COL CUORE A TAVOLETTA

"Col cuore a tavoletta"

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Difficile dire quale sia stata la più bella vittoria in una Mille Miglia.
Ognuno ha la sua opinione, c'è chi indica il record di Moss, chi la vittoria di misura di Brivio, chi, infine, il prodigio di Bracco, al limite dell'incoscienza e chi preferisce le calligrafiche vittorie di Giannino Marzotto, un improvvisatore di classe.
Tutti, ma proprio tutti, specialmente coloro che hanno vissuto quei giorni, non mancheranno però di ricordare la Mille Miglia del '56, quella su cui Giove pluvio aveva aperto le cateratte del cielo: la Mille Miglia di Eugenio Castellotti.
Quella domenica piove in tutta Italia, una pioggia pesante, continua, una tenda d'acqua che scende da Brescia a Roma e viceversa.
Piove una pioggia sottile anche quando Eugenio Castellotti, giovane campione del volante, scende con la sua Ferrari 290MM dalla rampa di Viale Rebuffone, facendo urlare già sul rettifilo bordato d'ombrelli il 12 cilindri della sua "barchetta".
Sono le 5:48 di mattina.
Da quell'istante la pioggia non lo abbandonerà un attimo.
Moss e Fangio, con la Maserati e l'altra Ferrari, sono i grandi favoriti, ma a Verona, al primo significativo controllo cronometrico Castellotti ha già un netto vantaggio, 47", su Taruffi, gli altri seguono più distanziati. Fangio, sotto il diluvio e con la macchina scoperta che imbarca acqua dappertutto, soffre il freddo ed è preceduto anche dai compagni di squadra Musso e Collins.
Dopo Padova l'intensità della pioggia aumenta e Moss sembra in rimonta.
L'asfalto, lucido di pioggia, è un'insidia continua, la potenza diventa un handicap: Cabianca con l'Osca 1500 precede Fangio, in netta crisi, Collins e Musso, mentre in testa passa un nobile tedesco Wolfgang Berghe Von Trips che ha il vantaggio di guidare una Mercedes 300SL, coperta. 
Da Pesaro a Pescara, con la strada tutta un rettifilo, Castellotti affonda il piede e non ce n'è più per nessuno.
Sotto una pioggia battente la sua poderosa Ferrari divora i chilometri fino a Pescara, gli spettatori sotto teloni di fortuna, ombrelli, impermeabili con la coppola, salutano il giovane campione che guadagna manciate di secondi sugli avversari.
A Pescara, dove piove a secchi, ha già vinto: il secondo è ad  oltre due minuti e Taruffi si è fermato.
Resta Moss che attacca come un forsennato sui monti d'Abruzzo, più che il recordman della corsa e il pilota considerato l'erede di Fangio, sulle curve attraversate da torrentelli di fango, sembra un aspirante suicida.
Guadagna qualcosa , ma lo salva un alberello che ferma la sua Maserati impazzita quando sembra destinata a volare in un burrone.
Da Roma in poi è una marcia trionfale, più accelera e più piove, più piove e più lui accelera.
A Firenze Fangio, mezzo assiderato, è quarto, davanti a lui ci sono i giovani Musso e Collins.
L'Appennino è l'ultima insidia, ma Castellotti la doma con piglio ed a Bologna un Enzo Ferrari, orgoglioso, lo attende in un mare d'ombrelli.
Si tratta solo di conservare il vantaggio, di amministrarlo, gli dice Ferrari.
Castellotti l'aumenta addirittura.
A Brescia, in vista del traguardo, sotto una pioggia scrosciante si trova davanti la sagoma filante della piccola Osca di Cabianca, nono assoluto, partito un'ora e venti minuti prima di lui.
Mancano poche centinaia di metri al traguardo quando gli arriva in scia.
Tutti pensano gli si accodi, la gara ormai è stravinta, ma Castellotti, sollevando una gran nuvola d'acqua affonda il piede e lo sorpassa.
Quando pochi metri dopo taglia il traguardo, oltre alla Mille Miglia, ha conquistato il cuore degli italiani.