ci saremmo accorti che i compagni di squadra a cui teneva testa e che spesso batteva, portavano il nome di Mansell, prima, e di un ragazzo brasiliano, poi, che si chiamava Da Silva, ma che preferiva correre col cognome della madre: Senna.
14 maggio 1986, prove private della Brabham-Bmw: un alettone che si stacca (proprio come succede troppo spesso ancora oggi) e poi il fuoco. Quel maledetto fuoco che ci perseguitava da vent'anni e che eravamo vicini a sconfiggere: l'industria militare stava per togliere il segreto sul materiale usato per i serbatoi dei caccia e permetterne la commercializzazione, insieme alle valvole di chiusura automatica dei condotti della benzina, in caso d'urto. Se ancora oggi i TG ti fanno vedere morti sulle strade per l'auto in fiamme, è solo per una ragione di costi: è più economico rincoglionire i ragazzi con altoparlanti da 100 W, che proteggerli dal fuoco.
Il circuito di Le Castellet era stupendo ed anche considerato uno dei più sicuri.
Quando si staccò l'alettone, la Brabham stava entrando in quinta piena a 260 km/h in una esse che, prima che i carichi aerodinamici raggiungessero valori assurdi (come oggi!), si percorreva scalando quarta-terza e lavorando di gas e di sterzo. Una esse che faceva la differenza.
Quel giorno con Elio, morì anche il Le Castellet.


LORENZO BANDINI

Citazione di: "jackyickx"
Powerslide credo che sia della mia generazione e quindi ha potuto vedere in diretta questi avvenimenti. quoto tutto quello che ha detto su Williamson ma faccio dele precisazioni. Con Siffert è vero che si fermarono ma semplicemente perchè era ostruita tutta la sede stradale. È di recente uscito un filmato sulla tragedia e lo dimostra.
Continuo a ritenere la tragedia di Bandini la più atroce, almeno tra quelle mostrate in diretta. Bandini rimase vivo non solo i tre minuti del rogo ma anche i tre giorni successivi e poi le innumerevoli circostanze di quel giorno che 40 anni dopo mi fa ancora male ricordare.
A Zandvoort c'era gia stata la tragedia Courage solo tre anni prima e se avessimo le immagini forse diremmo le stesse cose che diciamo per Williamsono. Quel camion dei pompieri che attraversa la pista è drammaticamente lo stesso Sad

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La morte di Lorenzo è quella che mi ha fatto più male, ma dal punto di vista umano perchè lo conoscevo di persona, anche se non si può dire che fossimo amici perchè amicizia è una parola grande. Però per lui tutti hanno tentato di fare qualcosa: dai pompieri vestiti da carnevale, ai commissari, al Principe di Borbone in camicia di seta bianca, all'amico/rivale Baghetti lì per caso come fotografo ed appassionato.
Con Williamson avevo scambiato solo due parole un mese prima a Monza, facendogli i complimenti per la vittoria in F2. Ma se il convolgimento personale fu minore, ben maggiore fu il coinvolgimento umano: mi sentii tradito dal mondo che amavo.
Bandini ebbe la "fortuna" di svenire nell'urto per le ferite riportate, Courage molto probabilmente morì sul colpo, prima che le fiamme dilaniassero il suo corpo. Parlai con Purley circa una settimana dopo, gli occhi si riempivano di lacrime e le mani gli tremavano di rabbia. Mi disse che Williamson era perfettamente cosciente e fisicamente illeso, gridava: "David, non voglio morire. Brucio! Cosa aspettano a voltare la macchina e tirarmi fuori?"
Credo non ci sia molto da aggiungere.


COMMISSARIO DI PISTA

Citazione di: "sundance76"
Una domanda per Powerslide: a quei tempi a Monza quando eri commissario di pista, conoscevi anche un commissario di nome Aldo che poi è diventato giornalista?

Quando sono diventato commissario, avevo poco più di vent'anni e facevo parte di quella manciata di pivelli che erano serviti a portare a 68 il numero totale. I "vecchi" ci snobbavano, quasi tutti, anche se ricordo uno che mi ha letteralmente salvato la vita da una cavolata che stavo per fare. Noi, i pivelli intendo, eravamo suddivisi uno per postazione e non ci filava nessuno.
Il regime era a livello di militari di leva: sveglia alla 6, alle 7 tutti presenti in autodromo. In Direzione ci assegnavano i posti. Il Capoposto prendeva la chiave di accesso alla postazione, altri portavano i sacchi con dentro le bandiere e ai pivelli veniva dato il compito di portare il telefono. Era un aggeggio da campo (stile prima guerra mondiale) che funzionava a manovella e pesava non meno di 10 kg. A volte ti facevi dal traguardo alla Lesmo a piedi, portandoti quel dolce fardello.
A Monza, anche d'estate, alle 7 del mattino c'è un umido pazzesco; a mezzogiorno muori dal caldo. Se piove ti inzuppi fino alle mutande: la "divisa" a quei tempi era una semplice pettorina arancio.
Il pasto è al sacco: due fette di arrosto verde, due di mortadella gialla, un pezzo di pane, una mela acerba, una mezza minerale e una bottiglietta di CocaCola col tappo rigorosamente spennellato di viola che significa che è scaduta. Alle due del pomeriggio sei completamente assetato, allora ti rivolgi al buon cuore di quelli della Croce Rossa e della CEA, molto meglio riforniti.
Il Capoposto si siede sotto un ombrellone e scrive ciò che vede: infrazioni o incidenti. Gli altri si dispongono con le bandiere a portata di mano e il fischietto in bocca. Ai pivelli viene assegnato molto, troppo, spesso il ruolo di "punta". La "punta" è quello che occupa la posizione più avanzata della postazione. Se sei di punta al 10 (Parabolica esterna) ti fai il segno della croce anche se sei ateo: sei a circa 30 metri dalla curva, all'interno dove non c'è guardrail, ed hai tre metri di prato tra la pista e la rete. Se qualche macchina si gira in staccata, la tua unica salvezza è nel non essere nel punto sbagliato o, se ci sei, arrampicarti sulla rete rannicchiando le gambe. Il tuo compenso? L'orgoglio di essere parte dell'evento e un buono da 10 litri di benzina per ogni giorno di presenza.
Oggi molte cose sono cambiate: hai una tuta completa quasi impermeabile, un radiotelefono con auricolare e microfono che ti fa sentire tutte le comunicazioni tra la Direzione e le varie postazioni, il cibo è "ottimo ed abbondante" e le bandiere sono in plastica e non in cotone. Sembra questa una cosa da poco, ma pensate a sventolare un drappo zuppo di pioggia che pesa un chilo e che ti si appiccica da tutte le parti. Credo anche che il rimborso spese sia salito a 20 litri.
Una cosa però è cambiata in peggio: oggi nessun pilota si fila quegli omini arancioni, perchè tanto loro sono collegati via radio con mamma-box.
Ai miei tempi, dal '68 al '74, noi "parlavamo" ai piloti, gli indicavamo se passare all'interno o all'esterno se nella curva c'era stato un incidente, gli sventolavamo la blu segnalando loro se stavano per essere passati a destra o a sinistra. Se sventolavamo la gialla, la rispettavano e "sapevano" in base a come l'agitavamo di quanto dovessero rallentare. A volte, in piena gara, anche a passo d'uomo! Sapevano che anche noi rischiavamo, sapevano che eravamo lì per la stessa passione e per proteggerli. Ci rispettavano e si affidavano a noi.
Era bello, anche se a sera, nonostante i vent'anni eri stanco morto.

Mi chiedi se ho conosciuto un certo Aldo: avrai già capito che in quel clima non c'era nè il tempo nè l'occasione per conoscersi.
Sono scemo, però lo rifarei. In quegli anni però, non oggi.


 

IO E LA FORMULA UNO

Citazione di: "giorgio_deglianto"
Io sono del 1984 e ho cominciato a guardare i primi Gp a cinque anni, anche se non ci capivo molto di regolamenti e tecnica. In famiglia mia nessuno ha mai avuto interesse nelle competizioni, ne dal punto di vista professionale ne dal punto di vista di tifoso e appassionato.

Ho cominciato a seguire la F1 e chiaramente allora c'erano le McLaren che andavano fortissimo e avevano una livrea stupenda e un certo Senna. La F1 l'ho sempre seguita da solo, non ho mai tifato qualcosa o qualcuno perchè me lo dicevano o perchè vedevo che gli altri lo facevano.


Anche nella mia famiglia nessuno ha mai avuto interesse per le competizioni, mio padre non ne parlava neppure e mia madre le criticava per la pericolosità. Erano i tempi della tragedia di De Portago alle Mille Miglia o quella di Von Trips a Monza. Questo per restare in Italia: guardando fuori dai nostri confini, come non ricordare la strage di Le Mans.
Io adoravo le auto fin da bambino e se la F1 ho cominciato a seguirla solo dal '62 (anche perchè prima era praticamente impossibile), quello che al tempo aveva una risonanza ben maggiore erano le gare di durata: Le Mans in testa.
Come tutti i ragazzini sognavo di possedere un'auto sportiva senza pormi alcun limite, perchè i sogni non devono averne per essere tali. Ma quale?
Se guardavi la F1, nessuna squadra, Ferrari a parte, costruiva auto stradali. Per le gare di durata c'erano Aston Martin e Jaguar, ma le loro produzioni di serie non erano "cattive" ed affascinanti come la Rossa (almeno fino all'arrivo della E-Type). La Porsche costruiva macchine da 90 CV e Maserati auto più eleganti e meno sportive.
Quindi se "volevi" sognare restava solo la Ferrari con i suoi 12 cilindri 3 litri da 240/280 CV e quel suono inimitabile.

Come vedi anche la mia era stata una scelta non condizionata da mode o emulazioni: non avevo scelte migliori per i miei sogni.
Poi gli anni ti portano a osservare la vita con occhi diversi, ti rubano l'innocenza e anche i sogni Sad

Grazie per avermi risposto: mi hai fatto scoprire un aspetto della F1 che mi era sempre sfuggito.


BRM E LAUDA

Citazione di: "jackyickx"
Tu powerslide che impressione avevai avuto in quell'anno di BRM da Lauda?

