Sport Prototipi anni '60-'70 e Gruppo C

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da Mclaren7C » 12/11/2008, 17:29

[quote="Powerslide"]
I racconti di Pedro sono bellisimi e a questo proposito pregherei Uitko e Mclaren7 di volerli riunire nella sezione "Articoli", perchè è un peccato non siano impaginati come meritano.

Sempre che lui sia d'accordo visto che gli stiamo ciulando il libro senza pagarne i diritti  :D
[/quote]

Prima di tutto non posso che ringraziarti per il tuo ennesimo spaccato di vita che riesce ad emonzionarmi.


Accetto di buon grado la tua proposta, a breve io ed Uitko ci metteremo a lavoro anche per una sezione dedicata a Pedro.  :thumbup1:
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da Pedro59 » 12/11/2008, 17:51

[quote="Mclaren7C"]
[quote="Powerslide"]
I racconti di Pedro sono bellisimi e a questo proposito pregherei Uitko e Mclaren7 di volerli riunire nella sezione "Articoli", perchè è un peccato non siano impaginati come meritano.

Sempre che lui sia d'accordo visto che gli stiamo ciulando il libro senza pagarne i diritti  :D
[/quote]

Prima di tutto non posso che ringraziarti per il tuo ennesimo spaccato di vita che riesce ad emonzionarmi.


Accetto di buon grado la tua proposta, a breve io ed Uitko ci metteremo a lavoro anche per una sezione dedicata a Pedro.  :thumbup1:
[/quote]

Grazie per l'attenzione, mi fa soprattutto piacere che l'argomento interessi...ancora.
:001_rolleyes:
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da madfilt » 12/11/2008, 18:24

Per quanto mi riguarda interessa, eccome!
Complimenti sinceri per il racconto-cronaca, davvero un ottimo lavoro.

L' ho letto con grande piacere e vivo interesse.
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da Jackie_83 » 12/11/2008, 20:07

Pazzesco!  :o

Questo topic merita di essere incorniciato in toto, discussioni simili e così appassionanti le trovi (forse) solo sul forum di Autosport inglese

Un'unico appunto...Power, visto che avevi il casco con te potevi fare un salto in macchina a prenderlo?  :D
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da gillesthegreat » 12/11/2008, 20:17

power so che non l'hai spinta al massimo, ma quali erano le sue velocità di punta??
PER SCOPRIRE IL LIMITE DEVI PRIMA PASSARLO
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da Pedro59 » 12/11/2008, 22:50

