Ronnie Peterson....

Aneddoti, immagini, informazioni inerenti le vecchie stagioni

da Norisring » 13/10/2012, 20:22

mamma mia!
ha sicuramente moltissimo del materiale ufficialmente (stampa, ecc) e di privati......
''...chi e' stato Flavio Torello Baracchini? ...solo il più micidiale degli Assi dell'aviazione italica nel primo conflitto: Baracca abbattè 34 nemici in tre anni, Torello 31 in sei mesi di volo...''
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da The King of Spa » 27/01/2013, 21:23

Ronnie Peterson: l’esteta del controsterzo

18 gennaio 2013 – Sulle nostre pagine, ci troviamo spesso a celebrare le gesta dei grandi campioni del passato che hanno vinto almeno un titolo mondiale. Esistono però anche quei piloti, che pur non avendo mai conquistato l’iride, di fatto la meriterebbero. Due nomi su tutti: Stirling Moss e Ronnie Peterson. Il primo perché era fortissimo in tutte le categorie, F1 compresa, ma ha incontrato sulla sua strada uno strepitoso Fangio. Mentre l’altro, perché nel periodo d’oro degli anni 70, non ha mai trovato le condizioni giuste per legittimare le proprie ambizioni.

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Attenzione, Ronnie Peterson nato ad Orebro in Svezia il 14 Febbraio del 1944, non era il classico gentleman del volante da circolo d’elite. Figlio di un panettiere con la passione per le corse, nelle quali si cimentava con delle monoposto fatte nel garage di casa, Ronnie è stato primo pilota a vincere tanto partendo dai Kart. Una categoria allora non propedeutica all’automobilismo come oggi, ma agli albori della specie. I mezzi naturalmente, glieli costruiva papà Bengt ed era roba raffinata per l’epoca, tanto che il giovane e biondo svedese, si impose prima in patria e poi anche in Europa a suon di successi. Nota curiosa: si diceva che i suoi telai, vista la statura del soggetto, fossero di una misura extra large poiché allungati per consentirgli di sedercisi comodamente.

Probabilmente, ma non ne abbiamo le prove tangibili, il suo stile di guida fu influenzato anche dall’aver accumulato esperienza grazie a questa particolare disciplina. Salito alle cronache sportive dopo aver fatto diversi lavori, come ad esempio il manutentore di ascensori, Peterson ha sempre avuto nelle corse il suo scopo vitale. Verso la fine degli anni 60, dal karting alla Formula 3 il passo fu breve e Ronnie, si trovò a girare il vecchio continente per battagliare su tante piste simulacro di gloria, contro i vari campioni di quel periodo. Regazzoni, Fittipaldi e Cevert, furono alcuni di coloro che il nordico ragazzone si trovò a fronteggiare.

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Iniziò a vincere quando approdò alla Tecno nel 1968, ma in seguito, allettato dalle grandi promesse di Alan Rees firmò con la nascitura March, un nuovo costruttore di telai che realizzava monoposto dalla F3 fino alla F1. La realtà si rivelò comunque abbastanza difficile, poiché la factory inglese era sostanzialmente un outlet per chi voleva comprarsi una macchina da corsa spendendo cifre abbordabili. Tuttavia, Peterson restò fedele alla March e a suoi principi, vincendo con essa sia in Formula 3 che in Formula 2 e impressionando un gran numero di team manager della massima categoria, la F1. Il suo debutto nel Circus non tardò ad arrivare, infatti, nel 70 era già a bordo della March 701 motorizzata Cosworth. Tutti parlavano un gran bene di lui, anche perché dopo due titoli di F3 consecutivi e il dominio della serie cadetta contemporaneamente alla partecipazione al Mondiale di F1, ve n’erano pochi di dubbi sul suo valore. Peterson però, soffrì parecchio nell’anno del debutto, in quanto la vettura affidata all’improvvisato Antiques Automobiles Racing Team di Colin Crabbe, era poca cosa in confronto alle poderose armate Lotus e Ferrari. Nonostante questo e una mancata partecipazione al Gp d’Austria per scarsità di pezzi di ricambio, Ronnie riuscì ad agguantare un dodicesimo posto in griglia a Monaco, culminato con il settimo posto finale in gara. Il tutto su una pista da “pelo”, dove il talento conta anche se guidi un mezzo rottame.