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Il '73 fu il mio primo anno da non studente Cheesy
Nell'attesa della chiamata alla leva, "collaboravo" (oggi si direbbe "contratto a progetto") per 169.000 lire al mese Sad con una casa che allora non partecipava alla F1, quindi di GP ne ho visti probabilmente meno di te.

Lauda l'ho potuto osservare dal vivo solo a Monza (ultimo mio GP come commissario): ero al Curvone che ormai diceva ben poco, vista la presenza della chicane che lo precedeva. Stranamente, e ancora oggi non ti saprei spiegare il perchè, restai con l'impressione che Lauda fosse quello che lo affrontasse con la maggiore .... tranquillità. Scusa ma non riesco a spiegarmi meglio: non è che mi impressionasse per qualche traiettoria particolare (e quale poi?) o chissà cos'altro, ma era come se quel punto di pista l'usasse per .... rilassarsi


LA F1 IN TV TRA PASSATO E PRESENTE

Citazione di: "sundance76"
Ma negli anni '70 dopo il taglio del traguardo, in TV si riusciva a vedere il podio???


A quanto ricordo io sì, anzi, mentre adesso la RAI stacca la diretta quasi subito dopo il traguardo per passare agli spot, c'è stato un tempo in cui si poteva assistere a tutto il giro di rientro. Ricordo Pironi che, se vinceva, aveva l'abitudine di togliersi il casco e il cappuccio, salutando il pubblico a viso scoperto e con i capelli al vento. A me piaceva il giro d'onore: i commissari che salutavano i piloti sventolando le bandiere e loro che ringraziavano alzando la mano. Fine della battaglia e adrenalina che veniva riassorbita. Bello.

Donnini scrive che il Ring '76 fu trasmesso dalla RAI, io ricordo di non averlo visto in diretta, ma non ricordo perchè. Invece, sempre su AS n°47, dice che Montreal '78 non fu trasmesso: io lo ricordo (anche se probabilmente in differita per non disturbare i programmi sul calcio). Me lo sono sognato? L'ho visto sulla TV svizzera? Qualcuno mi aiuti. :oops:

Spa '93: De Adamich si chiede come può il V8 di Schumi tener dietro il V10 Renault di Prost sulla salita del Radillon. La risposta arriva da due camera-car: il tedesco percorre l'Eau Rouge in pieno, il francese no.

Las Vegas '82. Alboreto vince il suo primo GP e l'ultimo di un Cosworth DFV 3 litri: il suo arrivo non viene rispreso dalle telecamere :twisted:

Ultima annotazione: oggi le riprese sono sempre più strette sulle auto, per mettere in evidenza gli sponsor, e le traiettorie vanno a farsi benedire. :?


TECNICA DELLA FERRARI F1.

Citazione di: "sundance76"
Una cosa da notare è che il turbo Ferrari di Villeneuve e Pironi nel 1981 era un 1500 a 120°, che era la stessa architettura del 1500 (ma aspirato ) che vinse il titolo mondiale con Phil Hill nel 1961. E' bello notare come esperienze tecniche del passato vengano recuperate dopo tanti anni per formule tecniche molto diverse.

Nel '61, usava due misure di apertura della V del suo 6 cilindri: una a 120° per i circuiti veloci, una a 65° per quelli lenti.

L'apertura di 120° era quella canonica seguendo la formula di 720° diviso per il numero dei cilindri (per limitare le vibrazioni del 2° ordine), l'altra ...... mistero.

Il bello è che questi 65° li ritroviamo nei "DINO" 206 e 246 e negli ultimi 12 da F1 e in tutti i 12 della produzione stradale dalla 456 in poi.
Se per la F1 ciò può essere giustificato da ragioni aerodinamiche e di piccolo abbassamento del baricentro, resta il perchè della produzione di serie.
A domanda Forghieri mi ha risposto: "Secondo me è perchè non riuscivano a far stare i collettori d'aspirazione in un'apertura di 60°".
Posso solo credergli sulla fiducia
Cheesy

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Quando nel 1966 la cilindrata delle F1 fu portata a 3 litri, tutti pensarono che si apriva un'epoca felice per la Ferrari.
Mentre le altre squadre non erano ancora pronte, la casa di Maranello aveva già in casa quello che serviva. La sua storia nel Mondiale Marche era costellata di successi proprio con la serie 250, che indicava la cilindrata unitaria, quindi un 3.000.
Il motore base risaliva al 1954 ed era opera di Gioacchino Colombo che aveva sostituito Aurelio Lampredi, dopo che questi era stato "dismesso" da Enzo Ferrari in persona, per un bicilindrico 2.500 compresso che era uscito dal tetto della fabbrica appena era stato messo al banco. :?
Rispetto ai 12 di Lampredi, quello di Colombo era più compatto e leggero.
Nella tradizione Ferrari, era un 12 V 60°, presentava una distribuzione ad un solo albero a camme in testa per bancata, che comandava tramite rullo e bilancieri (brevetto Porsche) le 2 valvole per cilindro di cui era dotato.
Fu inizialmente realizzato in due versioni: il 250 (3 litri) e 330 (4 litri) con alesaggio/corsa rispettivamente di 73 x 58.8 e 77 x 71.
Proprio il 250, con progressive modifiche, divenne il cavallo vincente nelle competizioni, con auto che fecero la storia del Cavallino Rampante: la TdF, la Testa Rossa (1^ assoluta a Le Mans nel '58 ), la SWB, la GTO e i primi esemplari della LM.
Poichè nulla si butta, unendo l'alesaggio della 330 (77) con la corsa della 250 (58.8 ), ecco nascere la serie 275 di 3.3 litri, che, oltre a correre nella categoria Prototipi come 275 P (1964) e 275 P2 (1965), ebbe l'onore di essere montata sotto il cofano della 250 LM che nel 1965 ottenne l'ultima vittoria della Ferrari a Le Mans.

Insomma, con tanta esperienza e tanti successi, l'avvento in F1 del 3 litri, sembrava fare del 1966 l'anno giusto per la Rossa.
Ovviamente fu dotato di un doppio albero a camme in testa (cosa immediatamente riversata nella produzione di serie con la 275 GTB4) e si fece lo sforzo di realizzare un nuovo albero motore con un corsa di 53.5 mm a fronte dell'alesaggio di 77 mm, per ottenere un regime di rotazione più elevato.
Con i suoi 360 CV a 10.000 giri, si dimostrò subito il più potente del lotto, ma l'auto nel suo insieme era veramente poco affidabile nella componentistica. L'allontanamento di Surtees (accusato ingiustamente di una spy-story con la Lola) e l'impegno prioritario fino a giugno per la 24 Ore di Le Mans, non contribuirono certo alla causa.
Nel 1967 la tragedia di Bandini dette un durissimo colpo alla squadra e nei due anni successivi il Cosworth DFV, che aveva risolto i problemi di gioventù ed era alloggiato su telai più performanti di quelli di Maranello (unito alla proverbiale sfiga di Amon) fecero il resto.
Insomma un eccellente motore con poca gloria se non quella di aver permesso, nel suo primo anno di vita, ad un italiano di vincere il GP di casa. Vittoria "tricolore" che fino ad oggi resta anche l'ultima.
Nel 1967, vennero adottate 3 valvole per cilindro e la potenza salì a 390 CV sempre a 10.000 giri.
Negli ultimi due anni di vita (1968/69) le valvole divennero 4, per una potenza massima dichiarata di 410 e 436 CV a 11.000 giri.

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Non sono certo che a Monza 1966 già corresse con il 36 valvole (che sarebbe poi il modello 1967). E' vero che Ferrari aveva l'abitudine di anticipare al GP di Monza quelle che sarebbero state le novità della stagione successiva, ma, se così fosse, sarebbero state due le versioni del 36 valvole: quella a scarichi esterni alla V in quel GP vinto da Scarfiotti e quella con gli "spaghetti" all'interno, con cui trovò la morte Bandini a Montecarlo.
Sinceramente poi non credo che il 3 valvole potesse avere tromboncini e scarichi dallo stesso lato, sia per questioni d'ingombro, che di alte e penalizzanti temperature all'aspirazione. Se tu però ne sei certo, fammi sapere le fonti: m'interessa veramente.

Quanto al fatto del 65° sui moderni V 12, credo che la spiegazione di Forghieri sia più una battuta che altro (magari anche suffragata da una qualche verità), la zampata di un leone ferito.
Vero che le cilindrate unitarie sono raddoppiate, ma vero anche che con i 60° vennero realizzati (proprio da lui) cubature superiori ai 6 litri per la Can-Am. Anzi, se chiedi a Merzario, ti dirà di aver corso ad Imola un'Interserie con un 7 litri abbondante (peccato che dopo una manciata di giri, la frizione fosse già andata a donne perdute Sad ).
In effetti la telefonata con Furia finì con queste parole: ".... ci sono pochi che sanno far stare i collettori in meno di 17 mm. A me ne bastavano 14". Cool

P.S. Se trovate qualche fesseria, perdonatemi: anch'io sono stato ragazzo e a quell'epoca ero solo un appassionato studente del Poli.
Oggi la moria di neuroni non aiuta la memoria :roll:

Sundance76: Powerslide, sono sicuro che a Monza '66 la Ferrari corse col 36 valvole. Per controllare ho consultato due opere di Piero Casucci, autore attento sopratutto all'evoluzione tecnica: "Enzo Ferrari 50 anni di automobilismo" e poi il secondo volume della collana di Quattroruote "Profili: Ferrari 1964-1976" dove ci sono anche grandi spaccati a colori di ciascuna delle evoluzioni della 312 dal '66 al '69.

Puoi anche controllare sull'Autosprint n.38 del 2003 a pag.18-19 dove c'è un dettagliato ricordo di Gozzi su quella gara e sopratutto della frenetica attività in officina per arrivare a Monza col motore pronto.

Voglio precisare quello che prima avevo scritto in modo impreciso:
la prima versione del 3000 V12 a 60°, quella che vinse con Surtees in Belgio (ultima gara di John con la rossa), era con gli scarichi ai lati e i cornetti al centro, vicinissimi tra loro.