Prosegue la saga del Mondiale Marche '70... :laugh:
_________________

LA BICICLETTA

Dopo Monza, nonostante nulla fosse deciso, ricordo che le speranze di conquistare, anzi di riconquistare, il Mondiale Marche si erano notevolmente affievolite.
Sensazioni.
Percezioni, più che qualcosa di dichiarato da qualcuno.
Fatto sta che un ragazzino come me non ci credeva più.
Oltretutto quella che si annunciava dopo quel 25 aprile sarebbe stata un'estate calda per il tifo rosso: imparammo tutti il nuovo termine "boxer" e anche i giornali sportivi più dichiaratamente calciofili e "motorofobi" ospitarono trafiletti con la foto di un ingegnere dall'aria spiritata che cercava di spiegare la fondamentale differenza fra un motore 12 cilindri boxer e un V12 180°.
Dubito che qualcuno l'abbia mai capito, ma non importava: la F1 312B vinceva, e questo era più che sufficiente, dopo tante amarezze.
L'interesse, inevitabilmente, nella seconda metà della stagione si spostò così verso le ruote scoperte.
Accaddero, però, anche altre cose interessanti nella nostra storia.
Dopo Monza si corse la Targa Florio, ma qui occorre fare un passo indietro, anzi due.
Il primo è di qualche anno.
Fine stagione 1967, la Porsche dominava l'Europeo della Montagna con due assi, Mitter e il giovanissimo Stommelen, ma soprattutto grazie ad un prototipo dalle caratteristiche estreme.
La 909 (sigla non ufficiale e poco nota) era più famosa con il nome "Bergspyder": motore 8 cilindri 2 litri, oltre 270 HP "dichiarati" e prima di pensare che non erano poi tantissimi, bisogna considerare che pesava qualcosa meno di 400 Kg, pilota compreso.
Aveva la carrozzeria di vetroresina, ridotta ai minimi termini, un serbatoio microscopico (c'è chi diceva quindici litri...) e il posto di guida molto avanzato che la rendeva decisamente inconsueta, anzi piuttosto bruttina.
Nessuno se ne ricordava più anche se, su una sua evoluzione, a Rossfeld, era scomparso l'anno dopo il grande Scarfiotti.
Era tornata in mente a qualcuno, qualche mese prima, quando a Weissach aveva fatto dei test una macchina insolita, tanto spartana nelle forme, quanto essenziale nei parametri costruttivi.
Non era neppure verniciata, ed era davvero brutta.
Fece balenare anche qualche sorriso agli appassionati ferraristi e qualcuno la soprannominò, non senza ironia, "la bicicletta".
Nessuno, in quei giorni, avrebbe pensato che quella brutta macchinetta sarebbe stata l'asso nella manica della Porsche per i tracciati sui quali la 917 poteva essere vulnerabile perché fra le sue tante doti non aveva certo quella della maneggevolezza.   
Per la Targa, a dire il vero, la Porsche un tentativo lo fece e le strade delle Madonie, aperte al traffico, furono battute da una  917 con i colori della Salzburg.
Al volante c'era Hans Hermann che dopo un paio di giri estenuanti dichiarò che : -"Correre la targa con la 917 era come andare al supermercato con un panzer"-
La "bicicletta", quella macchinetta brutta e sgraziata, era la pronipote della 909 "bergspyder".
Ora si chiamava 908/3, ovvero "terza versione della Porsche 908", nella classificazione della Porsche: motore 8 cilindri, raffreddato ad aria, 360 HP, per un peso di circa 540 Kg (più o meno quanto una F1...) poco più di 1,5Kg/HP di rapporto peso/potenza (quello della 917/4500 era di circa 1,4 Kg/HP) .
Contro questo avversario da scoprire, Maranello, dopo tanti ripensamenti, spedì alla Targa una sola 512S per Giunti e Vaccarella.
Il Professore ci mise del suo per convincere il "Drake".
Mi ha raccontato che per nessun motivo il Commendatore voleva esporsi ad una figuraccia, ma "Ninni" aveva vinto una Targa con la P2 ed era convinto di poter ripetere l'impresa con la 512 ed alla fine l'ebbe vinta nonostante un clima di sfiducia quasi palpabile nelle possibilità di affermazione.
Di quella Targa resta un'immagine incredibile in cui si vede Ninni Vaccarella con la sua 512 sfiorare la folla festante, assiepata al bordo della strada, durante l'attraversamento di un paese, forse Collesano.
"Quella" - mi ha confessato una volta a telefono - "è stata una delle  mie gare più belle alla 'Targa'. La 512 era una macchina eccezionale ed a noi mancò soprattutto un pizzico di buona sorte..."
Nonostante la grande corsa di Vaccarella (ben coadiuvato da Giunti) la Ferrari non andò oltre il terzo posto; il peso superiore e il conseguente maggior consumo di benzina e gomme la costrinsero inevitabilmente a un numero di fermate superiore rispetto alle imprendibili "biciclette".
Vinsero  Siffert e Redman con la 908/3 con i colori della  Gulf-Wyer, precedendo i compagni di scuderia Rodriguez e Kinnunen con un modello identico.
Una terza 908/3, sempre con i colori Gulf-Wyer, affidata  al rallista Waldegaard ed a Dick Attwood finì al quinto posto, completando il trionfo.
Curiosamente, come raccontano Wyer e Horsman nelle loro memorie, in quella occasione le 908/3 arrivarono direttamente da Zuffenhausen in Sicilia, dipinte con i colori Gulf in varie fantasie, ma senza passare dalla sede del Team in Ighilterra ed a Cerda, Wyer e Yorke erano presenti solo come "osservatori" esclusivamente per garantire i propri piloti: quelle "biciclette" erano davvero Porsche ufficiali a tutti gli effetti. 
Fu quello il gran giorno di Leo Kinnunen, fin lì (e da lì in poi) vissuto all'ombra del grande Pedro Rodriguez.
Sfruttando le sue doti di specialista di rallies, fece la sua gara come fosse una "prova speciale" facendo segnare il giro più veloce in più di un'occasione e fu merito suo la conquista del secondo posto grazie ad una rimonta su Giunti .
Alla Ferrari rimase la soddisfazione di aver mostrato che la 512S era senz'altro più versatile della sua grande avversaria, a Ninni Vaccarella quella di aver fatto un incredibile  secondo tempo in prova e l'illusione di aver convinto Enzo Ferrari che, per una volta, aveva avuto torto.
Questa al Professore durò il tempo di incontrare nuovamente il Drake che, appena lo vide - lui che non gli aveva detto nulla neppure dopo il trionfo di Le Mans nel '64 - si avvicinò e gli sorrise dicendo  :-"Ha visto Vaccarella che avevo ragione a voler far correre la 512 anche alla Targa Florio !"- 
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da Powerslide » 13/11/2008, 0:33

