da avvocato » 02/03/2015, 8:35
- segue - III° e ultima parte
Al via del mossiere, il boato della muta dei bolidi, mischiato alle urla degli spettatori, squarciò il golfo. La Ferrari con Bandini al termine del primo giro era nettamente in testa. Poi al secondo giro con l’olio di Brabham tutto divenne più confuso e le posizioni cambiarono. Io, che ero molto indaffarato con la mia telecamera, faticai a seguire l’evoluzione della gara, poi le posizioni si stabilizzarono con Hulme primo e Bandini secondo.
Certo è che allora vedere le Ferrari correre a Montecarlo era come vedere un cavallo imbizzarrito in mezzo ad un labirinto in miniatura. Si vedeva che era un guidare contro natura, la Ferrari era infinitamente più nervosa delle macchine inglesi, molto più agili e con un motore adatto per Montecarlo. Le inglesi erano sguscianti all’ingresso ed all’uscita di ogni curva, con le Ferrari era tutto diverso, molto complesso, titanico.
Hulme e compagnia buttavano la macchina in ogni tornante senza timore di perderne il controllo, Bandini e Amon si vedeva a occhio nudo che dovevano centellinare la traiettoria ogni volta, con un’attenzione ed un impegno ben maggiori dei rivali.
Arrivati circa a metà gara, decidemmo di scendere e di trovare un nuovo luogo per vedere la corsa da una diversa prospettiva.
Scendemmo, e per quanto ci potesse essere consentito di camminare, ci indirizzammo verso le tribune del porto, dove negli anni dopo sarebbero state costruite le Piscine. Eravamo quindi circa a metà del rettilineo che univa il Tabaccaio al Gasometro, e salimmo su questa tribuna dove c’era qualche posto libero.
Io d’istinto puntai la telecamera verso la chicane e cominciai a filmare.
Era tutto molto lineare, le posizioni erano cristallizzate, la giornata era lucente, e io ero felice di essere a Montecarlo.
Pensavo a questo, quando all’ingresso della chicane all’improvviso comparve come una palla di cannone, ad una velocita molto più elevata degli altri concorrenti, una vettura rossa. Subito, davanti al mio obiettivo, mi accecò un lampo di fuoco, la Ferrari in ribaltamento, il tutto accompagnato da un ripetuto sinistro metallico rumore di impatto.
Poi quel lugubre fumo nero cominciò ad alzarsi stagliandosi vero l’alto. Tutti cominciarono ad urlare “E’ Bandini! E’ Bandini”, vedevamo che il fuoco non si attenuava, le persone in chicane brulicavano di terrore. Ma era un terrore anche nostro che eravamo distanti, quella visione di morte si era propagata per tutto il circuito: chi non poteva vedere direttamente la chicane guardava chi era in grado di farlo, percepiva la nostra angoscia e ne riceveva in cambio una angoscia ancora maggiore. Ogni gesto era amplificato dal circuito stretto, dalle strade strette, dall’essere tutti pigiati l’uno contro l’altro, e la nostra ansia era anche per noi stessi che, per un riflesso condizionato dal nostro egoismo, pensavamo “che succederà ora, di altro, e a noi?”.
Qualche attimo dopo la batteria della telecamera si esaurì e impiegai qualche minuto per ricaricarla con la manovella, e ripresi a filmare la scena dell’incidente con il fumo che era intanto divenuto di colore biancastro per l’utilizzo degli estinguenti che comunque non avevano spento il fuoco sulle balle di paglia e sulla Ferrari.
Lo speaker dagli altoparlanti parlava in maniera concitata, non ricordo cosa dicesse, ma noi avemmo da subito la sensazione di assistere a qualcosa di veramente tragico, che poi ci riguardava direttamente in quanto italiani, testimoni di un dramma, solo italiano, che riguardava un pilota italiano su una vettura italiana...
Ovunque, nel circuito l’atmosfera divenne lugubre con quell’ansia che prese ad attanagliare tutti, ed io a pensare, a guardarmi intorno: “Vengo fino qui, a Montecarlo, a vedere un uomo morire?”.
Sapevamo bene che allora su queste vetture con il fuoco non c’erano speranze, sapevamo già, senza sapere nulla, solo con la visione dal vivo della scena, che Lorenzo era morto.
Al termine del G.P. entrammo sulla pista e ci dirigemmo a piedi verso la maledetta chicane, teatro di devastazione, parti di asfalto sciolto dal calore, odore di bruciato insistente, balle di paglia gettate in mare, quel colore bianco per terra in contrasto con il nero scuro della pista, la Ferrari bruciata. Nessuno parlava.
Salimmo subito dopo sulle nostre macchine per il ritorno a Torino. Eravamo affranti, e sulle strade c’era il traffico del rientro. Dopo circa una decina di minuti di viaggio, davanti a noi compare una vettura, credo una Giardinetta con targa straniera, con adesivo AUS sul posteriore. Io guardo al suo interno, era Jack Brabham che alla guida usciva da Montecarlo.
Poco dopo, per la stanchezza con la mia scassata MG tamponai anche la 500 del mio amico che mi precedeva. Riuscimmo comunque a riprendere la marcia, e fummo a Torino verso la mezzanotte del 7 maggio, distrutti di fatica e di dolore.
Qualche giorno dopo nel rivedere i fotogrammi del mio film, mi accorgo dell’importanza di ciò che ho filmato e mi reco presso la sede RAI di Torino a chiedere loro se può interessare il mio filmato.
La risposta è che a loro non interessa nulla.
Me ne ritorno a casa e penso: “maledetta Montecarlo!”. Mi veniva solo da piangere, poi pensai a Lorenzo e, in suo ricordo, non lo feci più.
Mia nota finale
Ringrazio Antonio Lojacono per i dettagli quel 7 maggio 1967, per la squisita gentilezza e la pazienza dimostratami.
Dopo avere trascritto i dettagli di quel giorno, mentre scrivevo e rielaboravo, chiudevo sempre gli occhi, realizzavo di essere lì, in un totale processo di immedesimazione. Ho immaginato che cosa avrei pensato in quel giorno, in quegli attimi concitati e ho cercato di trascendere il mio presente con quel momento passato, portando me stesso a Montecarlo, il 7 maggio 1967.
Fate conto che ci fosse, con loro tre, una quarta persona invisibile, una sorta di vostro inviato sul campo.
Ebbene sì, lo ammetto, tranne i dettagli strettamente tecnici, il particolare da inchiesta, parecchio sentimento è stato il mio, e quindi anche il vostro.