1000 KM DI BUENOS AIRES 1971
Ecco qua.
Johnny Rives e Jean Pierre Beltoise dedicano un capitolo alla vicenda.
Il titolo é emblematico: "Argentine, du succés à la tragédie" (Argentina, dal successo alla tragedia) e può essere criptico se non si conosce la storia di Beltoise-pilota o se non si é letto questo libro.
In effetti, Bébel (cognato di François Cevert avendone sposato la bellissima sorella) in Argentina godeva di una grande fama e dell'amicizia personale nientemeno che del grande Fangio.
Entrambe se l'era guadagnate nel 1967, quando aveva letteralmente dominato la Temporada di F.3, vincendo tutte e quattro le gare in programma con la Matra, ricevendo i complimenti da "el chueco" in persona.
La "prensa" lo 'aveva soprannominato "El ganador" e da allora ogni volta che tornava in Argentina era al centro delle attenzioni di un pubblico all'epoca (siamo a cavallo fra gli anni sessanta e settanta) privo di campioni locali.
Ho fatto questa premessa che può spiegare in parte l'atteggiamento dell'opinione pubblica e della stampa argentina che, all'epoca, suscitarono parecchie perplessità.
Veniamo all'incidente
Beltoise e Rives fanno una breve cronaca introduttiva della gara, dopo un avvio combattutissimo quasi da Gran Premio di F1, dopo che Giunti e Siffert avevano battagliato ("tanto da vicino che il parabrezza di Siffert si era macchiato dell'olio delle Ferrari di Giunti e quando, istintivamente, Jo aveva azionato il tergicristallo era rimasto completamente accecato dovendo arrestarsi ai box") era stato Rodriguez con un sorpasso da brividi a prendere la testa, ma si era dovuto fermare ai box per rifornire così che Giunti era ripassato al comando e - secondo Bébel e Johnny Rives - "tirava al massimo per guadagnare il più possibile sulle Porsche".
Lascio la parola a Bébel con una traduzione la più letterale possibile.
Quanto segue è dunque la loro opinione e la loro versione e non la mia, mi sono limitato a sottolineare in rosso i punti che mi sembrano più importanti e che - a mio avviso - differiscono maggiormente dalle versioni riportate dalla stampa italiana.
[da Johnny Rives - "Beltoise - Le roman d'un champion - Callmann Lévy - 1973]
"A quel punto Jean-Pierre (é Rives che racconta ndt) é in sesta posizione. Precede di una ventina di secondi le Alfa Romeo. La sua fermata per il rifornimento é prevista al 32° giro. Non avrà l'occasione di farla.
Quando si ferma senza benzina per la prima volta, si trova nel tratto misto dell'autodromo.
Il motore tossisce, la lancetta della pressione della benzina é a zero.
Fortunatamente, una riserva di benzina di diversi litri permette teoricamente di fare un giro intero del circuito, dunque di rientrare ai box. Jean-Pierre aziona il piccolo rubinetto sulla sinistra. Immediatamente la lancetta della pressione della benzina si muove, il motore torna a rombare.
Un chilometro circa lo separa dai box. E' salvo.
Eccolo già all'ingresso dell'ultima curva prima del rettifilo dei box. E' un tornantino ("hairpin"). La Matra lo affronta veloce, quando é nel pieno della curva il motore tossisce nuovamente poi tace. Nuovamente il manometro della benzina segna zero.
Jean-Pierre aziona la pompa elettrica. Funziona a vuoto, questa volta il serbatoio è a secco.
Per sfruttare l'abbrivio, Jean-Pierre arrotonda la traiettoria. Ma la pista in quel punto é in leggera salita.
La Matra esce appena dalla curva e il suo slancio finisce.
La vettura si é fermata leggermente a sinistra dell'asse centrale della carreggiata. La pompa elettrica (della benzina) funziona sempre a vuoto. Beltoise la lascia inserita e scende a terra.
Andando a piazzarsi dietro la Matra comincia sa spingerla. I box distano 500 metri.
La pendenza della pista tende a portare la Matra a sinistra. Jean-Pierre é obbligato di andare ogni tanto fino al posto di pilotaggio per raddrizzare lo sterzo.
Un commissario di gara si é piazzato nella curva con una bandiera gialla che significa: pericolo, prestate attenzione, divieto di sorpasso.
Un altro commissario di pista con la bandiera gialla si piazza dieci metri dietro alla Matra. La segue nella sua lenta progressione.
In quel punto le vetture escono dal tornantino a 70 Km/h circa. Accelerando a pieno raggiungono rapidamente delle velocità elevatissime. Essendo la pista larga diciotto metri i piloti non hanno alcuna difficoltà a scansare la Matra passando a destra.
La scorgono prima dell'uscita della curva, dove la loro velocità é bassa, chiudono all'interno e accelerano bruscamente.
Mentre spinge Jean-Pierre getta frequentemente un colpo d'occhio dietro di lui.
Quando gli passano accanto, può sentire l'aria smossa dalle vetture che continuano la gara.
Al momento della sua fermata era in buona posizione.
E' animato da una volontà irresistibile: portare rapidamente la sua vettura ai box e continuare la corsa.
Spinge con tutte le sue forze la Matra che ora sfiora il bordo sinistro. Non si é neppure tolto il casco.
Spinge con tutte le sue forze, sempre con maggiore difficoltà perché la leggera salita costituisce un serio ostacolo in queste condizioni. Mentre sta penando e ansimando decine di fotografi lo mitragliano di scatti. Il pubblico urla il suo incoraggiamento.
Dal bordo della pista gli ufficiali di gara sorvegliano la sua progressione (verso i box).
Jean-Pierre concentrato sulla sua azione dirige la sua auto sempre gettando uno sguardo alla lancetta del manometro che spera di veder muovere: la riserva dovrà alla fine funzionare !
Sta spingendo da oltre 100 metri, quando prende coscienza del fatto che l'ingresso dei box si trova dall'altra parte della pista.
Le due bandiere gialle sono sempre là, una nel tornantino, l'altra dieci metri dietro la Matra.
Girando lo sterzo verso destra, Jean Pierre deve fare solo venti metri per entrare nella pit lane.
Raccogliendo tutte le forze comincia a spingere la Matra attraverso la pista.
Ignazio Giunti è già passato due volte vicino a lui.
Non ha ancora rifornito, contrariamente alle Porsche.
In testa alla gara, concentra tutti i suoi sforzi per mantenere in ogni momento la sua Ferrari al limite delle prestazioni estreme.
Quando esce dal tornantino per l’ultima volta, la sua Ferrari 312 P segue da vicino la Ferrari 512 M, più grossa, più potente più alta, guidata da Mike Parkes.
La Matra, centoventi metri più avanti ha cominciato ad attraversare la pista, le sue ruote posteriori si trovano a due metri e mezzo dal bordo sinistro della pista, alla sua destra c’è uno spazio libero di dodici metri.
Parkes uscito dal tornantino completamente all’esterno (quindi a sinistra ndt) chiude completamente a destra ed accelera a fondo. Incollata alla Ferrari dell’inglese quella di Giunti.
Entrambe accelerano nello stesso istante.
Parkes dopo essersi spostato a destra, come per passare ancora una volta a destra della Matra, improvvisamente taglia in diagonale verso sinistra.
Mira lo stretto passaggio alla sinistra della Matra.
Quest’ultima manovra prima dell’incidente decide tutto.
Giunti, che segue Parkes da vicino, esce di scia per sorpassare nel preciso momento in cui le due vetture sono a sinistra della Matra.
L’anteriore destra della Ferrari urta la ruota posteriore sinistra della Matra che è proiettata verso destra e traversa tutta la pista, mentre Parkes prosegue la sua corsa, la Ferrari di Giunti che ha preso immediatamente fuoco percorre un arco di cerchio di un centinaio di metri prima di fermarsi.