[quote="Jackie_83"]

Un'unico appunto...Power, visto che avevi il casco con te potevi fare un salto in macchina a prenderlo?  :D

[/quote]

Dopo aver detto no per almeno tre volte, con che scusa potevo dire di essermi portato dietro un casco!  :-[
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da Powerslide » 13/11/2008, 0:36

[quote="gillesthegreat"]

power so che non l'hai spinta al massimo, ma quali erano le sue velocità di punta??

[/quote]

La Ferrari dava 320 per la normale e 340 per la "coda lunga".

Non ho idea di che rapporti avesse sotto la "mia", ma penso ad occhio di non aver mai superato i 250
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da Powerslide » 13/11/2008, 0:59

[quote="Pedro59"]

... imparammo tutti il nuovo termine "boxer" e anche i giornali sportivi più dichiaratamente calciofili e "motorofobi" ospitarono trafiletti con la foto di un ingegnere dall'aria spiritata che cercava di spiegare la fondamentale differenza fra un motore 12 cilindri boxer e un V12 180°.
Dubito che qualcuno l'abbia mai capito, ma non importava...

[/quote]

Per chi ancora non lo sa e a chi interessa.

Il motore a V ha 2 bielle montate sulla stesso perno di manovella: sono affiancate ed una comanda il pistone della bancata di sinistra, l'altra quella di destra.

L'angolo della V dovrebbe in teoria essere dato dalla divisione di 720° per il numero dei cilindri (6 cilindri = 120°;  8 = 90°;  12 = 60°; ecc.) per diminuire le vibrazioni. In teoria perchè poi entrano in gioco altri fattori, come l'ingombro in altezza o come l'inclinazione tra di loro delle manovelle dell'albero motore (l'attuale V8 90° delle F1 dovrebbe essere bilanciato, ma, causa l'albero motore piatto - con tutte le manovelle sullo stesso piano - ha dato molti problemi d'equilibratura).


Un motore a V di 180° (come quello della Ferrari) è impropriamente chiamato boxer perchè la configurazione con quel nome imporrebbe una manovella per ogni biella: ne dovrebbe avere 12 e non 6, come era invece quello di Forghieri.

I 6 cilindri Porsche sono invece dei veri boxer: a dispetto di una migliore equilibratura, sono però più ingombranti e pesanti.

Vero boxer anche il 12 della 917, realizzato unendo due 6 cilindri. 
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da eddiesachs » 13/11/2008, 14:14

Vi segnalo un sito “pazzesco” che tratta le sport prototipo dal 1968 al 1972:
http://www.imca-slotracing.com/AS70LM.htm

Nota forse superflua: se cliccate su una delle otto piccole foto poste sotto l’intestazione
1970: PORSCHE 917 vs FERRARI 512S
vi appaiono in dettaglio altre pagine, precisamente:

Autosport 1972 [storia del mondiale marche 1972]
Porsche 917 (1969)
Porsche 917 (1970)
Ferrari 512S (1970)
Ferrari 312P (1969-70)
Porsche 908 (1968-70)
Matra MS650/MS660 (68-70)
Lola T70 Mk3GT & Mk3B

Buon divertimento !
eddiesachs
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da Pedro59 » 14/11/2008, 12:57

