da 330tr » 20/04/2020, 16:52
Quarta e ultima parte
Poco prima di Fano, su un altro lungo rettilineo, Musso ci passò di nuovo, e non potemmo stargli dietro, ma più tardi, dopo Senigallia, lo vedemmo sul ciglio della strada e il nostro primo pensiero fu che aveva rotto la macchina. Tuttavia, abbiamo visto che stava alleviando la sua vescica, perché correre con quella piena significa rischiare gravi lesioni interne in caso di una leggera botta. Mentre ci avvicinavamo a Pescara, la pioggia cessò e un debole sole si sforzò di sfondare le nuvole, e per gli ultimi 20 minuti prima di raggiungere Pescara le strade erano quasi asciutte, ma eravamo ancora fradici. Di fronte vedemmo una Maserati da 3 litri e, sebbene stessimo a 5.600 giri al minuto nella marcia più alta, non guadagnavamo nulla sui rettilinei. Dopo alcune curve ci avvicinammo abbastanza da riconoscere l'elmetto giallo di Perdisa, ma nonostante il nostro mezzo litro in più non riuscimmo a superarlo sul rettilineo. Dopo alcune altre cittadine lo prendemmo e ci mettemmo in scia giusto a Pescara, lo passammo in frenata per la curva a S oltre il passaggio a livello, e arrivammo al controllo e al nostro primo rifornimento di carburante proprio di fronte a lui. Nonostante le due auto Maserati fossero arrivate insieme, i meccanici fecero un ottimo lavoro, entrambi i serbatoi della nostra auto furono riempiti rapidamente e ripartimmo. Al pit ci dissero che eravamo al quarto posto di classe, ma solo al sesto posto assoluto, il fantastico von Trips era secondo sulla sua 300SL e Castellotti era in testa.
A soli cinque minuti da Pescara, diretti verso le montagne abruzzesi, la pioggia è ricominciata, e ancora una volta ci furono cambi di occhialoni e pulizie da fare per il pilota, e avevamo Perdisa sulla coda. Fino a Popoli ci siamo passati e ri-passati, ma mentre salivamo sulle montagne sulla strada per l'Aquila Moss iniziò a pestare un po' di più con la Maserati e ci scrollamo di dosso Perdisa, anche se era ovvio che la 3 litri si stava dimostrando molto più facile da gestire sulla strada bagnata e scivolosa. Su una curva avevamo visto la 300SL di von Trips, fuori strada e girata nel nostro senso, con il frontale distrutto, e sperammo che non si fosse fatto male, mentre in montagna ci imbattemmo in un'Alfa Romeo 1.900 accartocciata malamente contro il muro di sostegno. All'Aquila la pioggia si fermò di nuovo, ma solo per pochi minuti, poiché quando iniziammo la discesa verso Rieti riprese, e questa volta sul serio, con le nubi quasi fino al livello della strada. Poco prima di raggiungere Rieti la strada scende lungo il fianco della montagna in una serie di curve abbastanza veloci fino al villaggio di Antrodoco, che si trova ai piedi dei monti. Durante la discesa subimmo uno slittamento veramente notevole, durante il quale era abbastanza ovvio che Moss aveva perso completamente il controllo, ma per pura fortuna la macchina smise di scivolare prima che avessimo esaurito la larghezza della strada. A solo quattro chilometri dalla conclusione di questa discesa ai piedi della montagna approcciammo una dolce S destra/sinistra seguita da una brusca curva a destra, tutta in discesa. Tutto stava andando bene, a parte la pioggia torrenziale, e quando Moss entrò nella curva a S in linea retta attraverso l'apice, frenò, pronto per la curva a destra. I momenti successivi sono stati tra i più pregni che abbia mai vissuto.