Il pilota è esanime. Ha subito gravi lesioni alle vertebre cervicali e morirà durante il suo trasporto all’ospedale.
Per un miracolo Jean-Pierre non si trova dietro la Matra al momento dell’urto.
Aveva appena corretto la posizione dello sterzo.
Dell’incidente non ha che un ricordo da incubo: in una frazione di secondo ha visto la Ferrari di Giunti spostarsi da dietro quella di Parkes . Al momento dell’impatto inciampa e subito si rifugia correndo sul bordo destro della pista.
Pedro59
12 ORE DI SEBRING 1965
Alcuni di voi (segnatamente Gillesthegreat e nessuno può capire quanto mi sia caro questo nickname...) hanno chiesto aneddoti su quegli anni di grandi corse.
Aneddoti vissuti in prima persona non ne ho, ovviamente, ma vi posso anticipare qualche brano del libro sulla sfida Ford-Ferrari che penso vi possa interessare.
Quello che pubblico sotto riguarda la 12 ore di Sebring '65, forse una delle gare corse nelle condizioni meteo più estreme della storia del Mondiale Sport e non solo di quello.
Buona lettura e se gradite ...continuo
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A Sebring, un mese dopo, Ferrari e Ford si presentano come a Daytona: stessa partecipazione non ufficiale per la Ferrari, stesse GT40 modificate per la Ford.
La scena viene rubata da una nuova vettura americana, costruita da un giovane petroliere texano laureatosi in ingegneria aeronautica: Jim Hall.
Si chiama Chaparral ed è un prototipo con motore Chevrolet, un V8 da 5,4 litri dotato di un avveniristica trasmissione automatica a due marce.
Sembra uno dei tanti “racers”, le auto costruite da appassionati assemblando motori e telaio con un pizzico di genialità e molto coraggio, ma non sono in pochi a sostenere che nel caso della Chaparral ci siano dietro i soldi e la tecnologia della General Motors che guarda con preoccupazione ad una Ford vincente.
Proprio la Chaparral vince la 12 Ore che verrà ricordata soprattutto per il maltempo che ne flagella la seconda parte.
Un autentico nubifragio si abbatte sul circuito proprio dopo che il caldo eccezionale ha caratterizzato la gara fino a quel momento.
La pista in pochi minuti si allaga, in alcuni tratti la visibilità diventa quasi nulla per le nubi d’acqua sollevate dalle auto e la media scende a valori da traffico urbano.
Anche i box si allagano ed i meccanici si trovano a lavorare in condizioni disagiate ed anche molto pericolose; un meccanico della Shelby, infatti, viene folgorato da un cavo elettrico che ha perso l’isolamento, ma per fortuna se la cava con qualche ustione e molto spavento.
Più che una corsa è un affannoso pellegrinaggio, con automobili trasformate in fuoribordo che avanzano sciabolando la quasi totale oscurità con i fari che a malapena riescono a penetrare la pioggia e l’acqua sollevata dagli pneumatici delle auto che le precedono in una sorta di lenta processione.
La gara prosegue con la Chaparral in vantaggio sulla Ferrari P2 di Pedro Rodriguez e Graham Hill e sulla GT40 di McLaren/Miles.
L’ultimo sussulto alla classifica lo dà il cedimento della frizione sulla “P2” della NART, pochi giri dopo che Graham Hill ha dato il cambio a Rodriguez.
Al traguardo, quindi, dopo la Chaparral arriva la Ford GT40 di McLaren/Miles seguita dalla Ferrari 250 LM di Piper/Maggs che precede a sua volta la Cobra di Schlesser/Bondurant che vince la classe GT.
Oltretutto il regolamento, piuttosto complesso, regala anche una sorpresa: la Chaparral è inserita nella classe Sport , quindi di fatto non prende punti per il Mondiale Marche riservato in questa stagione ai Prototipi e la Ford, così, si ritrova a punteggio pieno dopo due gare conducendo sia nel Challenge Prototipi, sia nel Mondiale GT.
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IL VECCHIO CIRCUITO DEL MUGELLO
Come promesso vi racconto qualche altra cosa che non è facilissimo trovare in giro.
Fatemi cominciare con il "Circuito stradale del Mugello" che dopo la prima edizione nel lontanissimo 1914, in forma di gara di regolarità, divenne negli anni '20 la più importante corsa italiana dopo la Targa Florio.
Purtroppo per dare prestigio e spazio, per ovvi motivi politici, alla "Coppa Ciano" la corsa toscana venne interrotta nel '28 e riprese solo nel '55 su un circuito ridotto che si sviluppava solo intorno al paese di Barberino con solo un breve tratto in comune al circuito originale di 66 Km che sarebbe tornato a disputarsi solo dal '64 al '70.
Il circuito stradale aveva molte affinità con il "piccolo Madonie", ovvero con quello classico della "Targa Florio" del dopoguerra ed ebbe diverse, lievi, varianti negli anni.
La partenza originariamente e fino al 1965 (quando fu starter d'eccezione niente meno che Juan Manuel Fangio) avveniva da S.Piero a Sieve, poi, dal '66 fino all'ultima edizione, da Scarperia, ed il tracciato si sviluppava sulla strada statale del Giogo (SS503), in un primo settore fino al passo appenninico (del Giogo, appunto) che si presentava come una corsa in salita, circa 10 Km di tornanti e brevi allunghi.
Seguiva poi il tratto più pericoloso con la discesa fino a Firenzuola (12 Km) con un alternarsi continuo di curve impegnative e tratti con brusche accelerazioni, un incubo in caso di pioggia.
Da Firenzuola il tracciato saliva, fino a congiungersi a La Casetta con la Statale del Passo della Futa (SS65) che seguiva poi fino al passo in un tratto misto veloce di circa 15 Km per poi tuffarsi verso la pianura in pratica continuando a percorrere in senso contrario il classico tracciato della Mille Miglia che aveva imboccato proprio a La Casetta.
Chi non conosce questo tracciato non può comprendere a pieno l'incredibile prestazione di Nanni Galli, uno degli specialisti del Mugello, prima con la GTA, poi con la "33" ed infine con la Lola T210 che proprio con l'auto inglese stabilì nell'ultima edizione il giro-record ad oltre 134 Km/h, e soprattutto quella nello stesso anno di Arturo Merzario che vinse con soli 4" su Leo Kinnunen (entrambi su Abarth 2000SP) coprendo i 331 Km del percorso a quasi 132 Km/h.
Vi garantisco che, conoscendo le strade, sono velocità incredibili.
Dell'edizione più bella, quella del '68, vi ho già parlato, altre edizioni memorabili furono senz'altro quella del '67 con la sfida mancata fra Porsche e Ferrari, queste ultime ritiratesi dopo la tragica scomparsa di Gunther Klass nelle prove, e nella
quale trionfò Mitter, il re della montagna, ma chi impressionò ed entusiasmò il pubblico fu il suo giovane connazionale Rolf Stommelen che quell'anno aveva già vinto la Targa Florio.
Stommelen fu semplicemente straordinario, e solo Siffert fu più grande di lui l'anno successivo.
Una caratteristica del "Mugello stradale" era senz'altro il fatto che i piloti si allenavano sulle strade aperte al pubblico e non era infrequente per gli automobilisti impegnati a salire verso il Giogo o a scendere dalla Futa vedersi superare da una bianca Porsche 911 targata Stoccarda o da una GTA col quadrifoglio dell'Autodelta.
Una volta ricordo che ero in auto con mio padre e ci trovammo in scia un'Alfa "33" rossa fiammante !!