Il sito segnalato da Eddiesachs è veramente ottimo, specialmente per le fotografie.
Lo uso spesso ed è uno dei pochi a raccontare la versione del "pasticcio" ai box Ferrari nella 1000 Km di Monza del '70.
In Italia la "stampa di regime" (Annuario Ferrari in primis) parlò solo di un principio d'incendio, liquidando la faccenda in poche righe.
Per i risultati statistici vi segnalo invece quest'altro sito che, se già non lo conoscete, credo possa soddisfare qualsiasi curiosità:

www.teamdan.com/archive/almanac.html

Dopo tante cronache, anche adrenaliniche :scared:, almeno per me che le racconto, lasciamo un attimo la grande stagione del Mondiale Marche 1970, forse una delle più belle di sempre e guardiamo dentro ad altre storie che non sono, ahi, ahi, tutte belle ed edificanti  ???.

VOLARE, OH, OH

Parlando della 917 e della sua evoluzione abbiamo visto come i problemi che l'avevano portata ad essere scartata da un campione come Jo Siffert e che avevano lasciato tiepidi anche i tecnici della Porsche circa un suo futuro vincente erano stati risolti da John Horsman, un oscuro ingegnere che aveva imboccato per trovare la soluzione una strada nuova, quella dell'aerodinamica.
Fra la metà degli anni '60 e quell'inizio degli anni '70 l'aerodinamica aveva preso campo dopo essere stata quasi ignorata per anni.
Solo la Mercedes, nel '55, aveva percorso la strada della scienza aeronautica, ma non per migliorare le prestazioni con la diminuzione della resistenza all'avanzamento o l'aumento della tenuta di strada, bensì per migliorare l'efficacia frenante.
Nella tragica Le Mans del '55 le tre 300SLR, una delle quali, quella di Levegh-Fitch, sarebbe stata coinvolta nel peggior incidente della storia dell'automobilismo sportivo, erano equipaggiate con un "freno aerodinamico", in pratica una paratia azionata dal pilota che, alzandosi alle spalle dell'abitacolo, si comportava come una sorta di paracadute. 
Fangio, nelle sue memorie, ne ha parlato come di una soluzione molto efficace, ma il ritiro della Mercedes dalla gare e l'avvento dei freni a disco introdotti dalla Dunlop per la Jaguar  la resero una curiosità superata.
L'aerodinamica, all'epoca, era guardata, nel migliore dei casi, con sospetto.
Enzo Ferrari, che non aveva peli sulla lingua, la definiva -"buona per chi non sa costruire i motori."-
Un ingegnere aeronautico con i baffetti, che all'epoca sbarcava il lunario nel mondo delle corse, la prese più sul serio e cominciò a costruire macchine dalla sagoma inconsueta.
Si chiamava Colin Chapman ed era un genio.
La Vanwall, soprattutto.
La sua linea inconfondibile era solo figlia di un'intuizione perché all'epoca non c'erano mezzi di calcolo per elaborare, con costi compatibili con applicazioni non militari, i complessi modelli matematici e di gallerie del vento nemmeno se ne parlava.
Anche il genio Colin presto si arrese, percorrendo un'altra strada, quella della semplificazione e della leggerezza, dell'estremizzazione del concetto di resistenza meccanica, ovvero, in estrema sintesi: "un pezzo è dimensionato bene quando non si rompe più".
Però si era rotto prima e molte volte qualcuno ci aveva rimesso la pelle o ci era andato molto vicino.
Girava all'epoca una battuta fra i piloti delle gare in cui partecipavano le Lotus 19 e poi le 23:-"Sai con quante ruote parti, ma non quante ne avrai alla fine:"-
Colin Chapman, per il momento si occupa d'altro e l'aerodinamica riappare alla metà degli anni '60.
La Ford è scesa in campo, anzi in pista nelle gare Sport-Prototipi, il suo primo modello che deriva dalla Lola di Eric Broadley, si chiama GT40 e - con un certo grado di approssimazione - viene definito "progettato al computer".
La carrozzeria è estremamente filante, a suo modo bella, sicuramente con una linea innovativa, pulita.
Nessuno spoiler posteriore, particolare già utilizzato dalla Ferrari.
Quando la provano a Le Mans, nel '64, il povero Schlesser rischia la pelle proprio a "Mulsanne straight" quando la misteriosa scienza dell'impalpabile si prende una rivincita sui designer.
Risolve tutto Phil Remington, capo meccanico della Shelby (la squadra corse della Ford) che sull'altra GT40 monta in fretta e furia un piccolo profilo con un foglio d'alluminio fissato con i rivetti: è il primo spoiler della Ford, da allora tutti i prototipi americani avranno quella caratteristica linea della coda.
La Ferrari, per la verità, qualcosa d'altro aveva pur fatto sui suoi prototipi "barchetta".
