Cari ragazzi, vi ringrazio ancora per la vostra simpatica e direi affettuosa partecipazione a quello che ho raccontato: purtroppo non ho molto tempo a disposizione e così finisco col sottrarlo… a GPL che in pratica non ho più avviato !
Vorrei tornare la prossima volta ai temi che mi – e vi – sono cari. Per il momento vorrei brevemente ringraziare “Elvin” per il link ad un filmato sul percorso della Targa:
http://www.youtube.com/watch?v=8AR6yLqa-RQRivedere quel percorso mi ha dato delle emozioni che non riesco ad esprimere, talmente sono stati forti.
Dal min 1 al 2 (del filmato) si vede quella lunga discesa, dopo Cerda e sino al ponte di Scillato; manca purtroppo quel tratto misto-veloce che a me piaceva tanto; poi dal min. 2,30’ la lunga discesa da Collesano a Campofelice, poi ancora il rettilineo di Buonfornello e al min. 4,16 mi è parso di riconoscere quella curva che non finiva mai e nella quale si doveva ritardare l’inserimento sino all’inverosimile. Sicuramente a Palermo ci sarà qualcuno in possesso di un filmato “on board” del percorso, da cui trarre una ricostruzione del circuito per GTL.
A Palermo c’erano piloti straordinari, oltre ovviamente al “Preside Volante” che è nella storia dell’automobilismo italiano ed a pieno titolo nella leggenda della Targa. C’era una splendida scuderia, la “Pegaso”, che schierava magnifiche vetture e velocissimi piloti, dei quali non faccio i nomi, ma di cui ricordo il tratto signorile e la gentilezza di modi, ed anche per la loro indimenticabile ospitalità.
E sempre a proposito della Targa, ricordo di quella volta che – durante le prove - ho trovato lungo il percorso Brian Redman fermo con la sua Porsche “muletto” (era quell’incredibile 908 “bicicletta” ) e mi son fermato anch’io pensando che potesse aver bisogno di qualcosa: si era appena tolto il casco ed era ovviamente molto sudato: mentre stavamo parlando, si sfila le cinture, apre l’ignifuga e tira fuori dalla tuta…una sfilatino di pane con il salame ( che non vi dico com’era ridotto per via della pressione delle cinture e del sudore che aveva assorbito ) e fa per spezzarlo per offrimene pezzo… offerta che, pur apprezzando, ho ovviamente declinato…
Ragazzi, vado di fretta…
Mi spiace, forse ho fatto una piccola gaffe con “BI555”parlando “non bene” della Pantera che a lui dev’essere molto cara. Ecco chi potrebbe veramente raccontare di quei tempi in cui le macchine, specie quelle “da corsa” si facevano a colpi di martello, modificandole lì per lì, soprattutto per aprire prese d’aria e feritoie di sfogo. I battilastra erano veramente degli artisti, degli scultori dell’alluminio, di cui temo si sia persa la scuola.
Credo anch’io che i clienti delle Miura si lamentassero della tenuta: probabilmente perché erano sottosterzanti come un proptotipo, o sbaglio ? Raccontaci !!!
Scusatemi se questa volta son stato così breve, ma mi riprometto di tornare presto tra di voi.
Salutoni.
Sigfried
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Vi prego tutti di volermi scusare per non essermi più fatto sentire su questo simpatico “forum”, ma ho avuto delle gravi ragioni che vi illustrerò dopo, al momento del commiato.
Su Ferrari, vorrei soltanto dire che – al di là della considerazione per il personaggio poliedrico: grande industriale, grande fabulatore e grande organizzatore – non ho avuto molta simpatia per lui e questo perché aveva l’abitudine ( a dire il vero, poi consolidatasi negli anni anche per altri team managers ) di mettere sottilmente i suoi piloti l’uno contro l’altro, e questo ha causato la morte di alcuni di loro.
Ecco, in estrema sintesi questa è la mia opinione.
Viceversa ho una grande stima per Piero Lardi Ferrari: ottimo imprenditore, grande appassionato, un uomo colto, sensibile e di grande generosità, cresciuto nell’ombra di un padre imponente (non soltanto nell’aspetto fisico!) e di uno scomodo…fantasma: il fratellastro Dino, la cui figura gli veniva continuamente richiamata, quando ragazzo cominciò a frequentare la fabbrica paterna.
Qualcuno mi chiedeva come ho iniziato a correre.