Per un momento fugace le ruote anteriori si bloccarono sulla strada sdrucciolevole, tutta l'adesione delle gomme venne persa e l'auto scivolò impotente attraverso la strada verso la banchina destra. Con uno schianto clamoroso colpimmo un muretto di pietra, lo scavalcammo e iniziammo a risalire la sponda di terra sulla destra della strada. Per fortuna la macchina stava ancora andando dritta e abbattemmo una recinzione di filo spinato, e poi mi resi conto che eravamo a circa 45 metri sopra la strada, a 45 gradi rispetto all'orizzontale, e ero convinto che l'auto si sarebbe rovesciata lateralmente , perché potevo vedere Moss molto sopra la mia spalla destra. L'istinto, o l'allenamento in motocicletta, mi ha fatto raggomitolare e tenere le braccia piegate di sotto, poi ho sentito l'automobile riprendere l'orizzontalità ancora una volta e ricordo di aver pensato con sollievo che dopo tutto non si sarebbe ribaltata. Alzai lo sguardo appena in tempo per vedere che ora stavamo precipitando oltre il terrapieno, poi ci fu uno scorcio fugace della strada e davanti a noi c'era un muro di sostegno in cemento bianco e nero con pali e traverse, sull'esterno della curva secca a destra. Mi sono chinato, c'è stato un forte botto, una scossa e la macchina si è fermata. Tutto taceva, tranne il clacson, che suonava forte. Con un certo sollievo mi resi conto che almeno non eravamo in fiamme, poiché ero ben consapevole del grande serbatoio di benzina accanto al mio sedile. Come ci fermammo sentii Moss che urlava "Fuori, presto", e lo vidi saltare dalla macchina. Sono uscito velocemente e sono caduto di faccia tra gli arbusti e l'erba, e insieme ci siamo allontanati dal relitto, nel frattempo l'unico suono era la lunga nota singola del clacson elettrico e lo scroscio costante della pioggia battente.
Ci siamo assicurati che nessuno di noi fosse ferito e poi con cautela siamo tornati alla povera Maserati malconcia e abbiamo spento il circuito elettrico principale, che ha fermato il suono del clacson lasciando solo il rumore della pioggia. L'auto si era appoggiata di muso contro un albero a circa 45 metri dalla strada, ma lungo un pendio erboso inclinato a 60 gradi. Mentre risalivamo sulla strada, sentimmo avvicinarsi le macchine e vedemmo passare Musso e Perdisa, e facemmo cenno loro che stavamo bene. Quindi siamo tornati indietro e abbiamo esaminato il percorso del nostro volo incontrollabile, dal momento in cui abbiamo perso l'aderenza delle ruote anteriori. Abbiamo scoperto che il primo muro che avevamo colpito era alto circa 30 centimetri ed è stato su quell'impatto che ho capito che la nostra Mille Miglia era finita. Poi abbiamo guardato le tracce lungo la sponda a 45 gradi e ci siamo resi conto che se avessimo rallentato non avremmo mai percorso l'intera lunghezza e saremmo sicuramente finiti a testa in giù sulla strada. Alla fine del terrapieno avevamo superato un muro di 90 cm ed eravamo entrati a contatto con la barriera all'esterno della curva senza toccare la strada, poiché nessuno di noi ricordava di aver sentito un urto mentre atterravamo. Quindi Moss sentì che aveva un graffio sulla guancia destra e scoprimmo che il filo spinato gli aveva lasciato una linea sottile appena sotto l'occhio destro. Quando abbiamo trovato il parabrezza, il vetro dell'orologio che porta al polso destro e anche il vetro degli occhiali e l'elmetto graffiati, ci siamo resi conto di quanto fosse stato vicino a ferirsi seriamente. Poi abbiamo scrutato oltre il bordo della strada e ci siamo guardati immediatamente l'un l'altro, pensando entrambi la medesima cosa. La Maserati era poggiata col muso contro l'unico albero per molti metri intorno, e oltre l'albero il pendio di 60 gradi scendeva per circa cento metri fino al letto di un fiume disseminato di massi, con niente di più se non piccoli cespugli lungo la scarpata.