Altra caratteristica, a parte alcune edizioni "bagnate", era il caldo terribile, in particolare le edizioni corse nel '68, '69 e '70 si disputarono sotto un autentico solleone e non furono pochi i piloti che lamentarono problemi di disidratazione e alcuni si fermarono anche lungo il percorso per dissetarsi alla meglio.
Nel '68 Siffert fu costretto, dall'inadeguatezza del suo compagno Steinemann, a correre sei giri su otto, ma dopo il primo cambio era talmente esausto ed accaldato che svenne nei box.
Ancora peggio era nelle edizioni storiche anteguerra, quando al caldo (si è sempre corso in piena estate) si aggiungeva il tormento della polvere delle strade sterrate.
Questo era il Mugello, queste erano le corse anni '60.
Mi fa piacere che parlare del "vecchio Mugello" abbia incontrato il vostro gradimento.
Citazione di: "Sundance76"
Il Mugello era uno dei circuiti preferiti da gente come Giunti e Munari, oggi i piloti attuali chissà cosa penserebbero di questo tracciato...
Caro amico di Butch Cassidy, Ignazio Giunti, Nanni Galli ed Arturo Merzario, citando gli italiani del dopoguerra sono stati senz'altro fra i piloti che più si sono distinti al Mugello stradale, per continuità di partecipazioni e di risultati.
Non dimenticherei Nino vaccarella, autore, a mio avviso di una prestazione magistrale nel '69 quando, in coppia con De Adamich, riuscì a portare al terzo posto la Lola T70, una macchina decisamente poco adatta al percorso.
Tuttavia il Mugello era anche il circuito in cui, pur non avendo una macchina da primi posti assoluti, si poteva diventare un idolo dell'appassionato e competente pubblico che assiepava i 66 Km del percorso senza soluzione di continuità.
E' il caso di Enrico Pinto, autentico eroe di diverse edizioni con la Giulia TI super (4° assoluto nel '65 dietro a tre Ferrari 250 Le Mans) e poi con la GTA (2° assoluto nel '66 dietro alla Porsche 906 di Koch e Neerpasch, 6° assoluto nel '68).
Chi ha vissuto dal vivo quelle corse non ha dubbi nell'indicarlo come il pilota che più riusciva a coinvolgere il pubblico con acrobazie incredibili specie nei tratti in discesa.
Munari si distinse nel '69 e '70, ma Merzario, seppure con una macchina nettamente superiore, mostrò di avere un'altra marcia rispetto al "drago" quando non si trattava di rallies.
Per quanto riguarda il periodo eroico ci sarebbe da parlare per ore, perché furono proprio gli anni '20 il periodo d'oro della corsa, ma sarebbe un "off topic" pertanto mi astengo.
Passando in rassegna gli stranieri, Siffert nel '68 fu autore (sette giorni dopo aver vinto il GP d'Inghilterra) di un prova maiuscola, forse la prestazione più formidabile della storia del Mugello stradale, tanto da venire acclamato come e più dei vincitori dal pubblico tutto schierato per l'Alfa, ma anche ammirato per la prova del campione svizzero della Porsche.
Stommelen e Mitter furono eccezionali, specialmente il secondo, nel '67, ma grandissimi sono stati anche l'olandese Gijs Van Lennep (3° assoluto nel '67 con una 911R, 2° nel '69 con l'Abarth, nell'anno della Coca Cola di Merzario..., e 3° sempre con l'Abarth nel '70) e, nella sua unica partecipazione, Leo Kinnunen che con un'Abarth identica a quella di Merzario insidiò fino alla fine la vittoria del campione comasco che con un ultimo settore dell'ultimo giro da brividi riuscì alla fine a spuntarla.
1000 KM DI SPA 1971
Come promesso parliamo di Spa '71.
Un passo indietro.
La 1000 Km di Spa è stata sempre la corsa di Sport-Prototipi che ho preferito.
Non era una classicissima come, per esempio, la 1000 Km del Nurburgring; era diventata importante solo dopo la metà degli anni '60, prima, fino al '65, era stata una 500 Km e veniva snobbata dalle grandi case che vi spedivano seconde linee.
In precedenza, a Spa, si era corsa la 24 Ore di Spa che nell'unica edizione valida per il Mondiale Marche, quella del '53, venne vinta da Farina-Hawthorn con la Ferrari 375MM. Poi la 24 Ore sarebbe diventata una corsa per vetture Gran Turismo.
Il circuito era lo stesso della F1, il vecchio Spa-Francorchamps: adrenalina pura.
Nel '70 la Porsche e la Ferrari si erano sfidate alla pari: da una parte le Gulf-Porsche 917, dall'altra le poderose 512S.
La differenza l'avevano fatta i piloti: Rodriguez aveva strabiliato nelle prove, Siffert aveva trionfato in gara.
Fu quella l'edizione delle sportellate all'Eau Rouge fra Pedro e Jo che fecero imbestialire John Wyer e David Yorke.
Fu anche l'edizione di una delle più strane scelte del Drake che decise di richiamare, tre anni dopo il clamoroso divorzio, John Surtees per metterlo in coppia con Jacky Ickx.
La Ferrari della "strana coppia" (la prima guida del cavallino ed un cavallo di ritorno) era finita seconda e Jacky Ickx non aveva avuto, come di consueto, peli sulla lingua parlando della prestazione di Surtees.
In quel '71 invece la Ferrari si era disimpegnata dal Mondiale Marche puntando allo sviluppo della 312PB, prototipo di 3000 cc che prometteva bene, ma che non era competitiva, specialmente a Spa, con le poderose 917 di 5 litri, le Gulf-Porsche invece puntavano ancora al Mondiale, stavolta senza avversari.
Siffert aveva vinto in Argentina nel giorno della tragica fine di Giunti, Rodriguez aveva vinto a Daytona, poi Elford aveva vinto per la Martini la 12 ore di Sebring, L'Alfa, la coraggiosa Alfa di Chiti, aveva interrotto il monologo tedesco vincendo a Brands Hatch con De Adamich e Pescarolo davanti alla Ferrari di Ickx-Regazzoni, poi a Monza Rodriguez aveva nuovamente ripreso il discorso.
Alla vigilia di Spa, quindi, il Mondiale era saldamente in mano alla Gulf-Porsche che stavolta non voleva ripetere la lotta potenzialmente fratricida fra Rodriguez e Siffert che l'anno precedente aveva rischiato di compromettere la corsa di entrambi.
Yorke aveva dato il benservito alle seconde guide Kinnunen e Redman, sostituiti rispettivamente da Jackie Oliver e Derek Bell che, a detta dello stesso Yorke davano maggiori garanzie di prestazioni e soprattutto erano inglesi.
Spa era un circuito nel quale l'aerodinamica, allora abbastanza lontana da essere una scienza matura almeno nelle applicazioni alle vetture da competizione, aveva un'importanze notevole.
John Horsmann l'anno prima aveva modificato il cofano motore delle 917 per aumentare la deportanza al retrotreno, poi la soluzione si era evoluta con un piccolo alettone mobile infulcrato fra le due code. A Monza erano comparse due grandi pinne laterali, ma a Spa Horsmann aveva nuovamente optato per il piccolo alettone centrale.
Le prove avevano premiato un grande Siffert e la sorpresa era stato il terzo posto di Rodriguez (preceduto anche da Elford) con oltre 3" di distacco.
Prima della corsa la leggenda vuole che David Yorke avesse convocato Rodriguez e Siffert nel retrobox, li aveva fatti sedere sugli pneumatici di scorta (le monumentali hospitality erano di là da venire) e li aveva catechizzati sul fatto che non avrebbe tollerato eccessi del tipo di quelli messi in mostra l'anno precedente.
Venne stabilito che nel caso più che probabile che le due Gulf-Porsche fossero andate in fuga, dopo qualche giro le posizioni si sarebbero congelate per evitare rischi inutili.