E’ stato negli anni ’60, con una Cooper “S “, premio per mia la “maturità”. La scelta, - operata con la complicità del concessionario - fu motivata dalla maggior ... sicurezza che questo modello offriva, rispetto agli altri, per via dei freni a disco anteriori… D’altra parte, mio padre non guidava neanche e quindi non aveva nessuna competenza a riguardo, sicché il gioco fu abbastanza semplice. Ancora la ricerca di una maggior sicurezza ( ! ) legittimò agli occhi dei miei genitori l’acquisto dall’Inghilterra di un kit di modifiche all’auto : in realtà si trattava di un completo kit di preparazione “gruppo 2” della Speedwheels, che conteneva cammes, carburatori, collettori e quant’altro, sino alle bellissime ruote in lega “Mini Lite” ed ai codolini passaruota.
Adesso non ricordo con esattezza la potenza che alla fine venne fuori, ma credo si fosse intorno ai 120 sae. Comunque era veramente una “bestia”, difficile da tenere dritta in accelerazione, anche per via di uno sterzo di diametro molto piccolo che avevo fatto montare. Io francamente non avevo l’esperienza per maneggiare tanta potenza con così poco peso; per di più il passo corto e la carreggiata allargata, rendevano la macchina molto nervosa nelle reazioni; l’autobloccante che “tirava” molto violentemente la macchina nella direzione in cui le ruote erano orientate…complicava ulteriormente le cose. Inoltre, il capofficina della concessionaria che aveva montato il “pacchetto” non aveva la competenza ( ed io meno che mai !) per fare delle indispensabili regolazioni…sicché devo dirmi assolutamente fortunato che non sia capitato nulla, né a me e neanche a quei miei amici che con un entusiasmo pari all’incoscienza, mi accompagnavano nella ricerca di macchine più grosse da…castigare !
Comunque, dopo un iniziale ed inconfessato sgomento…imparai in qualche modo a domare questa “bestia” che aveva molti capricci ed innumerevoli scomodità pratiche, perché era veramente una vettura da corsa che girava sulle strade di tutti i giorni, e questa non era propriamente la sua vocazione. Per esempio, col freddo il motorino d’avviamento non ce la faceva a vincere la compressione dei cilindri e la viscosità dell’olio, per cui non c’era altro da fare se non spingere, e tanto…Inoltre era bassissima e quindi su certe strade (quelle idonee ai tanto sospirati infrattamenti con la ragazza) non si poteva passare se non a rischio di urtare la coppa dell’olio; poi, quando e se si riusciva ad arrivare in un posticino tranquillo, con il rumore dello scarico disturbava tutti quelli che, già in parcheggio, avrebbero voluto starsene un po’ tranquilli. Credo che pochi abbiano rimediato tanti “vaffa” come me in quel periodo…
Oggi, sarebbe stata immediatamente sequestrata, invece allora c’era da parte degli agenti che mi fermavano, curiosità e paternalismo, per cui poi tutto si esauriva in una multa (che allora era solo di mille lirette) in genere per guida pericolosa o scarico rumoroso.
C’è da aggiungere che all’epoca di Mini Cooper ce n’erano poche in giro (non esisteva ancora la versione italiana poi prodotta dall’Innocenti) e vederne poi una “da corsa”, generava molta curiosità.
Il problema era realizzare il sogno di correre e per il rilascio del patentino, occorreva: la patente da almeno un anno e, per i minori (meno di 21 anni) l’autorizzazione dell’esercente la patria potestà. Come fare? M’inventai allora che per frequentare un corso di vela era necessaria l’autorizzazione paterna, e trascinai mio padre dal notaio per la relativa autorizzazione: “autorizzo mio figlio……ad esercitare sports nautici”. Con la mai abbastanza lodata scolorina, cancellai “nautici”, ci scrissi sopra “automobilistici” e per fortuna alla CSAI (ma credo che fossero abituati ad escamotages del genere!) la pratica passò ed ebbi in mano il “patentino”.
Il debutto fu in una salita in Umbria: c’era un misto veloce che si snodava a fianco di un torrente prima che il percorso cominciasse a salire e, per puro caso, mi trovai con il mio unico rapporto al ponte che sembrava studiato per quel tratto: dove gli altri staccavano io (come mi dissero poi) continuavo ad andare a tavoletta, per cui fui particolarmente veloce. Morale della favola, vinsi la mia categoria: gruppo 2 sino a 1300 cc., con delle normali Kleber, laddove molti montavano le Dunlop Racing.