Ma non erano teatri come Montecarlo ad esaltare il lungo svedese. A lui piacevano di più i tracciati veloci, quelli in cui era necessario tenere giù per andar forte e dove le macchine le guidavi di traverso negli ampi curvoni in appoggio. All’epoca, Max Mosley, uno dei soci della March, scherzando con i giornalisti disse: “Scrivete che Ronnie è fantastico, ma non diteglielo…” Infatti, non passa nemmeno un anno che Peterson, ha già cambiato team, ma non vettura, trovandosi a competere nelle fila dell’organizzatissimo STP March Racing di Andy Granatelli.

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La monoposto del 71, la 711, è decisamente meglio della precedente e Ronnie resta in lizza per diverse vittorie, giungendo secondo in ben quattro occasioni. A Monza, fu sfortunato protagonista della famosa volatona, che vide trionfatore inatteso Peter Gethin sulla potente Brm. Insomma, il primo successo in un Gran Premio sembrava solo questione di tempo per lui, che ormai aveva raggiunto una notevole maturità agonistica, soprattutto per quanto riguardava la gestione di gara. A fine anno, chiuse eccellente secondo nella graduatoria dietro solo al Maestro Stewart. Che dire, una bella soddisfazione. Oramai era tra i grandi. Purtroppo, la stagione seguente quella del 1972, non fu altrettanto appagante perché come al solito ci si mise di mezzo la March. La monoposto, la nuova 721, era difficile da mettere a punto e non funzionava a dovere, tanto che ne vennero sviluppate pur senza grande fortuna due versioni, denominate G e X. Un fallimento su tutta la linea, ma Ronnie il tenace, arpionò comunque un secondo posto nell’inferno verde della Nordschleife, tanto per dimostrare che era la macchina a non andare e non il contrario. Per la cronaca, il suo compagno di squadra, un giovanissimo Niki Lauda alla prima partecipazione al campionato, patì molto la velocità di Peterson, risultando spesso sovrastato dallo svedese.

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Comunque, l’annata non fu del tutto deludente in quanto Ronnie, corse anche nel Mondiale Prototipi
vincendo in coppia Tim Schenken la 1000 Km di Buenos Aires, a bordo della fantastica Ferrari 312PB e contribuendo in tal modo al successo del Cavallino nella serie marche. Sfortunatamente, la sua collaborazione con la Ferrari, si limitò a quella sola esperienza, ma nonostante ciò il Commendatore lo ricordò in questo modo nel suo celebre libro “Piloti che gente”: “Alto, biondo, dinoccolato: un tipo come Hawthorn. Corse con le vetture Sport prototipo Ferrari nel 1972 ed era, come in Formula 1, pilota estremamente veloce.”

Finalmente nel 73, per Ronnie si aprono le porte di una grande scuderia: la Lotus di Colin Chapman. La vettura, l’ormai inossidabile 72D è alla sua quarta versione, ma è ancora garante di successi. A mettere in difficoltà l’armata di Ketteringham Hall, ci penserà però l’aspra rivalità fra i due piloti del team. Emerson Fittipaldi, neo iridato è la prima guida all’interno del box, mentre Peterson è il nuovo chiamato a guadagnarsi un posto nell’olimpo. Ronnie, inizialmente non riusciva a cavare un ragno dal buco con la 72, performante e veloce solo quando era assettata in maniera perfetta. Talmente sensibile alle variazioni, la monoposto inglese nelle mani dello svedese non andava.

In seguito, quando Peterson prese a prestito le regolazioni del compagno e le face trasferire sulla sua monoposto, risultava addirittura più veloce e non di poco, del collega brasiliano. Per via di questa situazione particolare, Ronnie accettò di mettersi al servizio di Fittipaldi, cercando di aiutarlo nel rivincere il Mondiale. Fino alla vigilia di Monza, le cose filarono abbastanza lisce, anche se è corretto dire che tra rotture e cattiva gestione del muretto, i due si erano già sottratti diversi punti a vicenda. In quel momento della stagione, Emerson doveva per forza assicurarsi il successo nelle restanti tre gare, per riconfermarsi campione.