Alla partenza piove, Rodriguez scatta al comando, Siffert gli si incolla alla coda.
I due lottano per tutto il loro turno di guida, poi quando cedono il volante si scopre che Bell ha un passo migliore di quello di Oliver, ma Yorke fa segnalare di mantenere le posizioni.
Siffert se ne accorge e sgattaiola alla Source per segnalare a Bell di attaccare e sorpassare il compagno di scuderia, ma anche avversario.
Bell che sa bene chi gli paga l'ingaggio fa finta di non capire e alla fine solo pochi decimi separeranno le due Porsche che tagliano il traguardo polverizzando ogni precedente record per un gara su percorso stradale: oltre 249 Km/h di media.
Alla fine della gara la Porsche annuncia il suo ritiro dalle gare del Mondiale Marche per la stagione successiva.
Nel dopo gara Siffert e Bell si chiariscono, ma Jo era letteralmente furioso e qualcosa si ruppe definitivamente fra il Campione svizzero e David Yorke le cui strade si sarebbero comunque divise la stagione successiva anche senza la tragica giornata di Brands Hatch.
In quel '71, appena due mesi dopo la vittoria di Spa, anche Pedro Rodriguez sarebbe scomparso tragicamente al Norisring.
PORSCHE 917 E FERRARI 512
Citazione di: "pisy"
La Porsche 917 e la Ferrari 512 furono due grandi macchine. La Porsche era sicuramente più potente; diventò affidabile dopo un grosso lavoro di sviluppo; inizialmente era molto difficile da guidare, a detta dei primi piloti che la guidarono addiritura pericolosa nei tratti veloci per la tendenza a decollare, comunque fece grandi corse in mano a fenomeni come Rodriguez, Siffert, Elford...Si differenziava dalla Ferrari per il fatto che il motore 12 cilindri boxer da 5 litri era raffreddato ad aria forzata con l'adozione di una grossa ventola sopra al motore. La Ferrari 512 uscì nella versione "S" con motore 12 cilindri a V di 60° da 5 litri raffreddato ad acqua, rispetto alla Porsche pagava soprattutto in fatto di peso complessivo e di mancanza di affidabilità complessiva; la versione successiva denominata "M" (letteralmente modificata) venne alleggerita e potenziata e si dimostrò in grado di battersi ad armi pari con la vettura tedesca. Purtroppo ormai la casa di Maranello aveva scelto di dedicarsi al modello aperto 321PB e la 512M non riuscì mai a correre in forma ufficiale contro le 917 dei team Gulf e Martini. Pertanto la Porsche 917 in quegli anni ottenne la maggior parte dei successi e la Ferrari 512 fece segnare solo qualche vittoria isolata
Grazie a Pisy che è stato perfetto come sintesi "tecnica".
Io scenderò un po' più nei dettagli e nel merito dell'ambiente in cui maturarono certe scelte e nacquero, di conseguenza certe macchine.
La Porsche, negli anni '50 e '60 era stata la regina delle cilindrate minori, e nel '67 aveva sfiorato la conquista del Mondiale Marche con modelli di soli 2000cc (e 2200) contrpo le poderose Ford MkII e MkIV (7000 cc) e le Ferrari P4 (4000 cc).
Successivamente il cambio del regolamento ('68 Prototipi cil. max 3000cc, Sport prodotte in almeno 50 esemplari cil. max 5000cc, di queste ultime l'unica ad avere le caratteristiche era la GT40) aveva messo fuori legge le dominatrici Ford e Ferrari e la Porsche era uscita con un modello 3000cc, la 908, che aveva affiancatro la 907 (2200cc), ma era uscita sconfitta dalle Ford GT40 riadattate dal Team Wyer, vittoriose a Le Mans e nel Mondiale.
Nel '68 la Ferrari non aveva partecipato, e nel '69 la Gulf GT40 aveva rivinto a Le Mans mentre la Porsche si era aggiudicata il titolo Mondiale.
Nel frattempo era diminuito il numero max (da 50 a 25) per ottenere l'omologazione nel Gruppo Sport fino a 5000 cc.
Questo rilassamento delle regola risprì le porte alle Lola T70 e invogliò la Porsche al grande passo.
Gli ingegneri tedeschi progettarono, per il '69, un motore 12 cilindri di 4500 cc, un autentico mostro di potenza che però aveva parecchi problemi ad entrare in un telaio convenzionale.
Nacque così la prima 917 con il cockpit molto avanzato e la coda corta che, tuttavia, all'esordio si dimostrò davvero inguidabile (parola di Siffert che alla 1000 Km di Spa preferì la 908...facendo imbestialire Pietsch).
La vicenda della Porsche 917 nl '69 è tristemente nota: John Woolfe, miliardario inglese, si ammazzò a Le Mans, dove un mostruoso Vic Elford risparmiando miracolosamente la frizione della sua 917 Lang-Heck ne prolungò l'agonia fino alla 22.ma ora quando, in testa alla gara, fu costretto al ritiro.
Si ritirò anche la Porsche, l'anno dopo, e consegnò il materiale alla John Wyer Automotive che modificò profondamente l'aerodinamica ed il telaio della 917.
Nacque la Gulf-Porsche 917 K (Kurz, coda corta) con una linea spartana e bellissima.
John Horsmann, il Chapman delle vetture a ruote coperte, azzeccò le modifiche al cofano motore con le due "code" separate dal vano che ospitava la ventola di ventilazione forzata, una modifica che conferì alla Gulf-Porsche la caratteristica linea poi diventata "classica" anche per le 917 della Martini o della Salzburg, la scuderia che dette alla Porsche, in quel 1970, il primo, storico, successo a Le Mans
Questa soluzione, semplice, geniale e dovuta al solo intuito risolse le terribili turbolenze che rendevano la 917 una macchina preticamente incontrollabile nei lunghi rettifili e nei curvoni veloci.
Venen migliorato anche il layout degli scarichi e di conseguenza il comfort del pilota che prima era costretto ad averli nelle orecchie nell'abitacolo caldissimo.
Era nata la macchina più vincente di sempre, ma intanto a Maranello correvano ai ripari...
(continua, se ne avrete voglia)
Citazione di: "eddiesachs"
Intervengo nella discussione solo per aggiungere alcune cose che non sono state ancora evidenziate circa gli aspetti tecnici delle vetture, ma non solo.
Cito a memoria quanto ricordo di un articolo di Paul Frére in un “Quattroruote” del 1970.
917
Nelle prime gare del 1970 le 917 ebbero un motore di 4500 cc, poi portato a 5000 cc.
Una caratteristica di questi motori raffreddati ad aria della 917 era il grandissimo consumo di olio, per cui la 917 aveva un serbatoio dell’olio di capacità ben maggiore di quello della Ferrari 512.
All’inizio della stagione 1970 le 917 ebbero problemi a freni, poi risolti.
512S
Il problema principale della 512S era un cattivo studio aerodinamico. La vettura venne presentata alla fine del 1969 senza alcuna appendice aerodinamica, nella versione chiusa e "spider" (mentre la 917 era solo in versione chiusa).
Ben presto però ci si accorse che il muso era assai poco deportante. Si tentò di correre ai ripari eseguendo degli studi “a posteriori” in galleria del vento, in base ai quali furono installati vistosi spoiler sul muso e in coda; in questo modo la vettura stava meglio in strada, a scapito tuttavia dell’efficienza aerodinamica generale.
Quelle che seguono sono invece osservazioni strettamente personali.
Non ritengo che la 512S fosse nettamente inferiore alla 917. Il problema stava soprattutto nella gestione delle vetture in pista, ma anche e soprattutto nei box. La Ferrari non poteva neanche lontanamente competere con l’organizzazione (oserei dire perfetta) della scuderia di John Wyer.