Dopo il parco chiuso, mi avvicinò un meccanico di Bologna che era famoso per gli assetti e cominciò a girare intorno alla macchina, spingerla in giù appoggiandocisi sopra, a scuoterla e mi chiese chi mi aveva fatto l’assetto…
Devo dire che ero estremamente intimorito da tutto: mi sembravano tutti “grandi”, bravissimi, esperti, per cui pensai di sparargli un nome qualsiasi, però non ne fui capace per cui dissi semplicemente la verità e gli raccontai della scatola Speedweel. Per farla breve, mi disse che l’aveva capito perché la regolazione degli ammortizzatori non era uniforme…e questa cosa lì per lì gli era sembrata una diavoleria fatta apposta…”mo come a Indianapoliscc”…Per farla breve, ci facemmo reciprocamente simpatia per cui portai la macchina da lui per l’assetto, anche perché mi aveva rassicurato che “per pagare e morire …c’è sempre tempo”.
Vorrei sapere quanti meccanici di oggi direbbero una frase del genere !
A me sembra che allora fosse la passione, sempre, a motivare ogni cosa.
Insomma, tutto nacque poi così, perché questo meccanico (che aveva una bella azienda) mi prese sotto la sua “protezione” e cominciò ad insegnarmi tante cose, non ultimo come fronteggiare le intimidazioni verbali di quei miei avversari dei quali poi sarei diventato amicissimo, ma che in quei primi tempi si “divertivano” a farmene di tutti i colori, perché ero nuovo dell’ambiente, sprovveduto (diciamolo pure), ma soprattutto perché, quando non vincevo, ero comunque lì nei paraggi…
La maggior parte di noi, andava a correre con la stessa macchina che usava tutti i giorni o quasi e solo qualcuno arrivava con la macchina sul carrello…
I carrelli: altra epopea ! Eravamo veramente degli sconsiderati: in genere le macchine che trainavano erano delle “familiari” (la parola “station wagon” era di là da venire) di terza o quarta mano, con motori spompati, senza freni e con ammortizzatori inesistenti, per cui si camminava “sulle molle” con queste macchine tremendamente “sedute” sull’asse posteriore e, quando iniziavano ad ondeggiare, ci voleva tutta la nostra abilità per riuscire a riprenderle. E siccome, come dicevo eravamo degli sconsiderati, se ci s’incontrava durante un trasferimento verso una gara (il che capitava spesso), trovavamo il modo d’ingarellarci anche con i carrelli attaccati dietro.
Per l’assetto della macchina trainante, era fondamentale “bilanciare” bene la macchina sul carrello, ma poi le corde che la tenevano finivano con l’allentarsi per cui cominciava a muoversi e siccome…boia chi molla, si continuava a gareggiare con la macchina al traino che pericolosamente faceva avanti e indietro sul carrello, e non è capitato una volta soltanto (per fortuna a me mai!) che venisse giù!
Il contesto nel quale la mia esperienza agonistica si è sviluppata era molto cameratesco, ed allegro: al di là dell’impegno che pure mettevamo e dei risultati che molti di noi conseguivano, non ci prendevamo molto sul serio, piuttosto ci si prendeva molto in giro e quei pochi che un po’ “se la tiravano” non facevano parte del nostro gruppo. Poi siamo cresciuti: qualcuno ha smesso e noi che siamo rimasti nell’ambiente - io non sempre in modo continuativo - siamo diventati dei “senatori”: rispettati perché rispettavamo delle regole di correttezza, e temuti perché facevamo un fronte unito contro chi queste regole non le rispettava. Questo è durato un po’. In avanti, i tempi sono radicalmente cambiati ed il nostro modo di pensare è diventato un po’ démodé: la società si trasformava, la presenza degli sponsors diventava sempre più importante e mentre una volta si “limitavano” a chiederti fatture per 10, 50 volte le cifre che materialmente ti davano, poi hanno preteso d’imporre un pilota piuttosto di un altro.
I direttori sportivi delle scuderie, che prima erano soltanto dei grandi appassionati che in quel ruolo esprimevano la loro passione per le gare, sono diventati dei managers. Non voglio mica dire che tutto questo sia sbagliato, soltanto che non era più quel mondo nel quale io mi riconoscevo.
Vi ho raccontato del mio incontro con “Black Jack” Brabham, ma avevo anche conosciuto Bonnier e Siffert e tutti mi avevano trattato con grande disponibilità e semplicità di modi. I miei modelli erano loro, gente che passava senza fare storie da una F1 ad una Turismo Gr. 2, mettendoci sempre lo stesso impegno, la stessa grinta, la stessa passione, se vogliamo, la stessa professionalità. Gente che poi nel paddock di una gara Turismo, era lì con gli altri piloti delle categorie “inferiori”, senza atteggiamenti divistici o roba del genere.