Nel '62 le Dino e la 330 TR vittoriosa con Gendebien-Phil Hill a Le Mans, hanno dietro l'abitacolo una struttura che convoglia il flusso d'aria, una sorta di carenatura, di alettone embrionale...molti tuttavia lo considerano una sorta di evoluzione del roll-bar, con soli scopi di sicurezza.
Di sicuro alla sua efficacia credono in pochi, infatti quando la 330-TR, l'ultimo prototipo Ferrari con il motore anteriore, viene venduta a Chinetti per correre in America con la NART, il plurivincitore di Le Mans per prima cosa la elimina e la sostituisce con la classica struttura in tubi d'acciaio saldati al telaio.
La storia si ripeterà: la Ferrari utilizza questo "spoilerone" su tutta le "barchette" della serie P (250P, 275P e P2, 330P e P2) che, una volta passate alla NART lo perderanno.
Sono comunque tentativi quasi artigianali, che compie anche la Ford che nel '65 sulla MkII combina a tal punto spoiler anteriori, posteriori e pinne che alla fine il prototipo verrà soprannominato "batmobile".
Intanto Jim Hall, un altro genio se possibile ancora più anticonformista ed innovativo di Chapman, inventa la prima "appendice aerodinamica" vera e propria. E' mobile, a geometria variabile, e viene ribattezzata "aerofoil", in italiano "alettone". L'auto che l'impiega è la Chaparral 2F, del '67, che all'inizio appare veramente bizzarra, ma che poi suggerisce a tutti che quella dell'aerodinamica potrebbe davvero essere la nuova via.
Nuova via per percorrere la quale tuttavia si procede senza un percorso certo dettato da profonde conoscenze teoriche o da riscontri sperimentali in laboratorio, ma per tentativi.
Non esiste ancora per l'aerodinamica l'equivalente di un banco di prova come per i motori, c'è solo l'esperienza diretta sulla pista, "senza rete".
In molti casi si parte e si scopre che il comportamento reale é sostanzialmente diverso da quello previsto, quando non è addirittura opposto, nascono ali fisse, mobili, pinne, derive, e altre appendici di ogni forma e dimensione.
Purtroppo questi tentativi sono anche pericolosi, a volte destinati anche a epiloghi tragici soprattutto perché l'aerodinamica é considerata tutto sommato poco influente rispetto alle classiche regolazioni meccaniche (delle sospensioni e dell'assetto) sul comportamento della vettura.
E' il caso tristissimo di un giovane e promettente pilota francese, Roby Weber, chiamato a collaudare con Jaussaud le Matra alla loro prima uscita nei "Le Mans trials", un appuntamento fondamentale nell'automobilismo di allora.
Si trattava di un fine settimana (a volte allungato perché partiva dal giovedì) situato qualche mese prima della 24 Ore nel quale i team avevano a disposizione il circuito per i test.
Quell'anno, il '67, la Matra si presentava con ambizioni di vittoria nella propria categoria (quella assoluta era un affare esclusivo fra Ferrari e Ford) con due modelli: uno tradizionale con un motore Ford da 4,7 litri, un altro con un'aerodinamica più sofisticata e motore BRM.
Jean Pierre Jaussaud era incaricato dei test su quest'ultima, ma non ne cavava nulla di buono. Naturalmente tutti gli interventi venivano fatti sulle sospensioni, cercando di risolvere i problemi di beccheggio e rollio lamentati sulle Hunaudières (il nome francese di Mulsanne straight).
Ad un certo punto il prototipo, dopo l'ennesima modific, venne fatto provare a Weber.
Non terminò il suo test, volò letteralmente fuori pista alla "grande courbe", quella piega velocissima, quasi impercettibile, sulle Hunaudiéres prima di Mulsanne, quel tratto che gli inglesi chiamavano "Mulsanne kink".
Weber non ha scampo, muore sul colpo.
Aveva ventitré anni e si sarebbe dovuto sposare due settimane dopo.
L'ipotesi più probabile sulle cause della tragedia sono legate al dechappamento di uno pneumatico, dovuto al surriscaldamento provocato dalle sollecitazioni imposte dalle regolazioni sulle sospensioni, "estremizzate" per eliminare i difetti di stabilità che avevano invece origine negli effetti aerodinamici non compresi dagli ingegneri francesi.
Proprio la Matra sarà la prima ad usare l'aerodinamica per la ricerca delle prestazioni, spinta anche dalle esperienze missilistiche maturate in campo militare e civile.
Ma di questo parleremo la prossima volta, con una storia  che ha dell'incredibile e che sono certo non mancherà di sorprendervi ed appassionarvi .
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da sundance76 » 15/11/2008, 13:54