Citazione di: "sundance76"
Concordo in pieno con EddieSachs: la Ferrari aveva anche l'inveterata abitudine di cambiare a ogni gara gli equipaggi e di puntare ogni volta su piloti diversi.
Ho una ristampa integrale di un articolo de "L'Europeo" n.21 del 1970 in cui Athos Evangelisti scrive che "sulla carta e sul terreno la 512 vale più o meno quanto la rivale tedesca, anzi a volte si è dimostrata più robusta. E allora bisogna pensare agli uomini, non tanto ai piloti, ma a quelli che predispongono, decidono e che dal box tengono i fili di una corsa....".
Interventi graditissimi e preziosi quelli di eddiesachs e dell'amico di Butch Cassidy, utilissimi a chiarire molti aspetti che, se proseguiremo in questa avventura, non mancheremo di scoprire.
Prima di parlare della 512 approfitto di quanto detto dagli amici per raccontarvi un episodio che è esemplificativo del modo in cui, all'epoca, si affrontavano le corse ed i problemi tecnici che esse presentavano ai progettisti.
Dunque la 917 del '69 è un mostro inguidabile, la Porsche, che sta decidendo di uscire dalle corse in maniera ufficiale (non c'è più Von Hanstein e Piech è un pragmatico che preferisce che vinca la Porsche mentre a perdere siano i clienti...) è in stallo completo.
Gli ingegneri della casa di Zuffenhausen sono convinti che i problemi della 917 siano legati a come si comportano telaio e sospensioni e lavorano in questa direzione e solo in questa.
Falk, che era stato anche pilota ed era capace di salire su una 917 e non prendere più di un paio di secondi in un giro da Ahrens, aveva in carico i test decisivi che si tenevano a Zeltweg, ma per quanto si sforzassero le meningi né lui né i suoi collaboratori venivano a capo di nulla.
Fu allora che il pragmatico Piech contattò John Wyer, convalescente per un incidente, pregandolo di inviare Horsman e Cuoghi a Zeltweg per valutare il da farsi in vista di prendere in carico la squadra corse della casa di Zuffenhausen nel team JWAE.
Quando arrivarono in Austria i nostri si trovarono di fronte una situazione scoraggiante per chi, come loro, avrebbe dovuto di lì a pochi mesi usare quel materiale nel Mondiale Marche.
Dopo la sostituzione del blocco molla-ammortizzatore al posteriore, sempre oggetto di continue modifiche e/o regolazioni, i test-drivers (Ahrens ed il povero Piers Courage) facevano quattro o cinque giri al massimo, restando tre o quattro secondi sopra il tempo di Ickx con la Gulf-Mirage alla 1000 Km di un paio di mesi prima, che era considerato il termine di paragone, poi si fermavano e scendevano scuotendo la testa e facendo eloquenti gesti con le mani.
Horsman, contrariamente ai colleghi tedeschi, essendo un ingegnere aeronautico (come Chapman), aveva una sua idea in merito alla Porsche 917, ovvero che il problema dell'instabilità al posteriore fosse aerodinamico e non meccanico.
Ne aveva anche parlato con Falk e poi con Piech che però, come Enzo Ferrari, non credeva che l'aerodinamica servisse davvero a far vincere le corse, e Horsman non sapeva come convincerlo.
In quel periodo autunnale la zona di Zeltweg era letteralmente invasa da sciami di moscerini che si muovevano a banchi anche sul tracciato, le 917 in test, due coupé ed una spider Can Am, erano completamente bianche così che, dopo qualche giro, erano letteralmente ricoperte di moscerini raccolti nel corso dei giri di prova, evidenti come puntolini neri su uno sfondo candido.
Horsman si accorse che i moscerini si depositavano uniformemente sull'avantreno e su tettuccio, mentre erano rarissimi quelli che si spiaccicavano suhgli spoiler posteriori, sui quali si era agito, nel tentativo di ottenere qualche risultato, regolandoli alla massima incidenza.
Era la prova che cercava.
Poiché i moscerini erano assimilabili a punti materiali, massa concentrata in un punto, dimensioni trascurabili e tanto leggeri da poter essere considerati come solidali al filetto fluido senza modificarne il comportamento, era chiaro che l'intera parte posteriore della 917 non interagiva con il fluido che attraversava e quindi non poteva partecipare a creare la tanto sospirata deportanza.
Horsman chiese al collega Falk di poter utilizzare una delle due 917 per qualche test, chiese una rivettatrice ed alcuni fogli di alluminio e prese a modificare con l'aiuto di Cuoghi la coda della 917, rimuovendo per prima cosa il cupolino di plexiglass alle spalle del pilota.
Mentre i tedeschi sogghignavano vedendo i rozzi tentativi degli inglesi che stavano barbaramente manomettendo la loro "rennwagen", la 917 modificata prendeva forma ed era davvero mostruosa con tutti i rappezzi apportati per sollevare la coda in modo da farle schiacciare i moscerini.
"Tutta questa fatica" - sfottevano i tecnici tedeschi - "quando basterebbe un po' d'insetticida..."
Il sorriso sparì quando partito per i giri di prova, Kurt Ahrens, anziché fermarsi dopo pochi passaggi proseguì a lungo migliorando sensibilmente i tempi sul giro fino ad avvicinarsi alla prestazione di Ickx con la Mirage, in pratica ottenendo dopo un paio di giorni di lavoro il risultato che i tedeschi inseguivano da un mese e mezzo !
Rientrato al box Ahrens scese e togliendosi il casco si rivolse a Falk dicendogli :-"Ora comincia a sembrare un'auto da corsa..."-
Ho riportato questo aneddoto, che ho letto sia sulla biografia di John Wyer che sul libro di Horsman, per far capire a chi ha la fortuna di essere giovane o giovanissimo come funzionavano le cose all'epoca quando uno sciame di moscerini, se osservato bene, forniva più insegnamenti di mesi di test nella galleria del vento.
(continua...)
Pisy ci ha mostrato le evoluzioni della 917 dal '69 al '71.
Mancano due versioni intermedie realizzate ancora da Horsman.
Sono il modello Spa '70 con le code del cofano motore unite con un foglio d'alluminio rivettato e spoilerino completo su tutta la larghezza del posteriore, che gareggiò (e vinse con Jo Siffert e Brian Redman) solo in quell'unica occasione, e poi il modello presentato dalla Gulf Wyer a Le Mans '70 con l'alettoncino centrale fra le code ripreso poi nella stagione '71 prima e dopo la versione con le pinne giganti che fra l'altro vinse a Monza con Rodriguez-Oliver.
Parliamo però della Ferrari.
Nel '69 a Maranello avevano presentato la 312 P con il V12 della F1, un'auto stupenda, forse la più bella mai realizzata dalla Ferrari, una linea rivoluzionaria, che però non ebbe mai fortuna nonostante fosse senz'altro competitiva nei confronti della Porsche 908.
A Spa ed Monza (lo ha ricordato Power) le mancò anche la fortuna oltre che l'affidabilità.
Per il '70 Enzo Ferrari (si disse anche spronato dalla Fiat che era entrata in Azienda...) decise un investimento fra i più grandi della storia di Maranello, ovvero la realizzazione di 25 esemplari di una vettura sport 5000cc, con un motore V12, battezzata con la sigla 512 S (S stava per Sport, 5 per 5 litri di cilindrata e 12 per indicare il frazionamento).
La Ferrari rompeva quindi definitivamente con la tradizione che per le vetture sport prevedeva, fin dagli anni '50 per arrivare alla serie "P" con motore posteriore degli anni '60, come classificazione la cilindrata unitaria dei propulsori, con l'esclusione delle Dino.