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Ma Chapman, poco convinto che questa eventualità si avverasse, non impartì alcun ordine di scuederia e Peterson vinse la gara dopo essere partito dalla pole. Ronnie al quarto successo stagionale, aveva di fatto escluso il compagno di colori, giunto secondo alle sue spalle, dalla lotta per il titolo. Il brasiliano, amareggiato per la mancata presa di posizione del suo patron, decise che a fine anno avrebbe abbandonato la Lotus per passare alla McLaren. All’epilogo del campionato a Watkins Glen, Peterson, contava oltre alle sue prime vittorie, anche due secondi posti e ben nove pole position. Un segno del destino, la consacrazione a pilota ormai ritenuto maturo e pronto ad ottenere finalmente qualcosa di grande. Anzi, senza i ritiri di Barcellona e Zandvoort, forse sarebbe diventato lui il campione al posto di Stewart nel 1973.

Apparentemente, il futuro immediato sembrava in discesa per il biondo figlio di Bengt il fornaio di Orebro, poiché con Fittipaldi emigrato in McLaren, ora la Lotus era tutta per lui. Ma come spesso accade anche nei confronti dei grandi, la sorte ci mise lo zampino. Nel 74 ad affiancare Peterson, arrivò Jacky Ickx proveniente dalla Ferrari. Il belga, in fase calante almeno per quanto riguardava la F1, non rappresentò mai un problema per lui. Piuttosto, furono le prestazioni della nuova Lotus 76 a gettare nello sconforto team e piloti. La macchina, era pesante e difficile da guidare per via di una scorbutica frizione semiautomatica con comandi al volante, che causò una marea di guai e costrinse il team a tornare all’antico. Quindi, rispolverata la vecchia 72 adattata allo step E, Ronnie vincerà ancora tre GP risultando quinto in graduatoria a fine campionato.

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Però, parte del mancato successo del progetto 76 è purtroppo ascrivibile anche alle scarse doti di collaudatore dello svedese, come ricorda l’allora progettista Lotus Ralph Bellamy: “Ronnie non era un buon collaudatore, ma era incredibilmente dotato. In termini di controllo della vettura e di abilità era incredibile. Ma tendeva a girare intorno ai problemi. Ricordo a Zandvoort, mentre assistevo la sua macchina lui venne da me e mi disse “C’è sovrasterzo, terribile sovrasterzo.” Così regolai diversamente la macchina per cercare di risolvere il problema. Lui tornò indietro e disse “Ancora sovrasterzo.” Io dissi “Ronnie ho cambiato molto la macchina, cosa diavolo c’è che non va?” Lui rispose “Bene, dal momento che non posso entrare in curva, devo buttarla dentro e lei scivola in sovrasterzo ed è veramente difficile da controllare!” Dissi “Per l’amor di Dio, tu hai del sottosterzo!” E lui disse “Bene, sì, suppongo.” E questo era Ronnie. Lui amava guidare le macchine forte.” 

Nel 1975, ancora senza una macchina che potesse succedere alla 72, la Lotus attraversò una delle stagioni più nere della sua storia. Con una monoposto vecchia di cinque anni, anche Peterson poco poté nei confronti dello strapotere di Lauda e della Ferrari. Anzi, non fu nemmeno mai in grado di salire sul podio, surclassato anche da altri piloti che solitamente in pista lo avevano sempre guardato da dietro. Per l’anno seguente, Chapman aveva in serbo un’altra nuova arma, la Lotus 77. Sciaguratamente, anche questa monoposto si rivelò un flop per via di alcuni problemi tecnici e strutturali. Nello specifico, Ronnie si spaventò per la scarsa solidità dell’anteriore in caso di incidente e complici i crescenti dissapori tra lui e Chapman, legati all’onerosità del suo contratto, decise di andarsene dal team dopo la gara inaugurale in Brasile.

