da 330tr » 25/12/2019, 21:12
3a e ultima parte
La Lancia D50 fece il suo debutto al GP di Spagna a Pedralbes, e se l'auto era veloce, era pure capricciosa, il che richiese ad Alberto l'abbandono temporaneo del suo stile composto. Si prese, comunque, la pole position - un secondo più veloce di Fangio, e comandò finché non si ruppe la frizione. Così, seppur Ascari finisse l'anno senza aver conquistato nemmeno un punto, poteva guardare al 1955 con ottimismo, confidente in una vettura in grado di combattere con la Mercedes. In Argentina, primo round del campionato, uscì di strada mentre era al comando, ma vinse le corse fuori campionato di Torino e Napoli. A Monaco partì dalla prima fila, a sandwich tra le Mercedes di Fangio e Moss. In questa corsa, incredibilmente, entrambe le Mercedes si ruppero, e quando Moss saltò all'81esimo giro, Ascari brevemente - molto brevemente - si trovò al comando. Alla chicane trovò l'olio della macchina di Stirling, e questo, in combinazione con i freni bizzosi che da sempre affliggevano la D50, risultò sufficiente per fargli trapassare le fragili barriere e finire nel porto. Maurice Trintignant, che vinse la gara, visitò Ascari in ospedale la mattina successiva, e scrisse a proposito nelle sue memorie: "Alberto stava seduto a letto, mangiando arance, ed era in gran forma - se non fosse stato per il piccolo bendaggio sul naso non si sarebbe mai detto che l'avesse scampata di poco. "Disse che sapeva che non avrebbe potuto riprendere Moss, e dal box l'avevano avvertito che ero sulle sue tracce. 'Per fermarti', disse, 'dovevo prendermi dei rischi. Alla chicane slittai sull'olio, e mi trovai diretto verso il mare. Finii in acqua con tutta la vettura, ma riuscii ad uscirne quando stavamo andando giù - fu un tuffo pazzesco, e colpii il fondale. Ero un po' stordito, ma l'acqua fredda mi risvegliò, e quando raggiunsi la superficie trovai un sommozzatore pronto ad aiutarmi..." La visita ad Ascari fece impressione anche per un'altra ragione a Trintignant. Il nomignolo di Ascari era "Ciccio", ed è indubitabile che gli piacesse il cibo, e non fosse esattamente un fuscello, ma non lo era nemmeno Fangio, per non parlare di Gonzales, e pareva che nessuno avesse problemi di resistenza in gare molto più lunghe di quanto sono oggi. "Siccome faceva caldo," Trintignant continua, "Alberto non indossava la parte superiore del pigiama - e mi accorsi che sbagliavamo a chiamarlo 'ciccio'. Aveva un corpo potente da lottatore, spalle muscolosissime e un collo da toro, forti bicipiti ed avambracci - esattamente la giusta costituzione per un rugbista da prima linea." Fangio considerò sempre Ascari e Moss come i suoi più grandi rivali: "Alberto era veloce - terribilmente veloce. Era un pilota dalle capacità supreme, e la sua unica debolezza era l'essere superstizioso..." E lo era davvero. Storie del suo terrore per i gatti neri - se n'era trovato uno il giorno del suo primo grosso incidente - sono ben documentate, e aveva anche più tradizionali apprensioni riguardo il numero 13 e i suoi multipli: suo padre era morto il giorno 26 luglio. Allo stesso modo, Ascari era ossessionato riguardo il suo equipaggiamento da gara, e non poteva sopportare, come noterà Villoresi, che qualcuno lo toccasse. Particolarmente poi verso il suo caschetto celeste - sempre perfettamente liscio - che egli considerava il suo S. Cristoforo protettore. Risulta più che incomprensibile, perciò, che avesse scelto il 26 maggio per mettere le sue fobie da parte. Quella mattina a Monza Castellotti stava provando una nuova, ancora senza vernice, Ferrari 750S, che sarà conosciuta come 750 Monza. Ascari avrebbe dovuto condividerla con lui nella gara Supercortemaggiore di domenica, ma Alberto aveva apparentemente deciso di dare forfait. Perché, quindi, scese in pista? Era andato a Monza semplicemente per vedere Castellotti