Proprio la 312P era stata la prima a usare questa classificazione derivandola dalla F1.
A parte questa caratteristica, la 512 S si annunciava come avversaria della Porsche 917 della quale si conoscevano bene i problemi e si sottovalutavano i progressi.
Per il 1970 le attese di Maranello erano enormi, mentre nell'anno prima spesso era stata iscritta solo una unità per la gara d'apertura a Daytona vengono presentate ben tre 512S ufficiali e quella di Andretti-Merzario stacca una "pole" strepitosa rifilando con "piedone" addirittura più di 1" alla Gulf-Porsche 917 di Siffert.
In gara le cose vanno in modo diverso: le altre 512S di Giunti-Vaccarella e Ickx-Schetty vengono eliminate da due incidenti, quella di Merzario e Andretti finisce al terzo posto dietro le 917 di Rodriguez-Kinnunen e Siffert-Redman.
E' un brusco risveglio perché la vittoria della Porsche è schiacciante, nonostante le due unità arrivino al traguardo rappezzate col nastro telato perché la carrozzeria è letteralmente erosa dalla sabbia che tradizionalmente si trova sulla pista americana: fra la Porsche vittoriosa e la 512 superstite ci sono 48 giri !.
Ironia della sorte, la nuova Ferrari ha problemi opposti a quelli evidenziati dalla sua grande avversaria l'anno prima: se la 917 aveva evidenziato problemi di deportanza al posteriore, la 512 (come ha scritto anche eddiesachs) ne presenta all'avantreno evidenziando un notevole sottosterzo.
Paradossalmente il problema più grosso della 512S sarà rappresentato però da una vittoria.
(continua)
LA 24 ORE DI DAYTONA E LA 12 ORE DI SEBRING 1970
Ilbrusco risveglio di Daytona costringe la Ferrari ad un esame di coscienza.
L'ambiente è al solito umorale, come è inevitabile che sia nella tradizione di una casa che nello stemma ha un cavallino imbizzarrito, in più stavolta c'è di mezzo un investimento, di soldi e impegno, inconsueto, forse unico, nella storia della Scuderia Ferrari.
Per Sebring che si corre quasi due mesi dopo si cerca di correre ai ripari.
La 512S e la 917 sono concettualmente diverse: la "rossa" ha il consueto motore raffreddato ad acqua che la costringe ad ospitare nel telaio i tubi di raffreddamento ed un grosso e pesante radiatore, se a questo si aggiunge che il telaio di Maranello è in tubi d'acciaio irrigidito con pannelli di alluminio è facile comprendere come la Ferrari 512 S, prima versione, sia quasi 100 Kg più pesante della Porsche 917 che ha la scocca in alluminio.
Non basta, la 512 è più compatta, ma come detto denuncia subito problemi di insufficiente deportanza all'avantreno e i vincoli costruttivi del radiatore e del telaio non permettono soluzioni aerodinamiche più efficaci.
In vista di Sebring si migliora qualcosa cercando l'affidabilità, ma l'aria che si respira è quella di chi sa che deve migliorare ma non sa se potrà bastare.
Una bella sorpresa, anche perché inattesa, attende i ferraristi al momento delle prove ufficiali,quando, ancora Andretti, strappa una bellissima "pole" con oltre 1" di vantaggio.
Le altre Ferrari 512S sono quarta, quinta e sesta, mentre le Porsche 917 si piazzano al secondo, al terzo ed al settimo posto della griglia.
La gara sarà tuttavia una disfatta per la Porsche, in parte dovuta, secondo alcuni, anche alla lotta intestina che si stava scatenando fra le Porsche 917 "tedesche", ovvero quelle della Salzburg KG, e quelle "inglesi" della JWAE.
Piech, il nuovo boss, è figlio della sorella di Ferry Porsche che ha mantenuto la nazionalità austriaca ed ha molta influenza a Zuffenhausen.
La signora Piech é una donna energica che decide di far correre alcune 917 con i colori della propria scuderia e soprattutto pretende dalla casa madre una maggiore attenzione rispetto a quella fin lì dedicata alle Gulf-Porsche "straniere".
Come effetto si ha una dispersione di risorse che alla fine si ritorce sia contro gli uni che gli altri: nessuna Porsche "austriaca" arriva al traguardo e quelle della Gulf Wyer incontrano ogni tipo di problemi.
La Ferrari, sia pure con un certo affanno, vince con Giunti-Vaccarella cui si aggiunge Andretti che, dopo aver a lungo dominato la corsa, era stato appiedato dalla rottura del cambio e guida la 512S superstite con una grandiosa rimonta.
Alla fine c'é chi dice che Piech sia più contento di una vittoria della Ferrari che di un nuovo trionfo di Wyer con il quale sono sorti dissidi dopo un iniziale collaborazione.
La vittoria di Maranello e la disfatta della Porsche (solo quarti Rodriguez-Kinnunen cui si è aggiunto Siffert che ha fatto come Andretti) il cui onore è salvato solo da Steve McQueen con la Porsche 908 della casa cinematografica che sta preparandosi a girare il film sulla 24 Ore di le Mans, fanno perdere il senso della misura.
Si illudono tutti, non solo i tifosi che aspettavano una vittoria nelle gare delle Sport-Prototipi dai tempi delle P4 e di Bandini, ma anche i tecnici, e forse lo stesso Ferrari, che il divario fosse già colmato sia in pista che fuori.
Purtroppo i ferraristi presto si accorgeranno di essersi sbagliati.
(continua)
Citazione di: "Powerslide"
L'omologazione della 512 fu fatta con 17 vetture complete e pezzi sfusi per altre 8.
E la cosa non era piaciuta alla Porsche già alla vigilia di Daytona, ma non aveva fatto nessun reclamo.
Torno ancora su quelle due prime gare perché furono, a mio avviso, decisive per il campionato e per il suo esito che fu senz'altro orientato al peggio (per la Ferrari) dalle valutazioni e dalle scelte fatte dai due contendenti proprio dopo queste prime due gare quando il match sembrava in perfetto equilibrio, se non in vantaggio per i colori di Maranello.
Analizziamo come davvero erano andate le cose.
A Daytona la Ferrari 512 S aveva molto impressionato i tecnici della Porsche, soprattutto quelli "inglesi".
Horsman racconta che si era convinto che il motore V12 della Ferrari "fosse un'altra cosa" rispetto al Porsche.
"Bastava sentirlo cantare" - racconterà anni dopo anche Ermanno Cuoghi.
Inoltre alla Ferrari aveva anche detto male: Giunti era stato accecato da un riflesso del sole al tramonto e si appoggia al muretto della curva che immette sul rettilineo, uscendo di scena.
Ickx, che sembrava tenere il passo delle Porsche di Rodriguez e di Siffert, non si capisce col pilota di una grossa Chevrolet Camaro e finisce fuori pista e fuori gara.
Pertanto, nonostante la schiacciante vittoria, alla Porsche pensano che non potrà sempre andare così bene e cercano di migliorare temendo che la Ferrari sia già migliore di loro.
E' una guerra psicologica, e le reazioni rispecchiano fedelmente le caratteristiche dei due schieramenti: a Maranello tremano i muri, al quartier generale della Porsche "inglese" e a quello della Porsche "austriaca" si cercano i margini di miglioramento senza tener conto di un risultato trionfale, per avere un'idea basti pensare che la Porsche 917 di Rodriguez-Kinnunen si era fermata solo per i rifornimenti e il cambio delle pastiglie dei freni, e che il suo record sulla distanza sarà battuto solo diciassette anni dopo !.
I perfezionisti tedeschi, però fanno un clamoroso errore di valutazione, amplificato dalla spaccatura ormai evidente fra la Salzburg KG (che in pratica è la Porsche System Enginnering di prima, quella della macchine bianche e ufficiali per capirsi) e la Gulf JWAE.