Sempre appassionante questo topic che mi fa sentire il vento sulla faccia!!

Segnalo qualcosa che potrebbe interessarvi: in edicola sul numero di novembre del mensile "Ruoteclassiche" a richiesta c'è un DVD restaurato con la "Storia della 24 ore di Le Mans"...
Ecco qui:
http://www.quattroruote.it/autoclassiche/automoto/notizie/visualizza_articolo.cfm?sez=Notizie&codice=158492
Ultima modifica di sundance76 il 15/11/2008, 13:56, modificato 1 volta in totale.
"Chi cerca di conoscere il passato capirà sempre meglio degli altri il presente e il futuro, e non soltanto nel nostro piccolo mondo di effimere quanto amate frenesie corsaiole." G. C.

https://www.youtube.com/watch?v=ygd67cDAmDI
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da Pedro59 » 18/11/2008, 1:23

Questa che trovate di seguito è una storia incredibile, ma vera, ritoccata solo il minimo indispensabile per renderla scorrevole.
E' la storia di Henri Pescarolo e della sua ultima vittoria.
Segue il filo logico degli ultimi "pezzi", ma è un po' più lungo ed ha un lieto fino oltre trentacinque anni dopo il suo inizio.
Comincia infatti l'anno dopo l'incidente in cui aveva perso tragicamente la vita Roby Weber e si conclude un paio d'anni fa...