Da ragazzo, il mio idolo era Von Trips che poi sarebbe perito a Monza in un tragico Gran Premio nel quale morirono diversi spettatori: nel mucchio di F1 che andava verso la Parabolica, dopo aver fatto l’Ascari che allora era senza chicane e quindi velocissima, la sua Ferrari fu urtata dalla Lotus di Jim Clark, s’impennò, volò sopra le reti e piombò sugli spettatori.
Von Trips, che gli amici chiamavano Taffy, nel corso dell’ultima Mille Miglia (56?) stava raggiungendo Taruffi che poi l’avrebbe vinta e rinunciò al successo in quella che già allora era una gara epica, perché epico era l’impegno che si richiedeva al pilota.
Sapete perché rinunciò ? Semplicemente perché Taruffi aveva promesso alla moglie che, se avesse vinto, coronando con l’alloro più importante la sua carriera, avrebbe finalmente smesso di correre. Alla sosta di Bologna, Ferrari glielo chiese e lui lo fece: rallentò e mantenne le posizioni nonostante Taruffi avesse dei problemi alla trasmissione.
Von trips era solito correre con una Lacoste rossa e da quando ho cominciato a correre ho sempre indossato una Lacoste, anche poi sotto l’ignifuga, perché era un mio modo di sentirmi vicino ad un pilota e ad uomo che stimavo, anche se con gli anni è diventata una piccola scaramanzia Negli anni ’80 ho avuto modo di conoscere l’ex compagna di “Taffy” e per me è stata veramente una grande emozione sentirle raccontare tanti episodi della vita di von Trips…
Ed a proposito di scaramanzie, mi sono sempre rifiutato di far mettere in auto una macchina da ripresa o poi una telecamera, perché mi ossessionava l’idea che poi si potesse rivedere il filmato e capire…come era successo ! Oggi mi dispiace non avere un ricordo del genere, ma chissà, magari non è mai accaduto nulla perché non avevo la telecamera: chi può dirlo ?
Ed ora veniamo al commiato: è capitato che da una ventina di giorni mi abbiano diagnosticato un tumore. Sì lo so che si cura, che oggi si fanno tante cose ecc, ecc, ecc, ma ogni caso è particolare ed il mio è abbastanza serio.
Questo evento ha cambiato molte cose nella mia vita di tutti i giorni, perché ora le mie settimane sono ritmate anche da analisi mediche, indagini, radiografie, tac, consulti e rotture di ogni genere, il tutto nascosto alle mie figlie alle quali per il momento non voglio dire nulla. E questo complica ulteriormente le cose.
Comunque, senza andare troppo nel personale, mi capita che adesso abbia molto meno tempo da dedicare ad altro. Tutto qui.
Nelle riflessioni di questi giorni, si consolida sempre più l’idea di quanto la mia vita sia stata fortunata: non che non abbia avuto problemi e che non ce li abbia ancora oggi, ma al momento di un bilancio, questo non può essere che positivo.
Ho avuto la fortuna di avere una moglie adorabile, due figlie splendide e due nipotini simpaticissimi ed anche la fortuna di riuscire in quella che era ed è la mia passione più grande: le auto da corsa.
Ho avuto ancora la fortuna di avere un talento naturale, di vivere anni meravigliosi, di condurre e pilotare macchine da sogno, di conoscere uomini che sono nella storia dell’automobilismo mondiale e d’imparare qualcosa da loro, soprattutto in termini di modestia, perché comunque potrete vedere mille volte Senna impostare una curva, ma non imparerete mai a farla come lui.
Non ho mai avuto e non ho neanche oggi il rimpianto di aver detto no quando mi si proponeva di passare ad un impegno maggiore: non so se sarei riuscito a raggiungere i livelli più alti, ma certamente non avrei realizzato altre cose che, oggi come allora, per me sono più importanti.
Non voglio fare del sentimentalismo di maniera, ma per me i ricordi più belli degli anni passati correndo sono legati ai bambini: la prima volta che uno di loro mi chiese l’autografo…ed un’altra volta, quando un bambino era praticamente abbracciato alla mia auto, schierata prima della partenza in Targa…ed io lo presi in braccio e lo feci sedere al posto di guida: be’ il suo sorriso incredulo, poi gli occhi a terra vergognoso…e poi quegli occhietti neri che brillavano, sprizzavano felicità. Ecco, per me è stata una gioia grandissima fare felice quel bambino: non ho mai dimenticato quegli occhietti e sono sicuro che anche lui si ricorderà di me con simpatia.
Allora ragazzi, nel momento del commiato, allego una mia foto un po’ emblematica (scusatemi se ho cancellato il viso): giovane, mi sto allacciando o slacciando il casco.
Una gara che sta per iniziare o una gara che è già finita ?
Vi abbraccio tutti.
Sigfried