Poi il motore a 36 valvole della vittoria di Scarfiotti a Monza, aveva gli scarichi sempre ai lati, ma i cornetti non erano più disposti al centro in alto vicinissimi, bensì erano praticamente poco aldisopra dei tubi di scarico, lontanissimi tra loro, formando tra loro una V molto larga, non riesco a spiegarmi meglio.. E' di questa versione di Monza '66 che possiedo anche una foto fatta da quel mio amico all'epoca commissario.

Il 36 valvole continuò a correre nel '67 (morte di Bandini) ma quell'anno aveva gli scarichi a spaghetti al centro coperti di ceramica.
Poi a Monza '67, furono introdotte le 48 valvole (410 CV).

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Nel '68, per intenderci quando la Ferrari introdusse gli alettoni, si continuò a correre con lo stesso 48 valvole, e poi a Monza '68 testa e alberi a camme modificati, 412 CV.

Nelle foto della versione '69, si vedono nuovamente gli scarichi ai lati e i cornetti a centro vicinissimi, come quelli di Surtees di inizio '66 per intenderci. Dichiararono 436 CV nel '69.
Tuttavia in un'opera di Mark Hughes uscita con la Gazzetta l'anno scorso, Chris Amon dice che " nel '69 la 312 era ancora mossa da quel che era solo un motore di una Sport elaborata. Nonostante i 436 CV dichiarati, so per certo che era meno potente della versione '68 che arrivava a stento a 400, faceva molto rumore ma era grosso e pesante, a Monaco bisognava guidare in modo brutale, saliva subito di giri e ciò provocò la rottura del cambio."

Che ne pensi? Eppure in quelle prime settimane del '69 Amon fece il vuoto a Barcellona, fino al consueto ritiro, e nel '68 partì 8 volte in prima fila con 3 pole, sfiorando 3 vittorie sfuggite per poco. Ickx lottò per il titolo.

Per quello che riguarda Monza '66, ho tentato di riportare alle mente cose che la polvere del tempo aveva sepolto. Qualche foto trovata in rete, spero mi abbia dato una mano nel verso giusto.
Dunque, sul 2 valvole gli iniettori s'innestavano nei collettori con un angoli d'inclinazione piuttosto accentuati. I tromboncini d'aspirazione erano quindi posizionati in verticale ed apparivano (tanto per intendersi) accatastati al centro della V, come quelli di un 6 carburatori doppio corpo.
Sul primo 3 valvole, viceversa, gli iniettori erano quasi perpendicolari e s'innestavano nel lato interno dei collettori, che all'uscita piegavano verso l'esterno (probabilmente erano stati variati i condotti della testa e forse anche l'inclinazione delle valvole che in origine era di 60° tra loro) . Per questo i tromboncini apparivano "aperti".

Su quanto dice Amon si può discutere.
Che il motore fosse più grosso e quindi più pesante di un 8, va da sè.
Che fosse un'elaborazione di un motore derivato da quelli utilizzati per le Sport Prototipo, sono costretto ad ammetterlo avendo io stesso detto che la "base" risaliva addirittura al "Colombo" del 1954. Non credo però che la differenza di peso da lui avvertita dipendesse principalmente dal propulsore, quanto dal telaio che non reggeva il confronto con quelli di scuola inglese.
Che non avesse cavalli, almeno all'uscita dell'albero, e che questi fossero inferiori a quelli della precedente versione, mi resta difficile ammetterlo. Certo che se lui ha avuto accesso ai dati letti al banco, mi riuscirebbe anche difficile smentirlo.
So che lui e Forghieri sono ancora legati da grandissima stima ed affetto: conoscendo Furia non penso nutrirebbe tali sentimenti verso uno che avrebbe tanto s*******ato il suo lavoro. Diciamo che il giornalista ha un po' esasperato il suo pensiero. Mettiamola così.
Ritengo invece corretta l'impressione di un motore con un range d'utilizzo ridotto. E' una cosa, in quegli anni, sempre presente nel DNA della Ferrari:derivava proprio dal fatto di aver corso in epoche in cui i circuiti erano velocissimi e richiedevano molta potenza, pagando lo scotto di una curva di coppia molto "appuntita".
Ovviamente Monaco era il circuito che meno si adattava a queste caratteristiche, ma Amon vi corse solo nel '67 e nel '69 (nel '68 la Ferrari non si presentò in segno di protesta per i soccorsi prestati a Lorenzo l'anno prima). Nel '67 arrivò terzo (posizione che avrebbe avuto anche senza l'incidente di Bandini, in quanto forò una gomma sui detriti); nel '69, partito col secondo tempo, macinò il cambio dopo 16 giri, mentre si trovava in seconda posizione e davanti al futuro vincitore Hill.
Non mi sembra quindi che, anche sul circuito più lento del mondiale, questo motore non spingesse.
Che fosse difficile da gestire, può essere vero.
Che fu quella la causa della rottura del cambio, tutto da stabilire.
Che Amon si pentì di aver lasciato la ferrari a fine '69, è lui il primo ad ammetterlo.

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Poi la storia del V 12 poco gestibile l'abbiamo sentita dire anche da altri piloti: Alesi e Berger, tanto per non fare nomi. Cool
Peccato che quando lo fecero provare a Schumi, la prima cosa che disse fu:
"Ma come avete fatto a perdere il Mondiale con questo gioiello dietro la schiena :?: :!: " :roll:

Quando nel '95 Martinelli fu nominato, proprio come dici tu, responsabile motori, veniva da 16 anni d'esperienza (tutti in Ferrari) nel settore Gran Turismo, quindi completamente digiuno di problematiche da competizione, F1 in primis. A differenza di Lombardi (che con Limone aveva realizzato quell'incredibile turbo/volumetrico della S4), il buon Paolo non poteva condizionare più di tanto l'operato di Marmorini.
Così, mentre i media parlavano dell'uno, l'altro lavorava nell'ombra.
E' sempre difficile dare un'unica paternità ad un motore, ma se chiedessi a Maranello chi fu il papà dell'ultimo 12 e del primo 10 per le Ferrari F1, ti sentiresti rispondere: Luca Marmorini. Non c'è da stupirsi quindi se nel '99 lui fece armi e bagagli, accettando l'offerta Toyota molto più gratificante (anche dal punto di vista economico).
Nel frattempo però, Martinelli aveva completato il suo apprendistato e si era circondato di un'équipe invidiabile. Giusto quindi considerarlo (e i risultati lo dimostrano ampiamente) uno dei pilastri dei successi della Rossa.
Peccato che il suo connubio quasi trentennale col Cavallino, s'interruppe per un azzardo non cercato, nè voluto: dovendo consegnare al GP di Shanghai 2006 il motore "congelato" per le stagioni successive, fece smagrire il fusto valvole di qualche decimo, calcolandolo per il futuro regime massimo di 19.000 giri. La fumata di Suzuka privò Schumacher di un probabile titolo e segnò il trasferimento di Martinelli a Torino, per gestire la prossima generazione di motori Fiat con turbo a bassa pressione.
Certamente lui sarebbe la persona giusta per toglierci ogni dubbio sull'uso dei 65° sulle Ferrari stradali, visto che è opera sua.

Sono anch'io schifato per tutte le limitazioni geometriche imposte ai motori di F1. Non è, come hanno tentato di far credere, per calmierare i costi: l'utilizzo delle gallerie del vento per 24 ore al giorno, 365 giorni all'anno (per quelle ali e alette, tanto giustamente odiate da Amon), costa 100 volte più della progettazione e realizzazione di un motore. La verità vera è che il Circus aveva bisogno di propulsori intercambiabili, per far sopravvivere le piccole scuderie. E in questo hanno raggiunto il loro scopo.

Tra l'altro sono stati vietati sistemi che permettevano un maggior arco d'utilizzo, con costo minimo: i condotti d'ammissione a lunghezza variabile. Una colonna d'aria che avanza trovando la porta sbarrata dalle valvole chiuse, non può avere una pressione costante, bensì pulsante con andamento sinusoidale. Così se cerco il miglior riempimento al regime di potenza massima, dovrò calcolare una lunghezza che provochi la massima pressione in corrispondenza del fungo valvola nell'istante in cui questa si apre. Ma appena i giri diminuiscono, questa lunghezza non sarà più quella ottimale e dovrò scendere ad un compromesso tra massima potenza ottenibile e massimo arco di utilizzo: una cosa va necessariamente a scapito dell'altra. I tromboncini a lunghezza variabile risolvevano (almeno in parte) questo problema: perchè vietarli?

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L'alettone del '68, che Forghieri da buon "Meccanico" posizionò in corrispondenza del baricentro, mi fece impazzire. L'anno dopo un mio amico doveva presentare la tesi in "Aeronautica" e decise di impegnarsi in questa: "Guadagno in velocità di percorrenza della 2^ di Lesmo di una Ferrari F1 dotata di ala". Mi chiese di dargli una mano, anche se a me mancavano ancora un paio d'anni alla laurea. La cosa m'intrigò e spendemmo insieme tre mesi di studi e di calcoli. Da Maranello, ovviamene, nessun aiuto: tutto top secret. Cool
Per farla breve, venne fuori un guadagno enorme: dagli originali 190, senza, a 229 km/h, con. Buttammo via tutto, certi d'aver esagerato. Solo sei anni dopo ebbi accesso a quella informazione: in effetti avevamo sbagliato. La velocità raggiunta era stata di 231 :roll:

Non credo che i plurifrazionati abbiano un futuro: con i materiali odierni, è possibile realizzare bielle, spinotti, pistoni ed alberi motori, in grado di sopportare velocità ed accelerazioni impensabili fino ad una quindicina d'anni fa. Un'ulteriore riduzione delle masse, permetterebbe rotazioni anche superiori a 25.000 giri, ma inutili perchè il collo di bottiglia è dato dall'inerzia dei fluidi e dalla velocità di propagazione della fiamma.
In un mondo sempre più affamato d'energia, motori che non percorrono 2 km con un litro, non sono più accettabili. Il futuro prossimo è nel turbo che, con i passi da gigante fatti dall'elettronica, risolverà (e già lo sta facendo nella serie) i problemi di ritardo di risposta e dei bassi rapporti di compressione che ne penalizzano il rendimento ad andatura normale. Magari alimentato a gasolio Sad , avendo il ciclo Diesel un rendimento superiore al ciclo Otto.
In un futuro meno prossimo, ma non così lontano, verrà recuperata l'energia dissipata nelle frenate, magari riaccumulandola sotto forma d'energia elettrica.
Insomma, andiamo incontro ad un motore più pulito e con un miglior sfruttamento energetico. Speriamo almeno che la F1 (e le corse in generale) possano nuovamente contribuire alla ricerca.