UN CONTO IN SOSPESO

Fra le protagoniste dell'aerodinamica una delle più attive nella ricerca e nella realizzazione, in quegli anni  a cavallo fra i '60 e i '70, era senza dubbio la Matra.
Le soluzioni della casa francese all'inizio erano convenzionali, poi, dopo la grande prova del coupé  "630" alla 24 ore di Le Mans del '68, cominciò la sperimentazione vera e propria.
Nacque così la "640" che aveva una linea rivoluzionaria, mai vista prima, basata su soluzioni estreme che promettevano prestazioni eccezionali, soprattutto velocistiche, riducendo sensibilmente gli effetti del "gap" di potenza nei confronti di Porsche e Ferrari.
Oltretutto il V12 che derivava da quello di F1 era uno dei propulsori più interessanti e prometteva di migliorare ancora.
Dal punto di vista della carrozzeria la Matra cambiò decisamente forma.
Anni prima la Porsche aveva già presentato modelli con profili filanti a coda lunga, a partire dalle 906 per finire alle 908, ed anche la "640" francese seguiva questa scuola di pensiero, ma la sua forma caratteristica mostrava di derivare da  due code raccordate con un alettone e due pinne verticali.
L'aveva disegnata un ingegnere aeronautico "puro", Robert Choulet, pensando al circuito di Le Mans e solo a quello, e ne era venuta fuori quella che assomigliava più a una "concept-car" che a una macchina da corsa.
Lagardère, l'ambizioso patron della Matra, non nascose la sua soddisfazione, uscirono disegni su tutte le riviste specializzate e sui giornali sportivi, in breve attorno alla "640" si addensarono le aspettative di "grandeur" di tutta la Francia che sognava di vedere una "voiture bleu" nuovamente vittoriosa alla 24 Ore di Le Mans.
Ai test di Le Mans, a marzo, la nuova Matra non era ancora pronta, e la casa francese partecipò solo con un modello convenzionale, una "barchetta".
La delusione durò poco, un mese dopo la casa francese organizzò, sempre a Le Mans, una sessione di test privati, con tutto il circuito per sé senza troppi occhi indiscreti a scrutare il nuovo prodigio.
Per quei test, nell'aprile del '69, la "640" venne affidata ad Henri Pescarolo, detto "Pescà", divenuto popolare dopo la grande prova alla 24 Ore dell'anno prima quando aveva guidato per ore sotto la pioggia con il tergicristallo guasto, ed al suo compagno in quell'impresa, il biondissimo Servoz-Gavin.
Quel giorno la "640" fece di fatto il suo debutto in un vero circuito, prima di allora aveva solo fatto qualche chilometro sulla pista dell'aeroporto di Marigny,  dove era stata presentata alla stampa.
"Pescà", che attendeva da tempo quel momento decisivo per capire se davvero quella macchina "idealizzata" potesse anche diventare vincente, parte per primo.
Indossò il casco, confabulò con i meccanici, poi scivolò nell'abitacolo.
Guardandola attentamente la "640" aveva le forme inconsuete di una macchina da record, esageratamente allungata, con una cupola che copriva l'abitacolo ridottissimo.
Poiché si trattava di un debutto assoluto, Martin, il DS della Matra, si raccomandò di partire piano, senza cercare subito le prestazioni ed il tempo.
"Pescà" partì  con la macchina "neutra", senza regolazioni sulle appendici aerodinamiche, doveva fare solo qualche giro e poi fermarsi per dare indicazioni sul comportamento della vettura e provare di nuovo con gli eventuali aggiustamenti all'assetto ed all'aerodinamica.
Accelerò piano sul rettifilo dei box, provò a sentire lo sterzo:-"Mi sembrava leggero"- dirà - "ma non volevo dare giudizi affrettati. Mi sentivo bene e non mi sarei cambiato con nessuno al mondo..."-
Quando imboccò le Hunaudières, e il V12 prese giri, la "640" sfiorò i 250Km/h.
"D'un tratto"-racconterà Pescarolo-"mi resi conto del silenzio assoluto, o meglio di ascoltare solo il suono inconfondibile, pulito, bellissimo del V12 Matra. Nessun rumore di rotolamento, nessuna vibrazione. Ed in quell'istante preciso pensai che era una macchina eccezionale..."-
Fu proprio un istante, un battito di ciglia: la Matra 640 aveva superato un'ondulazione della strada e, semplicemente, si era staccata dalla pista, per non tornare più a posarvisi.
Come un caccia al decollo aveva seguito il tracciato del circuito, come fosse la pista di un aeroporto, per qualche centinaio di metri con il motore imballato che urlava con un suono lacerante, poi si era impennata andando a schiantarsi a terra, a bordo pista.
Una colonna di fumo avvertì i tecnici della Matra che qualcosa era andato storto.
Quando arrivarono i soccorritori si trovarono davanti una scena da disastro aereo, più che da incidente automobilistico: i tronchi dei piccoli alberi che in quel punto disegnavano la pista erano tranciati all'altezza di un metro e mezzo da terra, pezzi della carrozzeria e del telaio, anneriti dal fuoco, si trovavano disseminati nel raggio di qualche centinaio di metri.