Wyer è imbestialito, gli avevano promesso (così come aveva fatto la Ford anni prima), che sarebbe stato il suo team quello "ufficiale" mentre invece le soluzioni trovate per le sue 917 erano state riportate subito alla Salzburg presso la quale, aveva scoperto, stavano già sviluppando, a sua insaputa, un nuovo motore da 4900 cc.
L'errore di cui parlo (e di cui raccontano Horsman e Wyer) è quello di decidere, dopo aver analizzato Daytona, di intervenire per porre rimedio all'eccessivo consumo di pastiglie in una pista, Daytona appunto, meno problematica di quanto sarebbe stata Sebring.
La colpa - secondo i "tedeschi" - era del portamozzo che sarebbe stato ridisegnato e sostituito per la 12 Ore di Sebring dopo un test di 16 ore sulla pista della Porsche a Weissach... test a cura della Salzburg.
Wyer non è d'accordo, ma Piech é irremovibile, anche di fronte alle osservazioni dei tecnici Gulf che giudicano fragile la soluzione tedesca durante i primi test a Sebring, un mese circa prima della corsa.
Hanno ragione, ma i tedeschi se ne convincono solo dopo aver ripetuto le prove a Weissach e, facendo un clamoroso dietro-front, decidono di cambiare in blocco le sospensioni anteriori proprio a poche ore dall'inizio della gara, quando è ormai impossibile.
La perfetta organizzazione teutonica crolla come un castello di carte.
Così a Sebring la situazione si capovolge: nessuna delle Porsche Salzburg finisce la corsa e la Gulf Porsche 917 superstite di Rodriguez Kinnunen - quarta al traguardo - rompe tre volte il portamozzo che nell'ultima fermata viene sostituito in appena 9', ma costa inevitabilmente la vittoria.
Alla Ferrari non capiscono che si tratta di un episodio e pensano di essere in vantaggio grazie alla migliorata affidabilità della 512 S ed al fatto che ad un certo punto ci sono state quattro "rosse" al comando e solo una prova maiuscola di un Siffert ispirato aveva fatto tremare i box del cavallino dopo il ritiro della 512 S di Andretti e prima dell'ultima rottura della sospensione che dà il colpo di grazia alle speranze tedesche.
La Ferrari sottovaluta soprattutto la capacità organizzativa della Gulf: i meccanici "inglesi" capitanati da Cuoghi hanno a disposizione pistole pneumatiche per sostituire le gomme, bloccate con un dado esagonale anzichè con il classico bullone Rudge da prendere a martellate e le modifiche richieste da Wyer alla Porsche permettono di sostituire i dischi dei freni in condizioni di estrema sicurezza e in pochi minuti.
Infine, a Daytona, sulla 917 di Siffert, secondo al traguardo, era stata sostituita l'intera frizione in un'ora e venti minuti !
A Maranello, invece, da questo punto di vista c'è molto da migliorare, ma la vittoria di Sebring ed il mare di guai in cui sembra affogare la Porsche illuderanno tutti fino ad un brusco risveglio.
(continua)
1000 KM DI BRANDS HATCH E MONZA 1970
Ritornando al Mondiale '70, dopo le prime due gare c'era la sensazione di un sostanziale equilibrio che durò fino alla 1000 Km di Monza autentica chiave di volta della stagione che, da allora in poi, prese una piega diversa per le grandi contendenti in senso positivo per la Porsche, negativo per la Ferrari.
La terza prova, a Brands Hatch era stata dominata dalla Porsche con una grande vittoria sotto la pioggia di Pedro Rodriguez con la Gulf e le due Porsche Salzburg ai posti d'onore, ma proprio la pioggia e la Firestone erano stati considerati, a torto od a ragione, alla base del trionfo.
Era accaduto che i tecnici americani avevano proposto al Team Gulf Wyer delle gomme da pioggia montate su cerchi più stretti e proprio queste gomme miracolose unite all'abilità di Pedro Rodriguez avevano scavato un solco netto rispetto alla concorrenza.
Nelle prove però due Ferrari 512 erano state le più veloci e questo faceva ben sperare per Monza dove, però accadde di tutto e di più.
Alla vigilia scoppiò il caso dei freni della Porsche.
Salzburg e Gulf Wyer erano da tempo ai ferri corti, John Wyer e David Yorke non avevano mandato giù che la Porsche stesse sperimentando un nuovo motore con gli austriaci e, dal canto loro, si erano ben guardati di mettere a parte i loro primi avversari dei passi avanti compiuti con la Girling sulle nuove unità frenanti che promettevano di avere (ed avrebbero mantenuto le aspettative) prestazioni decisamente superiori.
Durante le prove, tuttavia, Yorke venne a sapere che sulle Porsche 917 della Salzburg erano stati montati i nuovi freni Girling "passati agli austriaci" dalla casa madre e successe il finimondo.
I rapporti già tesissimi arrivarono al limite di rottura, il Team Wyer sembrava in procinto di abbandonare la collaborazione con la Porsche, ma poi tutto rientrò con l'offerta di Piech di utilizzare anche sulle Gulf-Porsche 917 il nuovo propulsore che a Monza avrebbe potuto essere, con i suoi 600 HP, l'arma decisiva.
Wyer, diffidente come pochi, e in questo appoggiato da Yorke che nel rapporto con i tedeschi vedeva ombre anche dove non ce n'erano, prese tempo per decidere.
In prova venne montato il propulsore (ce n'erano due soltanto e l'altro era rimasto alla Salzburg) sulla 917 di Siffert che fece la "pole" precedendo di appena 5/10 la 512 di un ispiratissimo Amon, poi, per la gara ritornò al meno performante, ma collaudato 4,5litri.
Alla Ferrari intanto c'era grande attesa e grande ottimismo per un risultato che avrebbe rilanciato la casa italiana nella lotta per il titolo. Ricordo anch'io quella vigilia della Festa della Liberazione che cadeva di domenica.
La RAI trasmetteva in diretta la gara, un privilegio raro riservato solo alla partenza ed all'arrivo della 24 Ore di Le Mans, un'ora il sabato ed una la domenica attorno alle fatidiche quattro pomeridiane.
Per la 1000 Km erano di solito previsti più collegamenti inframezzati da altri avvenimenti sportivi, di solito una classica del ciclismo del Nord, quella volta, non c'è un motivo particolare, ma mi ricordo che era l'Amstel Gold Race.
La seguivano in diretta perchè c'era Gimondi.
Ma quello era il giorno della Ferrari.
Le 512S ufficiali erano tre. Non c'era Ickx che si era infortunato a Jarama e non c'era Andretti, forse per i suoi impegni in America. Quello, in Ferrari, era l'anno dei ritorni: a Monza c'era Surtees, quattro anni quasi esatti dopo l'ultima corsa con una P3, al Nurburgring, quattro anni esatti dopo l'ultima vittoria con un Prototipo Ferrari, ancora la P3, ancora a Monza.
E c'era Amon che era appena andato via ed era tornato per farsi rimpiangere: volava letteralmente.
Con un pizzico di cattiveria, il grande Vecchio aveva suggerito (o, meglio, imposto ?) gli accoppiamenti: Giunti-Vaccarella, Amon-Merzario e Surtees, il traditore, con il meno veloce, Schetty asso della montagna, ma tutto da vedere a Monza, circuito velocissimo anche senza l'anello di alta velocità escluso dopo molti anni anche dal tracciato della 1000 Km.
Fu una corsa strana, amara.
La Porsche perse quasi subito le due 917 della Salzburg,quella di Jo Siffert ebbe problemi dopo una "toccata" sul gurd rail.