Io però sono felice di aver vissuto un'epoca dove il suono di un 12 ti faceva sognare. Cheesy :wink: Cheesy

Dunque, se metto l'ala il corrispondenza del baricentro, questa crea una downforce pari alla componente verticale della forza che l'aria esercita sull'ala stessa, mentre la componente orizzontale si opporrà al moto, creando resistenza.
Se invece sposto l'ala indietro, fino a portarla a sbalzo, sfrutto quello che è semplicemente un effetto leva. Pensa ad un normale schiaccianoci: più mi allontano con la mano dalla noce, minore sarà lo sforzo che dovrò fare per romperla.
Applicando questo concetto ad una F1 ottengo due effetti. Il primo è che parità d'inclinazione dell'ala (e quindi di resistenza all'avanzamento) ho una deportanza maggiore; il secondo che la vettura solleva il muso e addio sterzo e freni :? Poco male: metto un'ala anche davanti: prima dei baffi, poi un'ala vera e propria ed infine quelle cattedrali che vediamo oggi :evil:
Tutto bene finchè l'ala anteriore regge, se però tocco il cordolo della Tosa e al giro seguente questa si stacca sul rettifilo dopo il Tamburello, rimango senza sterzo e senza freni a 300 all'ora. Aspetto la morte avendo tutto il tempo di contare fino a sette, muoio e dai media mi prendo pure del pirla per non essermi fermato ai box per un controllo :twisted:
Ciao Roland: negli ultimi tredici anni abbiamo visto tante ali anteriori o posteriori volare via, ma alla FIA non frega un tubo :twisted: Fino al prossimo.
Ma torniamo a bomba. Avrai notato sun che a Spa l'ala era più indietro di quanto non fosse a Monza. Una ragione c'è: i piloti lamentavano un comportamento che variava tra sovra e sottosterzante, a seconda delle curve che affrontavano (il che non è il massimo della goduria Smiley ). Il comportamento di ogni veicolo dipende dal suo baricentro statico e dal posizionamento del centro di pressione. Il primo è dato dalla distribuzione dei pesi, il secondo dall'influsso del fluido in cui si muove. Finchè l'effetto generato dall'aria era minimo, il secondo creava una forza trascurabile in confronto al peso. Quando hanno cominciato a fiorire le appendici aerodinamiche, questo ha avuto un'importanza sempre maggiore: oggi, e non siamo più ai massimi, vale circa tre volte il peso del mezzo. Si viene quindi a creare quello che definiremo per semplicità (e con orrore degli aerodinamici) un "baricentro dinamico" che, se distante da quello statico, genera uno spostamento longitudinale del punto su cui si applicano le forze (peso + downforce).
Quando i piloti parlano di "bilanciamento", si riferiscono proprio a questo. Il peggio che si può ottenere è una macchina sovrasterzante nel veloce e sottosterzante nel lento. Per ovviare al primo effetto, il più problematico, si tende a caricare il retrotreno più dell'avantreno. Alle basse velocità però, il muso alleggerisce notevolmente: oggi tutte le F1 soffrono di sottosterzo cronico ed ecco perchè, contro tutte le leggi della fisica, si entra in curva ancora frenati. Negli ultimi anni i piloti che maggiormente hanno beneficiato di questo comportamento, sono stati quelli che più sapevano gestire un retrotreno ballerino: Schumacher in testa.

Non so perchè Scheckter considerasse non buono il boxer Ferrari: certo se, per mancanza di carico, era costretto ad uscire più lento dalle curve, i cavalli poco contavano e lui poteva essere indotto a confondere i due problemi.
Di certo i primi boxer erano molto più potenti della concorrenza: a Monza 1970, Regazzoni riuscì a sganciarsi dal trenino che gli succhiava la scia e al tempo per fare ciò servivano almeno 50 CV in più.
Sui modelli T, non bisogna poi trascurare il fatto che, avendo il cambio trasversale, dovevano utilizzare un rinvio in più, che si mangiava un 2/3% della potenza.

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Il 12 Matra aveva sicuramente un suono affascinante per gli spettatori (dato casualmente dagli scarichi e non cercato): per me e per gli altri a bordo pista, era una sofferenza per i timpani, oltre la soglia del dolore. Giuro che senza tappi alle orecchie, si rimaneva sordi per un paio d'ore.
Comunque non era solo rumore: già nel '71 disponeva di una potenza fantastica che sui circuiti veloci si esprimeva in numerose pole.
Solo la proverbiale Amon-sfiga ha potuto privarlo di una buona manciata di vittorie :wink:

Citazione di: "jackyickx"
...a quello 70. a proposito dell'incidente di Mont Tremblant la responsabilità pare sia stata proprio di Borsari, sai Powerslide quale fu l'esatta causa?


A quel tempo ero ancora uno studente che passava qualche weekend a Monza come ufficiale di gara.
Direttamente sulle cause dell'incidente di Ickx non so nulla. Le mie conoscenze si limitano a quanto riportato dai giornali dell'epoca, unito a qualche voce (appresa anni dopo) che non ha però alcun riscontro.
Non mi piace raccontare balle e tantomeno parlare per sentito dire di un argomento delicato.
Posso garantirti due cose: che lui non sarebbe stato orgoglioso di vincere nel '70 (per ovvi motivi) e che io proverò a farmi dare qualche ipotesi attendibile sul Canada '68. Magari anche l'opinione dallo stesso Borsari.

Citazione di: "Jackie_83"
eccola qua...

Bel colpo Jackie :!: Pensa che da quando si parla di Monza '68 mi era tornata in mente questa foto, pubblicata un paio di settimane dopo su AS a tutta pagina, e mi rammaricavo di aver regalato tutta la mia collezione fino al 2001 ad un appassionato (tanto era a far muffa in cantina ...). Grazie per averla ritrovata :cheers:
C'era anche un'altra foto, questa in bianco e nero, scattata dall'interno della pista una cinquantina di metri prima dalla 1^ di Lesmo. Si vedeva (vado a memoria, sono passati 39 anni :wink: ) la Honda di Surtees ferma contromano col retrotreno schiacciato contro le barriere e un grande fumo salire dagli alberi.
Penso siano le uniche due testimonianze fotografiche di quell'incidente.
Di chi sia stata la colpa (se c'è stata) non saprei: ero di servizio in Parabolica. A fine gara sentii i miei colleghi di Lesmo, ma non parlavano di responsabilità, non potevano: a Lesmo 1 c'era una "punta" circa 80 metri prima della curva, altri 3 all'interno in corispondenza della "corda", e una "coda" che doveva guardare se il semaforo tra la 1^ e la 2^ era spento o lampeggiava segnalando un pericolo. Nessuno di loro quindi aveva una visione frontale, l'unica che avrebbe potuto stabilire evantuali manovre scorrette (cosa che personalmente escludo, essendo quel punto il più pericoloso di Monza).
Comunque raccontavano che Amon era volato in aria, scomparendo tra le chiome degli alberi e che il fumo che saliva aveva fatto temere il peggio (era pasato solo un anno dalla morte di Bandini). In realtà si trattava solo di vapore che usciva dal radiatore (come si vede bene dalla foto) e che l'auto era miracolosamente rimasta impigliata tra i rami degli alberi, che avevano impedito cadesse al suolo. In quel punto, il terreno all'esterno è molto più basso della pista (anche oggi), perchè da quando fu realizzato il circuito, venne scavato un sottopasso, con relativo sbancamento.
Amon, per fortuna, aveva le cinture e restò nell'abitacolo a testa in giù: il problema fu tirarlo fuori da quella scomoda posizione, essendo ancora a un bel po' di metri d'altezza 8O

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Non tutto però andò per il meglio: un mio collega, il primo che atraversò correndo la pista (perchè a quel tempo i Commissari correvano Cool ), si fratturò tibia e perone in un maldestro tentativo di salto del guard rail Sad

Citazione di: "sundance76"
E allora, Powerslide, dimmi se non ho ragione, in un certo senso, a dedicarmi di più alla storia dell'automobilismo di una volta che non a seguire il baraccone attuale..
So di essere troppo nostalgico, ma quando vedo quelle auto di fine anni '60, la loro genuina e brutale "meccanicità" mi fa venire a nausea i laboratori asettici che sono oggi i box.....


Vedi sun, parlare a me dell'attuale automobilismo (e non ho detto solo F1) confrontandolo con quello di un tempo, è come darmi un pugno allo stomaco. Sono troppo di parte e le mie opinioni temo possano essere inquinate dalla nostalgia della gioventù.