Fra i rottami, miracolosamente, Pescarolo era ancora vivo.
Sarebbe sopravvissuto, ma avrebbe portato per sempre sul viso i ricordi di quell'incidente: da quel giorno la barba che portava di solito sarebbe  servita per nascondere le cicatrici, eredità incancellabile dell'incidente assieme al ricordo dei mesi passati in ospedale per curare le fratture agli arti e le lesioni alla colonna vertebrale.
Qualcuno pensò che Henri Pescarolo non avrebbe più gareggiato, nessuno poteva essere così pazzo di tornare a correre dopo aver sfiorato così da vicino la morte.
Evidentemente non conoscevano bene "Pescà", e la sua grinta.
Pescarolo, dopo quasi sei mesi di cure fra letto di ospedale e terapie di riabilitazione tornò a correre ed, incredibilmente, a vincere.
Al suo rientro era ancora claudicante, ma con una Matra "tradizionale", la "650", in coppia con Beltoise vinse la 1000 Km di Parigi sul circuito di Monthléry.
La "640", invece, non verrà mai utilizzata in gara, e restò nel ricordo degli appassionati come una curiosità, per alcuni, un rimpianto per altri.
Fra questi ultimi c'era Pescarolo
Non era, tuttavia, finita qui, quella macchina era stata il suo sogno, ed il sogno di tanti altri.
Di troppi perché non se ne parlasse più.
Tanti anni dopo verrà ricostruita fedelmente e "Pescà" tornerà a provarla su un circuito privato.
Lo avevano invitato per cortesia, era in fondo un atto dovuto invitare a vedere la Matra "640" l'unico pilota che l'aveva guidata.
Quando lo chiamano, risponde subito di sì, anzi vuole essere lui al volante.
Sente di doverlo farlo per saldare l'ultimo debito: ha oltre sessant'anni, ha vinto diverse volte a Le Mans, è diventato a sua volta un costruttore vincente, ma non può resistere alla voglia di provare di nuovo quella macchina con la quale era andato ad un soffio dall'ammazzarsi.
Può sembrare pazzesco a chi non è stato un pilota, non a Pescarolo che si stupisce del risalto che viene dato alla faccenda
Stavolta i test saranno completati.
La macchina modificata, con Henri Pescarolo al volante, raggiunge quasi i 290 Km/h senza decollare.
Inutile che vi dica che non è stata una cosa semplice, che non tutto era filato liscio.
Per garantire la sicurezza del pilota la "640" ricostruita era stata dotata di sensori che segnalavano con spie luminose qualsiasi movimento dell'avantreno.
Durante i primi tentativi le luci rosse si accendevano subito e allora la prova veniva sospesa per modificare qualcosa e ricominciare.
Alla fine i tecnici capiscono che, per eliminare queste instabilità, la parte anteriore deve essere abbassata moltissimo, alla ricerca della massima superficie deportante.
Questo, però, avrebbe anche comportato la necessità di escludere i freni anteriori, perché in caso contrario l'avantreno avrebbe potuto impuntarsi sull'asfalto al momento della frenata.
I tecnici, giunti a questa conclusione decidono che non è il caso di andare avanti e lo comunicano al pilota: il gioco è finito, si torna a casa e la "640" finirà in un museo.
"Pescà" non è d'accordo.
Non é questo il finale che lui vuole scrivere e chiede che escludano i freni anteriori:- "Pas de problemes"- risponde a chi gli domanda se per caso non sia impazzito.
Nessuna obiezione riesce a smuoverlo, quando parte per il nuovo tentativo le spie sul cruscotto restano spente.
Quando rientra, dopo qualche giro, è sorridente.
Il discorso è chiuso, ha finalmente "domato", con i soli freni posteriori, la macchina che oltre trentacinque anni prima l'aveva quasi ucciso.
Appena si ferma salta fuori dall'abitacolo invaso da un fumo acre.
Dal retrotreno, dai passaruota carenati, escono delle fiamme.
Girando senza i freni anteriori, quelli posteriori, troppo sollecitati, si sono surriscaldati ed hanno provocato un principio d'incendio.
"Pescà" prende un estintore e senza smettere di sorridere doma il fuoco.
Quando ha finito, gli occhi di "Pescà" brillano: accanto a tante vittorie prestigiose ora c'è anche questa rivincita.
"For if the trumpet give an uncertain sound, who shall
prepare himself to the battle?"  1 Corinthians 14/8
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da madfilt » 18/11/2008, 7:42

C***o!! Ho i brividi.

Per fortuna ci sono persone come te che hanno la voglia di raccontare queste ( quasi ) leggende.
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da gillesthegreat » 18/11/2008, 9:16

ma che quasi....queste sono leggende.......e spero pedro continui a deliziarci
PER SCOPRIRE IL LIMITE DEVI PRIMA PASSARLO
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