E qui, tornò in ballo il nome March. Il suo ritorno alla compagine inglese, fu propiziato dall’intervento del Conte Zanon di Valgiurata, facoltoso uomo d’affari italiano attivo nell’industria del caffé, che aiutò Ronnie a trovare un volante a stagione in corso. Ovviamente, la situazione economica della squadra non era solidissima e gli sponsor si alternavano per coprire il budget. Peterson, realisticamente non si aspettava di compiere un’annata da urlo, ma chissà perché, sempre sulla pista Monza compì un mezzo miracolo. A settembre, in occasione del GP d’Italia, a dispetto della manifesta inferiorità del mezzo, Ronnie scrisse una delle più memorabili pagine della storia di questo sport.

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Dopo un avvio dall’ottava piazza, lo svedese prese il comando della corsa all’undicesimo giro non lasciandolo più fino al traguardo. Detta così, potrebbe sembrare una mera formalità, ma la realtà dei fatti fu ben diversa. In primo luogo la vettura, che sulla carta non era così efficace come le rivali. Infatti, la March su un tracciato veloce come quello di Monza, era in debito di cavalli rispetto a Ferrari, Alfa e Matra, ma anche meno rapida della Tyrrell a sei ruote di Scheckter e Depailler. Oltretutto, intorno a metà gara ci si mise pure la piogga a guastare la festa. Peterson, resistette sia agli attacchi degli avversari, che al maltempo vincendo d’autorità. Quel giorno all’Autodromo di Monza, la March, sembrava un’altra macchina rispetto a quello che si era potuto vedere durante l’anno. Eppure, il merito di questa trasformazione non fu principalmente della macchina, quanto dell’uomo seduto nell’abitacolo.

La sfavillante affermazione in terra brianzola, riportò ancora l’interesse dei manager sul Peterson pilota, che trovò quindi un accordo per il 1977 con Ken Tyrrell. Neanche a farlo apposta, la P34 a sei ruote si rivelò inaffidabile e difficile nel trattare le gomme. Soprattutto le anteriori, che la Good Year non seguì approfonditamente nello sviluppo, in quanto dotavano la sola Tyrrell e non erano destinate ad altri clienti. Una serie interminabile di ritiri e prestazioni altalenanti, riportarono Peterson nell’oblio. Come sempre, quando la macchina non era a punto, lui faceva una fatica tremenda. Unica giornata di gloria, nel GP di Belgio 77, dove colse un buon terzo posto salendo sul podio. Troppo poco per un campione del suo calibro. A fine stagione, si trovò ancora costretto a chiedere aiuto al Conte Zanon di Valgiurata, che lo reintrodusse nell’ambiente della Lotus.

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Colin Chapman, riprese Peterson con l’intento di fare di lui lo scudiero di Andretti. Mario, memore la situazione creatasi con Fittipaldi qualche anno prima, era stato chiaro con il suo principale: Ronnie doveva essere per contratto la seconda guida, mentre lui Piedone, era il leader. La Lotus 79, finalmente una vettura all’altezza dei fasti della 72, era una macchina da guerra. La sua arma migliore era l’effetto suolo, che sfruttava in maniera impressionante in curva e grazie al quale possedeva una stabilità perfetta. La posizione di Andretti in seno alla squadra, era predominante poiché l’italo americano aveva instaurato un rapporto molto solido con Chapman, aiutandolo a risollevare il team dopo alcune annate difficili. Il suo lavoro di messa a punto, si rivelò a conti fatti prezioso per dare vita al prolifico progetto 79.

La stagione regalò comunque buone soddisfazioni a Ronnie, che vinse due gare in Sud Africa ed Austria, cogliendo anche diversi secondi posti alle spalle del caposquadra Andretti. A trentaquattro anni compiuti, Peterson si trovava ad un bivio della sua carriera. Alla fine dell’estate, poco prima della tragedia che gli avrebbe tolto la vita a Monza, aveva trovato un accordo per passare alla McLaren nel 1979. Chissà, forse, se fosse sopravvissuto al terribile crash al GP d’Italia 78, magari Ronnie avrebbe potuto anche vincerlo il tanto agognato titolo mondiale. Malauguratamente, la sorte decise diversamente e quel lungo rettilineo che tante gioie gli aveva regalato negli anni precedenti, si trasformò nell’arco di qualche secondo in un drammatico teatro di morte.