Voglio quindi, se mi riesce, fare l'avvocato del diavolo e difendere la F1 moderna.
Le macchine, fino almeno a tutti gli anni '70, erano immoralmente pericolose: siluri di latta, avvolti di benzina. L'inferno del fuoco era un terrore costante e l'unico modo per esorcizzarlo era il non pensarci. E questo non solo nella massima formula.
I circuiti erano di una pericolosità allucinante.
All'interno del Curvone di Monza, al di qua, non al di là del guard rail, c'era un platano col tronco di un paio di metri di diametro (e c'è rimasto per decenni!). 8O
Ad Imola, alle Acque Minerali, non c'era via di fuga, ma il bordo della pista era circondato da balle di paglia alte un metro: peccato che se le spostavi, potevi ammirare uno splendido colonnato in pietra o , forse, in marmo. 8O
A Montecarlo dietro le balle di paglia c'erano le bitte in ghisa d'ormeggio dei panfili. Dopo la morte di Bandini misero un guard rail. Prova a ritrovare la sequenza fotografica del Corriere della Sera del 26 maggio 1968: vedrai la Tecno F3 di Regazzoni, che dopo un incidente alla chicane, punta dritta il guard rail, vi si infila sotto e resta appesa, penzolante sul porto, agganciata al roll bar. In una foto vedi la testa del pilota che sta per essere schiacciata tra guard rail e roll bar, in quella dopo vedi che la testa è al di là del guard rail e che tra questo e il roll bar non c'è nulla. Solo i riflessi di Clay gli impedirono di morire decapitato, perchè i coglioni avevano posizionato le lame troppo alte da terra. 8O
Passano due anni e Rindt muore a Monza per i guard rail posizionati troppo alti. 8O Se non son scemi non li vogliamo. Cool
E questo accadeva in anni in cui i circuiti non erano vessati dalle richieste esose e demenziali di Bernie: avrebbero avuto i soldi per rendere le piste più sicure, semplicemente non gliene fotteva nulla e preferivano tenerseli per loro, i soldi. :evil:

Poi, poi, si è ecceduto nel senso opposto con chilometriche vie di fuga asfaltate. Ma non perchè non si volesse il morto per ragioni morali, ma solo perchè il morto è sgradito agli sponsor. :?
Un conto è diminuire il pericolo, un altro è far svanire il "senso del pericolo", perchè è quello che fa alzare il piede, perchè il correre necessita anche di una dose di coraggio per fare selezione. Fare Signes in pieno era cosa da pochi, oggi con una via di fuga di duecento metri diventa una easy flat per tutti. Cacchio, lo è diventata anche l'Eau Rouge :!:
Ma però la F1 moderna ha un'organizzazione fantastica. Non ci credi? Io ho visto su SKY la GP2 a Valencia orfana della F1: spalti deserti, telecronaca "in tubo" perchè nessuno era sul posto e, come se non bastasse, anche con l'aggiornamento dei tempi e della classifica che non funzionava. Che pena!
Allora bisogna guardare al passato con nostalgia ma riconoscendo i gravi difetti d'allora e non disprezzare il presente in toto, pur con i gravi difetti di oggi.
Il bello sarebbe un mix, scegliendo solo le cose buone di ogni epoca. Con gli anni ho appreso che purtroppo non capita mai. Sad
E a proposito di easy flat, non mi si venga a menare troppo il torrone con 'sta storia di: evviva la sicurezza odierna, guarda Kubica e pensa a quanto ha fatto bene la FIA. Ok, la FIA ha fatto bene a rendere più sicure le F1, ma non esiste solo la sicurezza passiva, esiste anche quella attiva. Nel '95 quella curva non si faceva in pieno (e chi usciva più forte preparava il sorpasso al tornante). Poi tra ali, alette e alettine ........ Insomma, se si continua ad aumentare la velocità in curva, i soli circuiti possibili saranno solo quelli di Tilke. Chi ricorda il volo di Trulli a Silverstone? Fino ad un attimo prima la Renault sembrava incollata a due binari, un attimo dopo un giocattolo impazzito che pareva non volersi arrestare mai. (Era Silverstone? Sapete, a una certa età i neuroni vanno in tilt :oops: )
Ok, Vostro Onore, chiedo scusa per l'accorata arringa e torno a Monza '68.
Se Ickx non si fosse fermato ai box per un controllo, se non si fosse incasinato col comando dell'ala ............. Io come detto ero in Parabolica e sono rientrato a casa certo che il belga si fosse classificato secondo: all'ultimo giro, quando era scomparso dietro la curva aveva un vantaggio di 50 metri.
I giornali dell'epoca fecero notare che aveva vinto una delle poche vetture senza ali. Alcuni aggiunsero: "Non servono a nulla, scompariranno presto." :roll:

Citazione di: "jackyickx"
....a proposito dell'incidente di Mont Tremblant la responsabilità pare sia stata proprio di Borsari, sai Powerslide quale fu l'esatta causa?

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Mont Tremblant 1968.
Per ottimizzare l'aspirazione (un po' come dicevo in un altro intervento, riguardo all'andamento delle pressioni dei flussi) erano state provate al banco delle riduzioni, strozzature, realizzate con boccole di vari diametri. Erano montate ad incastro nel condotto a valle delle ghigliottine (sistema che aveva sostituito le normali farfalle, perchè in "tutto aperto", veniva ad essere eliminato l'ostacolo dell'alberino su cui ruotano le farfalle stesse).
Venne scelta per le caratteristiche di utilizzo in quel circuito, la misura di 22 millimetri di diametro.
Ickx lamentò per due volte, sempre alla staccata di una curva veloce preceduta da un lungo rettilineo, il bloccaggio dell'acceleratore in rilascio. A volte capitava che il sistema a ghigliottine, presentasse tale inconveniente per errato montaggio o per "imbarcamento" (deformazione) del pezzo dovuto al calore o per qualche impurità, come ad esempio sabbia o polvere mescolata a grasso.
Venne controllata tutta la catena cinematica di collegamento tra acceleratore e ghigliottine e non venne riscontrata alcuna anomalia.
La seconda volta, vi mise mano direttamente Borsari che per sicurezza provò anche a motore acceso, accelerando fino a 9/10.000 giri e rilasciando di colpo. Nulla di anomalo: le due piastre delle ghigliottine scorrevano perfettamente.
"Fai un paio di giri, se ancora qualcosa non va, smontiamo tutto."
Il giro dopo Ickx uscì di pista e si ruppe una gamba. Per fortuna nulla di particolarmente grave, tanto che il giorno dopo fu il mossiere della gara.
Smontato il motore, ci si accorse che le ghigliottine erano rimaste aperte al 90%, perchè una delle 12 boccole era un po' più magra del dovuto e la depressione in rilascio la risucchiava di un millimetro nel condotto, per poi tornare in sede non appena si riaccelerava.
Ciò accadeva solo nei rilasci sopra i 10/11.000 giri: più in basso non si creava una depressione sufficiente a causare il problema.
Borsari, da quel grande signore che è sempre stato e che ancora è, si prese tutte le colpe: anche quelle non sue.
Alla rievocazione della Targa Florio dello scorso anno, "Pierino la Peste" non mancò di ricordare il "misfatto" al "colpevole", ma lo fece in modo simpatico, come scherzo, sapendo che il buon Giulio ancora oggi non è riuscito a darsi pace.
Penso che la differenza tra le corse di oggi e quelle di un tempo, si rispecchi bene in un confronto tra uno Stepney e un Borsari.

Montecarlo 1967.
Come ci ricordavamo, Lorenzo non aveva le cinture. Come tutti gli altri, fino a quell'anno.

Comunque ti voglio raccontare un aneddoto. Ero Commissario di Gara a una 4 ore di Monza dove battagliavano le GTA con le Ford Capri ed Escort (che montava il motore usato in F2 8O ) e le BMW CSL.
Me ne stano sul terrapieno della Parabolica (a quel tempo c'era il terrapieno Cool ) sotto una pioggia torrenziale.
Dietro di me Galli e Giunti parlavano di servofreno e pigliavano per il sedere De Adamich che era l'unico che lo voleva montato.
In effetti a quel tempo (credo fosse il '70) il servofreno ti faceva staccare un bel po' prima, perchè aveva dei tempi morti notevoli.
Con l'uso in gara però divenne ottimo; stessa storia per il servosterzo.
Perchè allora proibire l'uso del ABS in F1? Fino a una decina d'anni fa, sui libretti d'uso delle auto munite di questo congegno, si poteva, con grande stupore, leggere: "Da disinserire in caso di strada particolarmente sdrucciolevole o il presenza di neve o ghiaccio" :!: Ma non serve proprio per questo :?:
Migliorare l'ABS con l'uso nella massima formula, non sarebbe certo uno scandalo: meglio in ogni caso che avere un TC che accelera in frenata per impedire il bloccaggio delle ruote posteriori.
Ma tanto dal prossimo anno il TC sarà proibito ...... finchè non si troverà un surrogato Cool
Personalmente sono contrario a tutto questo accanimento contro l'elettronica: è un andare contro alla tecnologia di tutti i giorni, un anacronismo.
Ma perchè non se la prendono con l'aerodinamica?
Misteri del Circus :evil:

Con il cambio di regolamento che portava la cilindrata a 3 litri, la BRM pensò di utilizzare molte parti del V8 1.5 per costruire un 16 cilindri.
Praticamente si trattava di due motori 8 piatti sovrapposti (mi sembra di ricordare con 2 alberi a gomito) collegati da una coppia d'ingranaggi cilindrici. Se (e sottolineo se) i due alberi motori fossero stato a loro volta piatti (ma nel V8 così non era) il motore sarebbe stato a due scoppi contemporanei.
Il motore era molto potente (ed anche portante - ottimo per l'epoca -). ma di un peso sproporzionato. Stewart ebbe a dire che era un'ottima ancora per navi, più che un propulsore Smiley
Eccezionale l'immenso Jim Clark che, contro ogni pronostico, riuscì a portarlo al successo (l'unico) nel Gp USA a Watkins Glen (circuito per uomini veri), precedendo Rindt (però di un giro) su Cooper Maserati V12.
Se la memoria non m'inganna (ma facile che potrebbe :oops: ) Clark si fermò poco dopo il traguardo o per guasto o per mancanza di benzina.

L'anno dopo, la BRM corse con un V12 (potente e con un bel suono cupo in rilascio), nonostante avesse approntato un H16 più leggero, con molte parti in magnesio.

Il Matra V12 era un ottimo motore che, oltre al suono spaccatimpani, aveva un'ottima potenza. Forse era il complesso "macchina" che spesso lasciava a desiderare.
Comunque Monza '71 (l'ultima vera Monza Cool ) sarebbe stata appannaggio di Amon (che aveva anche fatto la pole), se lo sfigatissimo non si fosse strappato tutta la visiera a pochi giri dal termine, nel tentativo di togliere solo la pellicola di protezione. Gli ultimi giri dovette rallentare di molto e ricordo che guidava col capo abbassato. Una pena, poveretto: al traguardo aveva il viso al limite del sanguinamento.
Piccola nota personale: la visiera la strappò tra la 2^ di Lesmo e il Serraglio ed io che ero di servizio lì, la raccolsi e la portai a casa. Nei vari traslochi, l'ho persa :!: Sad :cry: :cry:

I suoni di quei motori non li sentiremo mai più :cry: A più di 300 Hertz, solo sibili :evil:

Citazione di: "sundance76"
L'articolo è di Giacomo Augusto Pignone. Viene scritto che la pressione media effettiva negli aspirati dell'epoca era al massimo tra 13 e 13,5 bar. I 14 bar venivano visti come poco realistici. E ora??

