Ragazzi, leggete questo racconto del "Drago" Munari ( tratto dal libro scritto con Cesare De Agostini nel 1981 "La coda del Drago" ) e fatemi sapere cosa ne pensate:
"Mancavano cinque o sei minuti alla partenza dell’ennesima prova di velocità, situata nel bel mezzo delle Alpi francesi. Dalla cima del colle che dovevamo scalare e scendere, ci informarono via radio che stava semplicemente piovendo. Via libera quindi al montaggio delle gomme da bagnato. Ma un minuto prima del via, la radio ricominciò a gracchiare:
«Attenzione, attenzione: sta nevicando fortissimo!».
Era troppo tardi per passare alle gomme coi chiodi: mi sarei presentato in ritardo alla partenza e avrei rimediato un ritardo certo. Potevo solo andare, rischiando e sperando. La prova era lunga 38 chilometri; la neve comparve dall’ottavo in avanti.
Era la prima volta che correvo con Silvio Malga come navigatore ed eravamo in testa con 4'30" su Guy Frenquélin su Porsche. Salivo mettendo le ruote ai lati della strada per cercare un po' di aderenza sull’erba. In quel momento mi sentivo attanagliato dal panico di non riuscire a raggiungere la vetta. Al di là della quale ci sarebbe stato ancora un filo di speranza di poter tentare una rimonta.
Avanzavamo a fatica d’altra parte non poteva essere altrimenti, dal momento che le gomme che montavamo in quel momento oltre a non esser chiodate avevano una misura troppo larga (295 il posteriore e 205 l’anteriore). Gli altri erano partiti qualche minuto dopo e per questo avevano fatto in tempo a cambiare le gomme da pioggia con quelle da neve.
Così molto presto cominciarono a superarci diverse vetture. Senza chiodi alle gomme, era una marcia da ubriachi. Alla fine, quei quattro minuti e mezzo si erano volatilizzati e noi retrocedemmo in seconda posizione con un distacco di 1" da Fréquelin. Waldegaard a sua volta era più indietro. Non tutto era compromesso; certo che passare da un vantaggio di quattro minuti e mezzo, accumulati rischiando curva per curva, ad uno svantaggio, sia pure minimo, era duro da digerire.
La strada del « St.-Jean-en-Royans », così si chiamava quel colle, aveva dato un colpo quasi mortale alla mia speranza di vincere per la terza volta il famoso Rally del mondiale. Ma naturalmente non mi arresi e all'ultima notte mi ritrovai ancora in testa con due minuti. Questa altalena di vantaggi e di distacchi fa parte del gioco e crea la «suspense » che non dura semplicemente due o tre ore, ma due o tre giorni.
E anche più. Sembrava fatta. Invece, al terzo passaggio sul colle del Turinì (esaltante e temuto come era la Futa per la Mille Miglia) mi si bloccò il cambio in quarta: un inconveniente che a quel tempo non era raro sulla Stratos. Avevo davanti dodici chilometri di salita e altrettanti di discesa. Il problema era quello di riuscire a superare i tornanti e raggiungere il colle. In poche parole mi trovavo di nuovo di fronte al problema che avevo superato a fatica poco tempo prima le ragioni erano diverse ma la situazione la stessa. I tornanti erano tutti molto stretti ed io disponevo soltanto della quarta... Ma prima di perdere una corsa come il « Montecarlo » solo perché ti si blocca il cambio, bisogna tentare tutto. Anche le follie. Si stava avvicinando il primo tornante.
« Dobbiamo farcela — dissi a Silvio — altrimenti è la fine! ».
Entrai piano, per effettuare una traiettoria più rotonda possibile, ogni centimetro aveva la sua importanza. Credo di non aver mai curato tanto una curva in vita mia. Diedi solo un filo di gas, i sei cilindri 4 valvole rispose senza tentennamenti (l’importanza della coppia bassa) e un colpetto o due di frizione per alzare il numero dei giri senza correre il rischio di bruciarla.
Un tornante era fatto, ne rimanevano ancora undici. A quel punto la speranza di farcela era sensibilmente aumentata. Piano piano, uno dopo l'altro, passarono tutti. La mia Stratos si stava dimostrando davvero incredibile. Finii la prova a circa un minuto da Waldegaard ma ancora con più di un minuto di vantaggio. Restava però l’incognita di sapere se il guasto fosse riparabile nei pochi minuti che avremmo potuto accumulare prima della partenza dell’ultima prova speciale. Piombai all'assistenza ma, dato che si trattava di un servizio d'emergenza, decisi di continuare e di raggiungere l'inizio della successiva prova speciale dove sapevo che c'erano dei meccanici in grado di compiere forse un miracolo.
Il nostro problema non era semplice: due forcelle del selettore si erano accavallate. Bisognava smontare la protezione della coppa dell'olio, svitare i bulloni della stessa, fare uscire l'olio bollente e recuperarlo in un contenitore di fortuna in quanto non c’era l’olio di scorta, toglierla, sbloccare le due forcelle, rimontare la coppa, rimettere l'olio. Un intervento che, nelle condizioni in cui ci trovavamo, richiedeva doti non comuni: tutto sotto la macchina scottava, c'erano pochi minuti a disposizione, era notte e pioveva.
Arrivai un quarto d'ora prima della partenza per l'ultimo tratto cronometrato, al di là del quale c'erano il traguardo di Montecarlo e la vittoria. I meccanici erano stati avvisati via radio di prepararsi. Non scesi nemmeno di macchina. Ferdinando Casarsa e Piero Spriano si buttarono sotto la vettura. Sentii che qualcuno diceva:
« Dai che ce la facciamo! ».
Ero muto, intoccabile. Volevano che mangiassi qualcosa, ma trangugiai solo un po' di acqua. Mi videro serrare le labbra in un atteggiamento che mi è abbastanza usuale nei momenti di tensione. Non montarono nemmeno la protezione della coppa dell'olio per guadagnar tempo. Esattamente quattordici minuti dopo il mio arrivo, il cambio era sbloccato.
Ripartii forte, cercando però di cambiare con la massima delicatezza per paura che quelle forcelle mi giocassero un altro scherzo. Fu una sofferenza, ma quel «Montecarlo» non mi sfuggì. Ho vissuto decine e decine di volte i momenti degli arrivi vittoriosi, con la loro esaltazione e il loro stordimento, ma il trionfo di quel gennaio 1976 non l'ho mai dimenticato. Forse perché mi sentivo particolarmente in debito con Casarsa e Spriano: erano stati davvero eccezionali. Questo sicuramente è stato il “Monte” dove ho sofferto di più, nonostante la nostra evidente superiorità. Non era facile dal punto di vista mentale superare uno stress così elevato. A posteriori è certo che se non ce l’avessi fatta la mia storia sarebbe cambiata e non sarei stato il primo pilota a mettere insieme 4 vittorie nella gara più difficile e prestigiosa del mondiale."