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La dinamica dell’incidente, è stata chiarita dopo anni e diverse battaglie intraprese da chi come Riccardo Patrese, all’epoca dei fatti giovane deb, fu ingiustamente colpevolizzato per l’accaduto. Purtroppo, nemmeno la verità sui fatti di quel giorno ci potrà mai restituire vivo Ronnie Peterson e questo è un grande rammarico. A detta di un eminente esperto qual è Jackie Stewart, lo svedese era un pilota fantastico, ma al di là di questo mancava di rigore nel suo approccio mentale della corsa e questo gli ha impedito di vincere più Gran Premi. Guarda caso, l’asso scozzese affermò a suo tempo la stessa cosa nei riguardi di Gilles Villeneuve. Sicuramente, il biondo Ronnie, era meno disciplinato nella messa a punto e poco incline ai tecnicismi, eppure i suoi controlli al limite dell’impossibile, restano ancora oggi nel cuore degli appassionati più di un Mondiale vinto alla maniera del ragioniere.

http://www.f1passion.it/2013/01/f1-ronnie-peterson-lesteta-del-controsterzo/
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da Baldi » 27/01/2013, 21:47

...sempre GRAZIE per i tuoi articoli!  :thumbup1:
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da The King of Spa » 27/01/2013, 23:05

Prego (che posto, non sono i miei)  :)
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da sundance76 » 28/09/2013, 19:52

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"Chi cerca di conoscere il passato capirà sempre meglio degli altri il presente e il futuro, e non soltanto nel nostro piccolo mondo di effimere quanto amate frenesie corsaiole." G. C.

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da TANAO 73 » 10/09/2014, 8:25

10 Settembre 1978 :crying-yellow: :crying-yellow: :crying-yellow:
(Dal film "Pole Position,i Guerrieri della Formula 1,1980)

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"Se mi fanno paura i più di 1000 cavalli della mia auto? Per me non c'è abbastanza potenza fino a che le ruote non slittano a fine rettilineo."
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da sundance76 » 31/10/2014, 15:06

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da Baldi » 14/01/2016, 21:09

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da 330tr » 17/11/2018, 23:00



Il cow-boy riaccende la discussione sul crash di Monza '78.
La colpa a suo dire fu di Patrese.
Che ne pensate?
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da duvel » 18/11/2018, 2:43

330tr ha scritto:
Il cow-boy riaccende la discussione sul crash di Monza '78.
La colpa a suo dire fu di Patrese.
Che ne pensate?


Una volta che in rete tutto divenne disponibile, l'incidente di Monza me lo son rivisto più volte con calma.
I ricordi di Merzario sono forse un po'confusi dal tempo ma sostanzialmente ha ragione, duro da ammettere perchè ho sempre ammirato Patrese come pilota e personaggio e lo ammiro tutt'ora.
Però mi sembra innegabile che sia stato il rientro di Riccardo a innescare la reazione di Hunt (e non Reutemann che era alla sinistra di Peterson) che finisce con l'urtare lo svedese: AS fece fuoco e fiamme con quella foto di copertina che "provava" (secondo loro...) l'estraneità di Patrese già davanti a Hunt. Certo era difficile collocare esattamente nel contesto uno scatto preso non si sa con quale frazione d'anticipo rispetto alla manovra, ma è pur vero che per qualche centimetro non esitarono a gettare la responsabilità su Hunt!
Non me la sentirei neppure di scagionare completamente lo start di Gianni Restelli ma voglio dar credito all'opinione di Merzario, certo che la doppia corsia sul rettilineo di partenza era un invito per approfittarne e forse fino ad allora era sempre andata con un po' di fortuna...forse.
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da Niki » 18/11/2018, 13:43

330tr ha scritto:

Il cow-boy riaccende la discussione sul crash di Monza '78.
La colpa a suo dire fu di Patrese.
Che ne pensate?