La velocità media del pistone viene prevista intorno ai 24-25 m/s. I 26-27 ancora una volta erano considerati solo per non porre limiti alla Provvidenza. Ma oggi ci sono arrivati??


Pignone ha scritto ottimi testi e, sopratutto, comprensibili.

La pme in quest'ultima dozzina d'anni non ha subìto incrementi significativi :roll: . D'altronde più si aumentano i giri e si peggiorano le forme delle camere di scoppio, più il "carico" va a farsi benedire. L'unica cosa che è evoluta, migliorando la velocità di propagazione della fiamma, è quella cosa strana che mettono nei serbatoi e che chiamano "benzina" :wink:
Un mio collega, affermava di averne visti (meglio: calcolati) 14.1 nel punto di coppia max in un motore F1 made in Germany, quando erano ammessi i condotti a lunghezza variabile, ma essendo lui coinvolto nel progetto ......... beh, noi ing. somigliamo molto ai pescatori :wink:

Per quanto riguarda la vel. media del pistone, il calcolo è semplice:
considerato che la FIA consente un alesaggio max di 98 mm (che tutti usano) e che impone di calcolare pgreco = 3.1416 (in effetti la geometria lo fisserebbe in 3.141593 ecc. ecc, ma loro impongono tutto :twisted: ), la corsa deve esssere di 39.77 mm. Quindi a 19.000 g/min la vel. media è di 25.19 m/sec.
Senza questa limitazione, oggi si potrebbe girare a 20/21.000 con una vel. tra i 26.5 e i 27.8.
Non è comunque la velocità la maggiore fonte di stress per l'imbiellaggio, bensì l'accelerazione max. che si raggiunge in corrispondenza dei punti morti, dove avviene un'inversione del moto e quindi della "freccia".
Questa dipende dal numero di giri, dalla corsa e dalla lunghezza della biella.
Ti risparmio le formule, però ti dico che nei motori a scoppio tutto è un compromesso.

Su 'ste cose parlerei per una vita, ma ora mi reclama la moglie. Quando avrò un po' di tempo (sempre che la cosa non rompa troppo ai frequentatori del sito) proverò a spiegare in modo sintetico i pro e i contro dei plurifrazionati.

Ciao a tutti.



FIAT E MADE IN ITALY

Citazione di: "sgarbo"
Insomma insomma....la Fiat non è ai livelli di quei gruppi e probabilmente non lo sarà mai....magari influenzerà il mercato italiano e quello dei produttori italiani, ma tanto lì ci ha già pensato LucaRaccomandatoDiMontezemolo quando ha salvato la FIAT, che comunque si comportava e si comporta in maniera schifosa sul mercato(soprattutto in borsa), rifilando un calcio nel sedere ad Alfa Romeo e Lancia....(in parte anche Maserati e Lamborghini, che comunque hanno un mercato differente da Fiat, Lancia ed Alfa)


Insomma insomma....non sarei così disfattista.
C'è stato un lungo periodo in cui qualcuno voleva che la FIAT fallisse come casa automobilistica, per portarla nel settore comunicazione e multimedialità. Non è possibile che per anni siano state costruite auto che la ruggine divorava in poco tempo, ma, soprattutto, non è credibile che la più grande invenzione per i diesel, il sistema d'iniezione Common Rail, sia stato inventato e sperimentato dalla Marelli (FIAT), per poi essere regalato alla Bosch :!: Eppure è stato così 8O

Con il breve ma importante impegno di Umberto Agnelli, i ruoli e gli oneri personali tra i vari componenti la famiglia, sono stati chiariti. Non a caso, la seconda generazione del Common Rail, il Multijet, la casa torinese se l'è tenuto ben stretto.

Montezemolo, sarà anche raccomandato, ma ha certamente il merito di sapersi circondare di eccellenti collabatori, come Marchionne, e di saper creare uno spirito di squadra.

Il titolo in borsa è quello che ha meglio performato, quadruplicando il suo valore in due anni e, a detta di tutti gli analisti, ha ancora molta strada da fare in pochi mesi. Tra tutte le case automobilistiche europee, FIAT è l'unica che aumenta le vendite, ma anche la quota di mercato a scapito della concorrenza.

Su una cosa sono d'accordo: i marchi Lancia e Alfa, che pure avrebbero la possibilità di entrare in competizione con Audi e BMW, non hanno al momento fatto grandi salti in avanti. Visto che però il mondo non è stato creato in un giorno, mi auguro che in un prossimo futuro si pensi un po' di più anche a loro.

Noi italiani abbiamo il difetto di essere i primi a criticare i nostri prodotti: due esempi, uno di tanti anni fa, l'altro di pochi giorni.
La FIAT 130 berlina è stata più venduta in Germania, patria della Mercedes, che non in Italia.
La Mercedes ha intenzione di far costruire le proprie Classi A e B, nello stabilimento FIAT di Cassino, avendo rilevato che dopo gli ultimi ammodernamenti, è quello all'avanguardia come qualità in Europa. Se poi i colloqui andranno a buon fine o meno, ha un'importanza relativa: quello che conta è che nei paesi europei più evoluti, l'Italia dell'auto è vista con la considerazione che sembra meritare.

Sulla Maserati si potrebbe discutere a lungo ed anche in modo interessante, ma finirei per rompere gli attributi agli amici di questo forum Smiley

Per quanto riguarda la Lamborghini, non la vedo così maltrattata: è di proprietà del Gruppo Volkswagen



PAUL FRERE'

Proprio questo weekend stavo pensando di raccontarvi il mio primo incontro con Enzo Ferrari e siccome sono passati esattamente 40 anni, mi sforzavo di far riaffiorare i ricordi di quel giorno.

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Ad un certo punto ero finito all'autodromo di Modena, nella speranza di veder girare la F1: purtroppo era impegnato dalla presentazione ai giornalisti della 365 GTB4, meglio conosciuta come Daytona.
Quella che veniva data in pasto ai pennaioli era blu: la strapazzavano senza alcuno stile nè capacità, in quell'assurdo toboga, che già allora odorava di abbandono.
Stretto, difficile, con cordoli alti come marciapiedi e con quella che era la seconda chicane conosciuta al mondo, dopo Montecarlo.
Intraversavano in modo incontrollato, si giravano, tiravano le marce basse in fuorigiri e cambiavano sottocoppia in quelle alte: una pena.
Dopo aver assistito a quello scempio per una mezz'ora, stavo per andarmene, quando mi accorsi che l'ultimo salito al volante ci sapeva fare. Velocissimo e rispettoso della meccanica: sempre una marcia più alta dei colleghi e con un'entrata sul rettilineo d'arrivo tutta in derapata controllata. Fece tre giri, si fermò e scese. Solo allora lo riconobbi e capii.

Ciao Paul, eri bravo sia col volante che con la penna, ma soprattutto eri un signore.



JIM CLARK QUARANT'ANNI

Effetto progresso, abitudine, consuetudine, comune senso del .....

Sono nato che la TV non c'era e già la radio sembrava un mistero miracoloso. Quando arrivò c'era solo un canale, poi due: se volevi cambiare ti alzavi e giravi la manopola.
Oggi ho cinque telecomandi davanti al divano (dei quali uso il 20% delle funzioni) e se uno si guasta cado in depressione.
Fino a dieci anni fa il cellulare non esisteva. Oggi se lo dimentico a casa, torno indietro con la stessa ansia di chi è uscito senza infilarsi i pantaloni.
Quando nel '72 mi sono laureato, mi sparavo il terzo decimale con un regolo. Oggi se Excel mi canna l'ottavo decimale m'in*****o di bestia. In compenso senza una calcolatrice le divisioni mi fanno faticare come quando ero alle elementari.

Un giorno di tanti anni fa, stavo andando a Modena per una festa. Il sole arrivava di sbieco e così la luce radente mi fece notare una cosa: ogni cento metri, l'erba che fungeva da spartitraffico sull'Autosole, era graffiata dalle disperate strisce di un salto di corsia: i rails ancora non c'erano. Guccini dedicava ad una ragazza di nome S.F. una canzone per un'amica, i Nomadi la portarono al Cantagiro e, nella loro versione, aggiunsero la voce di un giornaleradio che parlava di una morte per salto di corsia. Venne bandita da tutte le radio.

Eppure già allora si capiva che qualcosa non andava: l'anno prima Lorenzo non sarebbe morto se le bitte del porto fossero state protette da un rail; rail che misero appunto nel '68, ma tanto stupidamente alto che Regazzoni non si decapitò per un pelo, restando con la F3 incastrata sotto. Due anni dopo, Rindt morì per un altro stupido rail troppo staccato da terra.
Non avevamo imparato nulla da errori già di per sè incomprensibili e continuavamo a ripeterli.

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Quel giorno di tanti anni fa ha una data difficile da dimenticare.
Al ritorno da Modena ci fermammo a cenare in una trattoria e lì, davanti a un timballo di fettuccine e a un calice di lambrusco, apprendemmo la notizia dalla radio.
Così, con un po' di tristezza, ma senza lo sgomento dettato dagli eventi inattesi, semmai con stupore perchè quel giorno la F1 non correva.
Prima o poi doveva accadere, pensavamo, faceva parte del "gioco". Era una terribile abitudine.

Poi i 192 chilometri nella notte verso casa, con i pensieri che si accavallano: quel giro recuperato a Monza per poi finire senza benzina; quella timidezza spesso scambiata per superbia; quel salutare la bandiera a scacchi solo alzando due dita a formare la V di victory; quel giorno a Montecarlo in cui una fugace stretta al braccio di Margherita, la moglie di Lorenzo, disse tutto senza bisogno di parole; quel modo di affrontare le curve tanto apparentemente pacato quanto incredibilmente veloce; quel modo stupido di andarsene in una gara minore, occupando una posizione di rincalzo, in un rettilineo un po' storto.
Sarebbe bastato un guard-rail per tanti altri Titoli Mondiali.