La decisione arrivò quando era chiaro che la 512 S che avrebbe potuto vincere era quella di Giunti, che teneva agevolmente il passo di un Rodriguez scatenato fin dai primi metri.
Per garantirsi un vantaggio decisivo fu deciso di far salire Amon, in grandiosa condizione, invece di Vaccarella, velocissimo, ma quel giorno non quanto il neozelandese.
Qui accadde il patatrac .
Al momento di rientrare Giunti si trovò nel box le altre due 512 con i meccanici che già litigavano in una confusione indicibile.
Al momento di ripartire ci fu anche un principio d'incendio che aggiunse caos al caos; fra estintori e urla, come Dio volle, ripartì anche, con gravissimo ritardo, la 512 di punta.
Ma Amon era rimasto a piedi.
Nella confusione era ripartito Vaccarella che fece del suo meglio, ma non riuscì a recuperare nulla a Rodriguez.
All'ultimo cambio, Amon tentò il tutto per tutto sfiorando il giro record, ma i giochi erano ormai fatti e il Mondiale da quel giorno non avrebbe più cambiato rotta.
54° TARGA FLORIO
Prosegue la saga del Mondiale Marche '70...
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LA BICICLETTA
Dopo Monza, nonostante nulla fosse deciso, ricordo che le speranze di conquistare, anzi di riconquistare, il Mondiale Marche si erano notevolmente affievolite.
Sensazioni.
Percezioni, più che qualcosa di dichiarato da qualcuno.
Fatto sta che un ragazzino come me non ci credeva più.
Oltretutto quella che si annunciava dopo quel 25 aprile sarebbe stata un'estate calda per il tifo rosso: imparammo tutti il nuovo termine "boxer" e anche i giornali sportivi più dichiaratamente calciofili e "motorofobi" ospitarono trafiletti con la foto di un ingegnere dall'aria spiritata che cercava di spiegare la fondamentale differenza fra un motore 12 cilindri boxer e un V12 180°.
Dubito che qualcuno l'abbia mai capito, ma non importava: la F1 312B vinceva, e questo era più che sufficiente, dopo tante amarezze.
L'interesse, inevitabilmente, nella seconda metà della stagione si spostò così verso le ruote scoperte.
Accaddero, però, anche altre cose interessanti nella nostra storia.
Dopo Monza si corse la Targa Florio, ma qui occorre fare un passo indietro, anzi due.
Il primo è di qualche anno.
Fine stagione 1967, la Porsche dominava l'Europeo della Montagna con due assi, Mitter e il giovanissimo Stommelen, ma soprattutto grazie ad un prototipo dalle caratteristiche estreme.
La 909 (sigla non ufficiale e poco nota) era più famosa con il nome "Bergspyder": motore 8 cilindri 2 litri, oltre 270 HP "dichiarati" e prima di pensare che non erano poi tantissimi, bisogna considerare che pesava qualcosa meno di 400 Kg, pilota compreso.
Aveva la carrozzeria di vetroresina, ridotta ai minimi termini, un serbatoio microscopico (c'è chi diceva quindici litri...) e il posto di guida molto avanzato che la rendeva decisamente inconsueta, anzi piuttosto bruttina.
Nessuno se ne ricordava più anche se, su una sua evoluzione, a Rossfeld, era scomparso l'anno dopo il grande Scarfiotti.
Era tornata in mente a qualcuno, qualche mese prima, quando a Weissach aveva fatto dei test una macchina insolita, tanto spartana nelle forme, quanto essenziale nei parametri costruttivi.
Non era neppure verniciata, ed era davvero brutta.
Fece balenare anche qualche sorriso agli appassionati ferraristi e qualcuno la soprannominò, non senza ironia, "la bicicletta".
Nessuno, in quei giorni, avrebbe pensato che quella brutta macchinetta sarebbe stata l'asso nella manica della Porsche per i tracciati sui quali la 917 poteva essere vulnerabile perché fra le sue tante doti non aveva certo quella della maneggevolezza.
Per la Targa, a dire il vero, la Porsche un tentativo lo fece e le strade delle Madonie, aperte al traffico, furono battute da una 917 con i colori della Salzburg.
Al volante c'era Hans Hermann che dopo un paio di giri estenuanti dichiarò che : -"Correre la targa con la 917 era come andare al supermercato con un panzer"-
La "bicicletta", quella macchinetta brutta e sgraziata, era la pronipote della 909 "bergspyder".
Ora si chiamava 908/3, ovvero "terza versione della Porsche 908", nella classificazione della Porsche: motore 8 cilindri, raffreddato ad aria, 360 HP, per un peso di circa 540 Kg (più o meno quanto una F1...) poco più di 1,5Kg/HP di rapporto peso/potenza (quello della 917/4500 era di circa 1,4 Kg/HP) .
Contro questo avversario da scoprire, Maranello, dopo tanti ripensamenti, spedì alla Targa una sola 512S per Giunti e Vaccarella.
Il Professore ci mise del suo per convincere il "Drake".
Mi ha raccontato che per nessun motivo il Commendatore voleva esporsi ad una figuraccia, ma "Ninni" aveva vinto una Targa con la P2 ed era convinto di poter ripetere l'impresa con la 512 ed alla fine l'ebbe vinta nonostante un clima di sfiducia quasi palpabile nelle possibilità di affermazione.
Di quella Targa resta un'immagine incredibile in cui si vede Ninni Vaccarella con la sua 512 sfiorare la folla festante, assiepata al bordo della strada, durante l'attraversamento di un paese, forse Collesano.
"Quella" - mi ha confessato una volta a telefono - "è stata una delle mie gare più belle alla 'Targa'. La 512 era una macchina eccezionale ed a noi mancò soprattutto un pizzico di buona sorte..."
Nonostante la grande corsa di Vaccarella (ben coadiuvato da Giunti) la Ferrari non andò oltre il terzo posto; il peso superiore e il conseguente maggior consumo di benzina e gomme la costrinsero inevitabilmente a un numero di fermate superiore rispetto alle imprendibili "biciclette".
Vinsero Siffert e Redman con la 908/3 con i colori della Gulf-Wyer, precedendo i compagni di scuderia Rodriguez e Kinnunen con un modello identico.
Una terza 908/3, sempre con i colori Gulf-Wyer, affidata al rallista Waldegaard ed a Dick Attwood finì al quinto posto, completando il trionfo.
Curiosamente, come raccontano Wyer e Horsman nelle loro memorie, in quella occasione le 908/3 arrivarono direttamente da Zuffenhausen in Sicilia, dipinte con i colori Gulf in varie fantasie, ma senza passare dalla sede del Team in Ighilterra ed a Cerda, Wyer e Yorke erano presenti solo come "osservatori" esclusivamente per garantire i propri piloti: quelle "biciclette" erano davvero Porsche ufficiali a tutti gli effetti.
Fu quello il gran giorno di Leo Kinnunen, fin lì (e da lì in poi) vissuto all'ombra del grande Pedro Rodriguez.
Sfruttando le sue doti di specialista di rallies, fece la sua gara come fosse una "prova speciale" facendo segnare il giro più veloce in più di un'occasione e fu merito suo la conquista del secondo posto grazie ad una rimonta su Giunti .
Alla Ferrari rimase la soddisfazione di aver mostrato che la 512S era senz'altro più versatile della sua grande avversaria, a Ninni Vaccarella quella di aver fatto un incredibile secondo tempo in prova e l'illusione di aver convinto Enzo Ferrari che, per una volta, aveva avuto torto.
Questa al Professore durò il tempo di incontrare nuovamente il Drake che, appena lo vide - lui che non gli aveva detto nulla neppure dopo il trionfo di Le Mans nel '64 - si avvicinò e gli sorrise dicendo :-"Ha visto Vaccarella che avevo ragione a voler far correre la 512 anche alla Targa Florio !"-