E' noto come la pensi su Merzario e non sposto il pensiero di una virgola anzi, peggiora sempre di più viste le boiate che dice.
L'unico e solo ad avere colpa dell'incidente fu Restelli, quell'assoluto incapace del direttore di corsa che diede il via con le macchine ancora in movimento.
Ecco perchè quelli che erano indietro si trovarono all'altezza dei primi e data la strettoia dopo i box tutti appaiati non ci entravano.
A me Patrese all'epoca stava ardentemente sui cosidetti, come a tanti, colleghi compresi, perchè era arrivato con un'aria da spocchioso arrogante ed era sempre coinvolto in incidenti nei quali spesso aveva colpa.
Ma in quel frangente si verificò una cosa simile a quella che è successa nel contatto tra Ocon e l'olandese nell'ultimo gran premio, quando la massa fu contenta che gli fosse stato reso pan per focaccia.
A quel tempo cercarono semplicemente un capro espiatorio e lo trovarono nel padovano.
Ma anche allora c'era tutta l'incapacità e la disorganizzazione italica. Mi sembra che ci sia una intervista a Rega, non ricordo se in un Autosprint o altrove, che parla di fatti allucinanti come forze dell'ordine (...) che impedivano di avvicinarsi, ritardi, ecc. ecc.
Quelli della CEA erano al di là dall'arrivare.
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da duvel » 18/11/2018, 15:36

Niki ha scritto:

Quelli della CEA erano al di là dall'arrivare.


Ciao Niki, se non ricordo male mi pare proprio che furono gli uomini della CEA a intervenire tempestivamente sull'incidente di Ronnie.
Mi sono riguardato lo start dell'anno dopo: la partenza viene data quando anche le macchine delle file indietro sono ferme e nessuno sconfina al di là della linea bianca di destra, evidentemente ci saranno state precise disposizioni e sono stati tutti più accorti: dallo starter ai piloti. Ci avessero pensato prima :|
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da Niki » 18/11/2018, 16:31

Non ricordo se all'epoca oltre i commissari già esisteva la CEA e, se c'era, non penso fosse come quella che poi è diventata.
Tant'è che Hunt ad un certo punto ha tolto l'estintore di mano ad un commissario e ha diretto lui il getto verso Peterson.
La partenza modificata l'anno successivo, che comunque fu una cosa anomala perchè alcune volte partivano con le auto in leggero movimento, ma mai con quelle delle prime file completamente ferme e le ultime che stavano arrivando dal giro di formazione, è una delle grandi capacità della federazione che arriva sempre dopo che c'è stato il morto, vedi '82 per l'abolizione delle minigonne, '94 per quella dell'elettronica, e così via dicendo.
D'altronde succede anche in ambito extra sportivo caro mio, prendi le varie alluvioni, crolli, guardrail, ecc. ecc.
Quello che non è servito a niente è il morto di un paio di anni fa, per cui hanno introdotto quella pagliacciata della virtual safety car.
Bisognerà aspettare il prossimo morto, forse, perchè finalmente tolgano di mezzo quel cancro di aerodinamica con un miliardo di ali, alette, baffi, baffetti, e via all'infinito.
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da Powerslide » 18/11/2018, 17:55

Mi sembra di aver capito che Merzario citi un rettilineo diviso in due da coni di gomma gialli marchiati Agip: io sinceramente li ricordo solo per le gare sul tracciato completo di 10 km.
Comunque all'epoca non ricordo neppure una striscia bianca che delimitasse la larghezza della pista lato box. Forse mi confondo :think:
Credo anch'io che l'innesco della carambola fu dovuto al rientro di Patrese, ma credo anche che in mancanza di delimitazioni la sua manovra fosse legittima.
Il tutto ovviamente "pesato" con la bilancia d'allora.
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da jackyickx » 18/11/2018, 18:18

Powerslide ha scritto:Mi sembra di aver capito che Merzario citi un rettilineo diviso in due da coni di gomma gialli marchiati Agip: io sinceramente li ricordo solo per le gare sul tracciato completo di 10 km.
Comunque all'epoca non ricordo neppure una striscia bianca che delimitasse la larghezza della pista lato box. Forse mi confondo :think:
Credo anch'io che l'innesco della carambola fu dovuto al rientro di Patrese, ma credo anche che in mancanza di delimitazioni la sua manovra fosse legittima.
Il tutto ovviamente "pesato" con la bilancia d'allora.

la riga c'era, i coni no.
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