Quel giorno a Modena di quaranta anni fa ha una data difficile da dimenticare: 7 aprile 1968
Ciao Jim



CIAO GILLES


Quel giorno non ero a Zolder, ero rimasto in fabbrica con un collega e tre meccanici per portare a termine un ciclo di resistenza dinamica di uno spinotto: sembrava ancora surdimensionato perchè proprio non aveva voglia di cedere e farci tornare a casa.
Feci segno di fermare il banco e mi tolsi le cuffie. Aprii la porta insonorizzata e sedetti alla scrivania per buttare giù gli ultimi appunti.
Suonò il telefono interno e per un attimo pensai che fossero arrivati i tempi di qualifica e che dall'ufficio accanto ce li volessero comunicare. Rispose il collega ed io alzai lo sguardo dal grafico.
Il collega sorridendo disse: "Dimmi", poi il sorriso svanì e la faccia divenne bianca. "Quando?! Come?"
Io gridai: "Chi?!"
Lui disse: "Gil" e non aggiunse altro, nè io glielo chiesi: gli occhi rossi e i pugni stretti parlavano da soli.

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A me non piaceva per come trattava le macchine, senza alcun rispetto per la meccanica: ci soffrivo. Ma quello era l'unico difetto che gli riconoscevo in mezzo a tanti pregi. Sincero, leale fino a sembrare tonto. Qualsiasi cosa combinasse lo perdonavi perchè capivi che era in buona fede.
Forse gli mancava una rotella, forse non sarebbe mai diventato campione del mondo, forse non era dotato di una tecnica sopraffina. Di certo il più veloce e con un controllo del mezzo incredibile.

Anche io gli volevo bene. Tanto.



ANNI VISSUTI IN FERRARI

Fino al '72, anno della mia laurea, ho avuto due sogni: essere un pilota e poter progettare una Ferrari da corsa, F1 o prototipo che fosse, meglio se entrambe. Mi piaceva pensare a Parkes, pilota ed ingegnere, ma nulla impediva ai miei sogni di ragazzo di pensare più in grande.
Svanito il sogno di pilota per trascorsi limiti d'età, restava il secondo.
Prima della laurea ho avuto due esperienze (che oggi chiamerebbero stage) presso un team italiano e poi in una casa motoristica inglese.
Dopo la laurea, nell'attesa della chiamata a militare, tornai presso il team italiano: non avevo uno stipendio, solo un rimborso spese, ma imparavo un casino ed avevo la garanzia di essere assunto una volta assolti gli obblighi di leva. Fu un periodo di un anno abbondante molto bello: capivo cosa volesse dire progettare, ascoltavano i miei pareri e, quando una mia idea era presa in considerazione toccavo il cielo con un dito. La struttura era composta da un "capo" nel vero senso della parola, da tre ingegneri e una cinquantina tra operai e meccanici. Più il sottoscritto, apprendista stregone. Quando iniziava la stagione, mi dividevo tra commissario di percorso o, se mi chiamavano, come pedina aggiunta del team.
Nell'aprile del '74 infine arrivò la chiamata alla leva. Arrivò in un modo strano che un giorno vi racconterò per i suoi aspetti singolari. Certo avrei preferito un congedo illimitato permanente e maledissi quell'anno e mezzo buttato via. Invece fu la mia fortuna. A metà del '75, quando ridivenni "uomo libero", la prima crisi petrolifera era già scoppiata e le assunzioni d'ingegneri avevano subito uno stop: anche nel team per il quale avevo lavorato gratis. Però il kulo nella vita è essenziale: nel mio anno e mezzo di militare, ero entrato in contatto con una ditta (capisco che il discorso è confuso, ma non posso dirvi di più sennò mi "scopro" troppo) che decise di far correre una F2. Mi offrirono il ruolo di secondo ingegnere di pista: uno dei giorni più belli della mia vita!
L'avventura durò un paio d'anni - stupendi - nei quali giravo tutti i circuiti d'Europa ed entravo in contatto con personaggi che fino ad allora avevo solo visto in foto.
Era ancora un'ambiente pulito, sano, fatto d'appassionati più che da managers. O almeno così appariva.
Sapevo però che quel periodo avrebbe avuto una scadenza e continuavo a prendere contatti, anche perchè, stando in pista, mi sembrava di giocare e continuavo a pensare che progettare un motore fosse il mio vero lavoro.
Così un giorno mi arrivò una chiamata dalla Ferrari. Una gioia incredibile, un sogno sognato e raggiunto. Un sogno che durò poco. Già alla fine degli anni '70 la Ferrari era una struttura molto diversa da quella che da semplice studente avevo visitato una decina d'anni prima. Si può dire che già da subito (assieme ad un'altra dozzina di tecnici) fui alle dirette dipendenze di Forghieri che, come tutti i geni, era un terribile accentratore. Lui progettava davvero, noi controllavamo i calcoli, progettavamo piccoli particolari e passavamo molto tempo in sala prova o ad analizzare i pezzi che cedevano. Ovviamente all'inizio ero l'ultima ruota del carro, ma, piano piano, scalavo in alto e non era certo mia intenzione mollare anche se in effetti non progettavo e neppure frequentavo le piste se non per le prove private e, solo occasionalmente, per i GP. Quando Furia cominciò a convocarmi, i suoi rapporti con Piccinini erano già guasti ed io capii di essermi legato al carro sbagliato: ma di questo non mi sono mai pentito.
In ogni caso le stanze dei bottoni erano già da tempo chiuse per i tecnici, Forghieri escluso, e se venivi convocato era spesso per prendersi un solenne caziatone, dopo un'anticamera anche di ore.
I momenti migliori erano nelle sessioni di prove private: non c'era la pressione asfissiante delle gare e potevi avere un contatto diretto con i piloti, anche scherzando con loro, ma soprattutto facendoti spiegare le loro sensazioni, cosa che con me tutti hanno fatto volentieri sapendo che per due volte il sedere su una F3 l'avevo messo (ed in questo, mostrare la cicatrice sulla gamba sinistra mi fu utile, per conquistarmi la loro fiducia Smiley ). A volte, quando non mi capacitavo del perchè i tempi non scendessero e mi accorgevo che il pilota scuoteva la testa perdendo fiducia su ciò che stavamo provando, alzavo la voce e dicevo: "Ora salgo io e ti faccio vedere!". Ovviamente era uno scherzo e tutti scoppiavano a ridere, ma era un buon metodo per allentare la tensione e resettare l'ambiente.
Spesso a Fiorano, ma sempre in orari differenti, il Drake faceva una fugace apparizione. Si piazzava lontano dai box e restava impiedi, immobile per diversi minuti. Sembrerà incredibile ma in quei giri i tempi miracolosamente scendevano. Alla fine faceva convocare il pilota o i piloti (ma sempre separatamente) nel suo ufficio. I tecnici mai.

Di dicerie e di aneddoti in quella decina d'anni ne ho appresi molti, ma la maggior parte sono cosa nota o senza alcun reale fondamento e gli altri di nessuna rilevanza.
Le confidenze fattemi le tengo per me proprio perchè tali: è un mio principio che ho sempre adottato in tutti i momenti della mia vita.

Un paio di cose posso dire, perchè non fanno male a nessuno.

Il giorno prima della partenza per Zolder, incrociando Gilles gli dissi: "Ti ho sentito in tv suonare la tromba: riprovaci quando ne inventeranno una a motore." Lui abbozzò un sorriso, ma solo con le labbra e non col cuore.

A Monza '88 passai una mano attorno alla spalla di Michele:
"Se non era per te col cavolo che oggi si vinceva, Gherardo si era già accontentato."
"Grazie - rispose - anch'io ho avuto la sensazione che stesse correndo contro di me e non contro Ayrton. Mica poteva lasciarsi passare da me che sono in partenza, mentre lui è confermato! Ma tu non sei stanco di questo ambiente?"
"Tienlo per te: alla fine della prossima stagione anch'io cambio aria."
E così feci.


 

C'ERA UNA VOLTA A MONZA...

Citazione di: "Niki"
...ma dal poco che ho potuto vedere e capire credo che Alboreto sia stato un signore...