Fu in quel momento che mi ricordai della ballata "Alberi".
L'intero incidente era iniziato a circa 110 km/h e aveva impiegato circa 200 metri per esaurirsi, e il fatto che nessuno di noi avesse qualcosa di rotto e nemmeno contusioni si spiega solo con uno di quei colpi di fortuna che lasciano in vita alcune persone.
Non c'era niente che potessimo fare per l'auto, quindi, recuperando occhiali di ricambio, il nostro road-book e una banana solitaria, partimmo per andare a piedi verso Antrodoco, circa 3 chilometri e mezzo più in basso lungo la montagna. Proprio in quel momento sentimmo avvicinarsi una Ferrari, e poteva trattarsi solo di Fangio, quindi ci fermammo sul lato della strada e gli feci il segno "pollice su" e, sia benedetto il suo caro vecchio cuore argentino, si fermò per chiedere se fosse tutto a posto e ci offrì un passaggio sul sedile passeggeri fino alla città successiva. Con un cenno di ringraziamento e saluto gli ricordammo che teoricamente era lì per gareggiare, ma sorrise e scrollò le spalle, indicandoci che non aveva fretta e che sarebbe andato "a passeggio" fino alla fine. Fangio è troppo vecchio e saggio per buttarsi in condizioni impossibili, ovviamente non aveva alcuna intenzione di farsi male. "Il Maestro" sa quando e dove andare veloce. Abbiamo continuato a sguazzare lungo la strada e dopo un po' abbiamo incontrato alcuni degli abitanti del luogo che salivano, avendo visto l'auto apparire oltre il bordo della banchina dal basso.
Il nostro ritorno a Brescia oltre che un processo lungo e noioso, per mantenere un senso di umoristica proporzione, sarebbe stato pure una sofferenza.
Un concorrente su un'Alfa Romeo 1900 si fermò e ci diede un passaggio fino alla periferia di Roma, dove uno spettatore ci portò con una Fiat 1400 in un hotel. Apparivamo entrambi inzaccherati e tremanti dal freddo e dall'umido, e il direttore dell'albergo fu piuttosto sorpreso dalla nostra richiesta di una camera e un bagno all'ora di pranzo. Alla fine la nostra circolazione riprese a scorrere, mangiammo e chiamammo l'agente Maserati a Roma. In breve tempo arrivò con dei vestiti asciutti e, imballando i nostri indumenti da corsa fradici in carta da pacchi, prendemmo un taxi per la stazione. Mancavano cinque minuti prima che un espresso partisse per Bologna e mentre guardavo Stirling Moss in piedi alla biglietteria che comprava due biglietti per Bologna, con indosso un abito e un impermeabile in prestito, con un pacchetto legato con lo spago sotto un braccio, e il suo caschetto e gli occhialini sotto l'altro, scoppiavo dalle risate, perché questo era davvero il modo più divertente per finire una Mille Miglia, soprattutto ricordando come avevamo terminato la gara dell'anno scorso. Sul treno poi apprendemmo che Castellotti aveva vinto la gara e lo elogiammo per l'eccezionale coraggio e abilità.
Entro le 9 di sera eravamo a Bologna a telefonare al meccanico di Moss, Alf Francis, che stava a Modena e che ci venne a prendere con la sua Vanguard. I nostri problemi non erano ancora finiti, perché la pioggia persistente aveva gonfiato i fiumi e la strada principale era allagata. La polizia ci ha fatto fare una deviazione di 30 chilometri che terminava su un ponte che era stato spazzato via, quindi siamo tornati sulla strada principale e dopo un sacco di urla e strepiti ci siamo tuffati attraverso le inondazioni. Facendo turni alla guida siamo tornati a Brescia alle 2,30 del mattino, e siamo strisciati in albergo e quindi a letto sentendoci felici di essere vivi ma così stanchi che è difficile crederci.
Fine