girare, e stava indossando come sempre il suo completo immaccolato con caravatta, chiaramente senza intenti da pilota; quindi, apparentemente per capriccio, decise che sarebbe stata una buona idea rimontare in sella. Si tolse la giacca, infilò la cravatta nella camicia, si mise il casco bianco di Castellotti, saltò a bordo e non tornò mai più. Al terzo giro, mentre iniziava a a tirare, si schiantò alla curva del Vialone, una curva che non avrebbe mai dovuto mettere in crisi qualcuno come lui. Il Vialone - ora rinominata Ascari - non aveva chicane in quei giorni, era una piega sinistra da tutto gas. Al centro della curva impressionanti strisciate di gomme indicavano come la Ferrari avesse preso a slittare lateralmente, quindi puntò improvvisamente verso sinistra iniziando a capovolgersi, e Ascari fu schiacciato prima di essere gettato fuori. Non c'erano altre auto che giravano, e sentendo l'improvviso fermarsi del motore e il suono della distruzione in atto, Castellotti Villoresi e altri corsero al Vialone, dove trovarono Ascari ancora vivo, ma agonizzante. Due giorni dopo ebbe luogo il funerale, alla chiesa di S. Carlo al Corso a Milano, e appena il corteo funebre s'incamminò, la città si fermò, migliaia di persone si allinearono lungo le strade per l'ultimo omaggio all'idolo caduto. La causa non fui mai definitivamente accertata. Vi furono voci fantasiose che parlavano di cravatte svolazzanti in faccia, e alcuni suggerivano come Ascari sterzò per evitare qualcuno che stava attraversando la pista. La teoria di Hawthorn ha più senso, è la spiegazione di un pilota: "Le gomme che volevamo usare per queste macchine erano 6.50-16, ma non erano disponibili in quel momento, e così erano stati adattati pneumatici 7.00-16. Avevo guidato la macchina con queste gomme, e la trovai davvero pericolosa alla curva del Vialone, dove c'erano un sacco di ondulazioni sulla superficie della strada. Conclusi che i cerchioni erano troppo stretti per le gomme, e le tolsi dalla mia vettura. Dove Ascari ebbe l'incidente c'erano segni di gomma, seguiti da segni dei cerchioni incisi sull'asfalto, e mi sembrò che come avesse colpito le ondulazioni, la vettura avesse iniziato a scivolare, le gomme stallonarono e i cerchioni scavarono l'asfalto, causando i cappottamenti." Più tardi sempre nel 1955, in una vettura similare, Paul Frère ebbe un terribile incidente in Svezia, dove fu fortunato ad uscirne con una gamba rotta. "Come molti piloti scoprirono a spese loro", scrisse, "la Ferrari 750 Monza non permetteva l'errore. Arrivai in curva lievemente troppo veloce e la coda della macchina si scompose così rapidamente che non riuscii a tenerla - la macchina aveva preso completo controllo della situazione."
La morte di Ascari portò alla fine delle attività della Lancia corse. Sebbene a un distrutto Castellotti fu permesso di gareggiare con una D50 a Spa, ed egli coraggiosamente portò la macchina in pole position, e sebbene Hawthorn fosse stato scelto per essere guida del team, Gianni Lancia infine prese la decisione di ritirarsi, e in luglio le auto furono consegnate alla Scuderia Ferrari. Ferrari, che cominciò a ricevere aiuto finanziario dalla Fiat, fece correre le auto modificate come 'Lancia-Ferrari', e l'unica stagione di Fangio col team si tramutò nel suo quarto titolo di Campione del Mondo. Il suo terzo era arrivato l'anno prima. "Mi sentivo," disse Juan Manuel, "come se il mio titolo del 1955 avesse perso un po' del suo valore perché Ascari non era lì a battersi con me per la sua conquista. Avevo perso il mio più grande rivale, e anche un leale e generoso amico." Sono passati 57 anni, e Alberto Ascari rimane l'ultimo grande pilota italiano. "Ha avuto," disse Villoresi, la chiarezza e presenza mentale di Varzi, uniti con lo spirito battagliero di Nuvolari. Non c'era nessuno migliore di lui..."
Nigel Roebuck