Mi chiamo Lodovico Scarfiotti, detto Lulù, e sono l’ultimo pilota italiano che ha vinto a Monza in F.1.
Nacqui nel 1933 da una famiglia benestante che aveva l’automobile nel suo destino.
Mio nonno Ludovico fu tra i fondatori della FIAT e mio padre Luigi, fondatore di un importante cementificio, fu un buon pilota negli anni venti e trenta.
Mio papà mi aiutò sin dall’inizio della mia storia con le corse, ma questo solo “se lo avessi meritato”, cioè se avessi ottenuto dei risultati. Credo che mi avrebbe aiutato anche se i risultati non li avessi ottenuti, perché lui aspirava vedere nel figlio quel successo come pilota che gli era mancato, ma io comunque mi meritai sempre il suo appoggio.
Nel 1952 debutto nelle competizioni e nel 1962 arrivo alla Ferrari con la fama di pilota esperto nella guida dei prototipi, di gare di durata e di cronoscalate, campionati che allora erano considerati anche più importanti delle corse di F.1.
Non tradisco le attese e vinco a Monza, a Sebring, al Nuerburgring, e soprattutto la 24 ore di Le Mans con il mio amico Lorenzo Bandini a bordo di una Ferrari, in una irripetuta vittoria tutta italiana.
Ho scritto “il mio amico Lorenzo” non a caso: avevamo un’estrazione sociale opposta, ma eravamo uniti da una passione comune, mastice di un legame forte e solido. Dicevano che fossimo i due bellissimi italiani della Ferrari, ed era vero.
Non crediate che sia stato facile per me correre in quegli anni: il fatto che fossi imparentato con gli Agnelli mi complicò tanto la vita. Mi sono sempre sentito una pedina nelle mani di Enzo Ferrari e di Gianni Agnelli, e l’atteggiamento ondivago del Drake verso di me era spesso effetto dei suoi altalenanti rapporti con Torino.
E dire che con Gianni Agnelli non ho praticamente mai avuto rapporti, e quando mi capitava di rado di parlarci nei circuiti, non mi guardava mai negli occhi. Proprio come quando parlavo con Enzo Ferrari che si celava dietro quegli occhiali neri, anche lui sfuggente e interlocutorio.
Il mio apice l’ho toccato con la vittoria in F.1 a Monza nel 1966; fu un trionfo, Ferrari non stava nella pelle dalla gioia, ma da quel momento tutto cambiò in peggio: in F.1 devo supplicare che mi diano una macchina, a Montecarlo nel 1967 sono presente in borghese, iscritto, ma senza vettura. Sento che manca la fiducia, Ferrari è sempre più enigmatico e non mi consente nemmeno di difendere il titolo a Monza nel 1967. Sento che le scelte su di me risentono dei rapporti Torino-Maranello.
Mendico una vettura dal mio amico Dan Gurney, ma non c’è nulla da fare.
Sono affranto, amareggiato, disilluso, ed accetto un’offerta dalla Porsche per il 1968 per correre nei prototipi. Mi accorgo subito che i tedeschi sono bravi, ma folli: sperimentano materiale sempre più leggero nelle loro vetture, a discapito della più elementare attenzione verso la sicurezza. Lo sterzo si era già rotto in Spagna una settimana prima dell’8 giugno 1968, data del mio fatale incidente sulle Alpi Bavaresi.
John Surtees disse di me che ero il più veloce pilota di prototipi con cui avesse mai corso e con Lorenzo ci siamo voluti bene sino alla fine.
Ora sono quassù con mio papà, Lorenzo, Giancarlo, Bruno, Geki, Ida, e ci ha appena raggiunti proprio John.
Ho amato molto i miei figli, e ho vissuto la vita che ho voluto: mi è dispiaciuto lasciare tutti così presto, avevo ancora tanto da dare, e non solo nelle corse.
Mi chiamo Lodovico Scarfiotti, detto Lulù, e sono l’ultimo pilota italiano che ha vinto a Monza in F.1.
Non dimenticatevi di me, ho vinto a Le Mans con Lorenzo e con la Ferrari anche per voi.