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Non ritengo corretto misurare gli accadimenti di un’altra epoca con il metro di oggi.(...)
Tutto nasce però da una concezione già allora datata negli anni: la sacralità dell’evento.
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Condivido in pieno, è sbagliato riflettere con i criteri attuali rivedendo immagini di quell'ormai lontano passato...la mia domanda è però adesso un'altra: siamo sicuri che si trattasse di "pensiero da cavalieri del Rischio" che eseguono un rito sacro, dotato di una celebrazione tradizionale impossibile da interrompere? O, diversamente, poteva trattarsi di pensiero "debole", di una egoista non-accettazione dell'accaduto in nome della competizione più individualista immaginabile? E perché questo accadeva in misura molto minore negli Stati Uniti, dove ad ogni incidente accorrevano mezzi di salvataggio, si fermavano i piloti ecc, insomma, dove vigeva uno spirito più "comunitario" rispetto alla vecchia Europa???
Facciamo un parallelo: 1973 Salt Walther (indy 500) vs. Roger Williamson (F1 GP Olanda). Perchè i due mondi reagiscono così diversamente di fronte a degli incidenti?
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Impossibile paragonare un incidente avvenuto in un catino con uno in uno stradale. Lì occorre fermarsi e basta qualunque sia il pensiero che ognuno ha in testa.
Alla prima domanda può rispondere quanto oggi dicono gli ex campioni ormai in pensione (non tutti, ma la maggior parte di loro): una gara senza rischio perde più della metà del suo fascino. Non dico che sia universalmente condivisibile, ma il fatto che deglli arzilli vecchietti ancora pensino così dovrebbe far riflettere. Certo sono stati e sono ancora un po' matti, ma raffrontando il tutto ad un altro sport motoristico che ha mantenuto un discreto peso di rischio, il motociclismo, viene da chiedersi: chi ed in nome di cosa si farebbe trasportare a 300 all'ora da un veicolo dall'equilibio instabile? Eppure ... No, non credo si tratti di un pensiero debole.
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Sì, ma..continuo a notare delle differenze; continuo a vedere un bisogno egoistico di adrenalina, di velocità, una passione solitaria in nome della realizzazione del proprio ego, ma con uno spirito differente al di qua e aldilà dell'altlantico.
Nel bellissimo documentario di Fangio Una vita a 300 all'ora (qui il link
http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-ebd80a75-211c-4847-becd-fdf392d9c109.html) Fangio parla di come si rischi la vita: ma fino agli anni '60 di rischiava per il proprio paese (la sacralità, il sacrificio per la patria), dai '70 si rischia e si muore per uno sponsor...riconosce una cesura, segnala la fine dell'epoca eroica e l'inizio dell'individualismo "amorale", cioè privo di radici sentimentali/romantiche..Negli Stati Uniti è tutto più palese: l'automobilismo è in primis un business. E' tutto esplicito, si parla di soldi; vengono segnalate le vincite, viene pubblicizzato a quanto ammontano i premi eccetera. Riconosciuto questo il pilota diventa una specie di lavoratore libero professionista o salariato prima che eroe solitario senza macchia, e si riconosce in una casta, forse più compatta e empatica verso il prossimo...ma forse le mie sono speculazioni completamente aberranti!