C'era una volta, a Monza, il vialetto che portava al cancello d'accesso alla pista. Il vialetto c'è ancora (anche se sembra l'ingresso di Alcatraz), quello che manca è il cancello.
Il custode del cancello era un tipo dal fare burbero, ti guardava e sembrava sempre in*****ato. Come il cancello, lui è rimasto lì per anni ed anni, un'istituzione, poi insieme al cancello ed alle torri che facevano da cornice (brutte ma che erano un pezzo di storia) è stato spazzato via: forse ora anche lui è in volo sull'astronave dove si svolge la premiazione (che figata!).
Come dicevo il custode era rude e burbero, ma noi lo chiamavamo San Pietro perchè era quello che ti apriva il cancello del Paradiso, quando decidevamo di fare una sgroppata in pista con la nostra macchina di tutti i giorni. Fermavamo l'auto lì di fianco, rigorosamente col motore acceso, e andavamo in Direzione a consegnare la patente e firmare il modulo di scarico di responsabilità, in cui c'impegnavamo a pagare il carro attrezzi e tutti i danni provocati al circuito in caso d'incidente.
Ah già, si lasciava il motore acceso perchè all'epoca quasi tutte le auto avevano i cilindri in ghisa e pistoni e teste in lega. Due coefficienti di dilatazione termica differenti: non è un caso che il maggior numero di grippaggi in autostrada avvenissero un paio di chilometri dopo gli Autogrill. E sì, in quegli anni si poteva ancora grippare.
Dunque, dicevo di San Pietro. Se alla centoventesima volta che lo incontravi ti rivolgeva la parola, voleva dire che non ti considerava più un intruso, uno che andava lì per provare qualcosa di diverso tanto per far qualcosa di diverso, ma capiva che un po' di passione c'era. Allora scoprivi una persona totalmente diversa: uno strano eremita/poeta che viveva tutta la sua vita alle porte del Paradiso, aprendo la porta ai piloti e traendo passione dalla loro passione.
"Tutti eroi, quelli che vanno lì dentro son tutti eroi! Senti, senti il Luigi (Colzani). Tira sempre come una bestia, qualsiasi cosa abbia sotto il sedere dà sempre il massimo. L'ho visto con la GTA, con la RS, perfino con la 128 e il prossimo anno si dà alle sport. Pensa con l'Alfone (la 2600 Sprint) stava dietro alle GTA: qualche volta prendeva il Curvone in pieno; qualche volta lo riportavo indietro col carrattrezzi." E storceva i baffi in quella che per lui era una risata.
"Senti questo!" ed io drizzo le orecchie: sta passando una F. Monza, una "spetecchina".
"Senti ora come cambia, senti come scala per entrare alla Junior!" e io ascolto.
"Questo si fa, questo arriva lontano!" Poi si gira, entra in pista e chiude il cancello. Già perchè con lui si parlava sempre lì a cavallo della soglia: lui dentro e tu fuori.
Faccio passare un po' di tempo fumando una sigaretta. Si apre il cancello ed esce la piccola monoposto. Vuole girare a sinistra dove ci sono i vecchi box, quelli lastricati con i cubetti di porfido presi dalle due Curvette quando vennero sostituite dalla Parabolica. Vorrebbe, ma io sono lì in mezzo e lui si ferma: ha il casco in grembo, i capelli mossi e lunghi, gli occhi vispi e sinceri.
"Scusa" e lui sorride.
"Come ti chiami?"
"Michele".
"Michele e poi?"
"Alboreto, Michele Alboreto. Perchè?"
"San Pietro dice che diventerai qualcuno."

Lui sorride, io mi faccio da parte e lui riparte accompagnato da quel rumorino del bicilindrico.

Cominciava così la mia conoscenza con una delle persone più corrette abbia mai trovato: nel mondo delle corse e non.
Meritava di più, ma gli italiani non sono mai troppo generosi con gli italiani. Si accorgono di loro solo quando muoiono.



JACKIE ICKX

Citazione di: "sundance76"
....Franco Gozzi non lo sopportava e cercò in vari modi di convincere Ferrari a licenziarlo.......

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E' la notte tra il 13 e il 14 giugno del 1970. Si sta disputando una delle più terribili 24 ore di Le Mans che si ricordino. Pioverà forte ed interrottamente per quasi tutta la gara: all'arrivo solo 7 vetture verranno classificate.
Siamo alla decima ora, la Ferrari 512S di Jacky Ickx e Peter Schetty è in seconda posizione dietro ad una Porsche 917. E' alla guida il belga che, fortissimo sotto la pioggia, sta recuperando manciate di secondi ad ogni giro. Passata Maison Blanche la vettura si appresta a percorrere la penultima curva prima del traguardo. All'improvviso sbanda col retrotreno, si dirige verso un muretto di protezione in cemento alto più di un metro, lo scavalca, falcia un commissario di percorso e, prima di arrestarsi, investe uno spettatore che dorme nel suo sacco a pelo.
Il pilota esce con le sue gambe dal rottame, si guarda attorno nel buio della notte, rifiuta ogni soccorso e si dirige a piedi verso i box.
Arriva un dottore, si china sulle due persone e scuote la testa. Le ambulanze svolgono un compito di umana pietà, non di necessità.
Dopo il pilota belga, ai box della Ferrari si presentano due gendarmi e invitano Ickx e Gozzi, Direttore Sportivo del Cavallino, a seguirli al posto di polizia interno al circuito.
Un commissario li aspetta. Si liscia i baffi con le dita, passa una mano sulla fronte e dice: "Ci sono due morti, questo è solo un atto dovuto." Gozzi annuisce, Ickx tace.
Il commissario continua: "La velocità, il buio, la pioggia, l'aquaplaning ... purtroppo è il prezzo che a volte questa gara viene a riscuotere." Tira un sospiro e allarga le braccia. "Penso che questa triste faccenda sia chiusa qui: un normale incidente di gara."
Gozzi annuisce e mentre sta esprimendo tutto il suo rammarico per quanto accaduto, viene interrotto da Ickx: "Non ho perso il controllo per aquaplaning, ma perchè il cambio si è bloccato!"
Gozzi guarda il suo pilota chiedendosi se ha capito bene. Il commissario alza gli occhi e guarda Ickx: "Cosa intende dire?"
"Solo ciò che ho detto."

Il rottame della Ferrari viene trasportaro nei retrobox e vengono convocati un tecnico della Casa, uno della Federazione ed uno dell'ACO.
La notte è fonda, le auto continuano a sfrecciare, la pioggia continua a cadere.
Il cambio viene staccato dalla vettura ed aperto. Dopo due ore il responso dei tre tecnici è unanime: non vi è alcuna anomalia.
Gozzi ed Ickx vengono convocati. Alla lettura del responso tecnico il Direttore Sportivo tira un sospiro di sollievo che viene troncato dal pilota: "Se il cambio è ok, allora si sono bloccati i freni posteriori!"

Franco Gozzi il giorno dopo viene accompagnato alla frontiera e consegnato alle autorità italiane che provvedono a ritirargli il passaporto.
A Maranello arriva da Torino un giovane profumato e ben vestito che, pur capendo nulla di corse, si mette a pontificare ed a rimarcare come quanto accaduto possa mettere in cattiva luce la Ferrari, ma anche la Fiat.
Il Drake non accetta queste interferenze e difende le sue vetture, l'operato dei suoi tecnici e il suo Direttore Sportivo.

Occorrono due mesi d'indagini per stabilire che nessun guasto tecnico è stato rilevato sulla Ferrari 512S telaio 1038. La vettura rientra in Italia e viene restituita alla Ferrari. Gozzi è scagionato da ogni responsabilità oggettiva e gli viene restituito il passaporto. La mattina dopo si presenta da Ferrari e rassegna le sue dimissioni da Direttore Sportivo. Il Drake le respinge, ma lui spiega che sono irrevocabili: spiega che non lo fa per Ickx, ma perchè non sopporta più quelli di Torino.

Gli succede Peter Schetty: già Campione Europeo della Montagna con la Ferrari 212E, uomo vicino alla famiglia Agnelli e, ironia della sorte, pilota della 512S telaio 1038 alla Le Mans del 1970.



CHI SONO

Corso è una parola grossa.

Ho partecipato solo a due gare club, ambedue in Inghilterra.
Prima avevo corricchiato in Italia con una 595 in salita e tre volte in pista e l'anno dopo con una F.Ford.

La mia esperienza in Inghilterra era dovuta ad uno stage presso la ..... per preparare la tesi.
Affittai una Tecno (molto rabberciata) e debuttai a Silverstone: un incubo. Tutto a chiodo o quasi, con un sovrasterzo allucinante: proprio quello che ci vuole nei curvoni in pieno :? Mi classificai in terzultima fila e conclusi dodicesimo (o tredicesimo?), più per i ritiri di quelli che mi precedevano che per i miei sorpassi, tre in tutto: due in rettilineo sfruttando la scia, ma uno molto bello (concedetemelo), all'ingresso della Stowe. Il proprietario mi fece i complimenti (probabilmente sperava gli affittassi ancora l'auto) e così fu un paio di settimane dopo.

A Brands Hatch eravamo in tanti e fecero le prove in due turni: numeri pari e dispari. Io avevo un pari e quando cominciammo le qualifiche, si scatenò un mezzo diluvio: terzo del mio gruppo e partenza in terza fila (ci si schierava 3-2-3).
Corremmo sotto la pioggia (per mia fortuna) e, a quattro giri dalla fine, eravamo rimasti in tre davanti. Memore che a Monza in Parabolica col bagnato la traiettoria migliore è quella tutta all'esterno, decido di usarla anche lì e funziona :!: Cheesy Attacco il secondo alla Hawthorn e quello pensa bene di andare in testacoda metre gli sono affiancato. Il bello è che mentre lo vedo girarsi, godo come un grillo (che bastar.. :twisted: ) pensando già se riuscirò a fare lo stesso col primo. Non faccio in tempo a completare il pensiero, quando sento un colpo alla posteriore destra. Sinceramente non pensavo di non riuscire a riprenderla con un bel controsterzo e addirittura mi stupisco quando sento il botto contro le barriere. Una brutta impressione. Me la cavo bene: il perone e il tendine d'Achille, però la mia carriera (per volere della famiglia) si conclude lì.

Non ne patii poi troppo: volevo soprattutto progettare motori e, con molta fortuna, mi riuscì (anche se non come avevo sognato).

Due cose ho imparato in questi ultimi anni, due cose che allora non avevo capito.

La prima è che da ragazzo non mi divertivo, non godevo a correre. Lo facevo solo per darmi importanza e farmi notare dalle ragazze, ma ero felice solo a gara conclusa. Quindi, mi costa ammetterlo, avevo paura, anche se in gara non mollavo mai neppure un centimetro all'avversario. Il bello è che oggi sono un sessantenne che gode come un matto a correre (anche dove non si potrebbe Cool ) e, un paio di volte all'anno sfido in kart figli e nipoti degli amici. Mai meno di terzo, mai meno di tre giorni di sofferenza per far riassorbile i lividi e far scomparire i dolori :oops:

La seconda l'ho scoperta leggendo un libro di Delli Carri in cui un pilota (credo Ghinzani o Colombo, ma non ne sono affatto sicuro) dice: "Ho scoperto di essere forte quando, girando la prima volta con un F.Ford sulla Junior ho fatto 1 e 5."
Giuro, io la prima volta ho fatto 1 e 3 :!:

Chissà, forse ero veramente bravo :?:

Dimenticavo: l'anno.
Lascio alla vostra bravura scoprirlo: era quello in cui cambiò il regolamento della F3.

Non vi racconterò più altro:
1) perchè finirei per lodarmi ed annoiarvi;
2) perchè quello Sherlock Holmes di sundance_76 è sulle mie traccie........ Cheesy

Ciao a tutti e grazie.

Nonno Power