IL BICCHIERE DI MONTEPULCIANO«Fresco della mia vittoria nella Coppa Ciano a Livorno, assieme a tutta la squadra Mercedes attraversammo l’Italia per raggiungere Pescara e disputare la Coppa Acerbo, in programma il 14 agosto 1938. Era un circuito molto impegnativo, che saliva fino sulle colline e ridiscendeva verso la costa, con la percorrenza di un rettilineo molto lungo. Su questo tratto gli organizzatori italiani avevano realizzato una “chicane” per ridurre la velocità delle vetture che sfiorava i 310 km/h.
Al quinto giro stavo viaggiando sul rettifilo proprio prima della “chicane”, quando vidi le fiamme avvolgere tutta la vettura, dal motore fino alle parti interne dell’abitacolo. Non avevo più freni, quindi non mi curai più della chicane, anche perché la tuta che indossavo aveva cominciato a prender fuoco: lasciai lo sterzo e saltai fuori dalla vettura.
La mia Mercedes fu quasi completamente distrutta dalla conseguente esplosione, con pezzi di carrozzeria spazzati via come briciole. Fu uno spettacolo terrificante, tanto che solamente le parti in acciaio avevano resistito al botto che lasciò la vettura praticamente irriconoscibile. Se non avete mai visto un cammello disteso nel deserto, non saprete mai com’è fatto. A fine gara i resti della Mercedes furono addirittura raccolti con una pala e depositati in un camion.
Scampato il pericolo mi incamminai sulla strada e arrivai nei pressi di un’abitazione dove una famiglia stava consumando il pranzo. Mi offrirono del cibo, ma avevo bisogno urgentemente di un telefono per chiamare i box ed informarli sull’accaduto. Mi dissero: “Non abbiamo il telefono, ma abbiamo del buon vino: prego si accomodi”. Mi feci un bicchiere di Montepulciano, ringraziai e ripresi a camminare lungo il rettilineo.
Fu così che vidi transitare René Dreyfus, un tipo in gamba, che nello stesso giro in cui la mia vettura andò a fuoco, aveva cominciato ad accusare alcuni problemi alla sua Delahaye. La trasmissione della vettura del pilota francese aveva cominciato a fare le bizze, ma invece di ritirarsi subito ai box, decise di fare un giro in più (di 25 km, n.d.r.) per caricarmi sul serbatoio della sua Delahaye: un gesto davvero sportivo.
Nel frattempo ai box era cominciata a circolare la voce sul mio incidente, ma nessuno conosceva le mie condizioni di salute così, quando arrivammo assieme nella zona del traguardo, ci fu una clamorosa dimostrazione di simpatia e di gioia nel sapermi sano e salvo. Questa era Pescara! Anche il nostro direttore sportivo Neubauer si rallegrò nel vedermi ancora vivo e cercò di sdrammatizzare la situazione con queste parole: “Possiamo costruire quando vogliamo una nuova vettura da corsa, ma non un nuovo Lang!”»
(HERMANN LANG)
