da Mclaren7C » 24/02/2011, 21:11
[quote="Niki"]
[quote="groovestar"]
Niki al massimo guardava...James ci dava di brutto invece...certo che nella tristezza del titolo 76,è bello pensare che sia andato ad un tipo del genere,forse l'unico amico di Niki all'epoca (in F1 almeno)
[/quote]
Non ci giurerei. In un articolo che ho non ricordo dove, forse in qualche Autosprint, Hunt diceva che Niki raccontava di aneddoti da playboy del pilota inglese, quando invece erano gesta che compiva lui.
[/quote]
L'articolo a cui ti riferisci Niki penso che sia quello che ho postato io nel thread di Hunt; un'intervista del pilota britannico sul numero 26 di Autosprint del 1987. Delle notti brave con Lauda ne parla alla fine.
L’UOMO NERO DI FERRARI
E’ stato l’incubo dei tifosi del Cavallino: soffiato a Lauda il titolo nella drammatica stagione 1976, due anni dopo si vede offrire dal Commendatore una monoposto rossa Ma disse: no! Oggi è questo il suo unico rimpianto mentre racconta di come la Formula 1 non sia cambiata
Sostiene che a vincere, ieri come adesso, sono sempre i migliori e che Prost è il “numero uno”: un Lauda con in più quel talento naturale che l’austriaco non ha mai posseduto. Di Senna dice che gli sembra un potenziale campione ma commette ancora troppi errori
Di Roberto Boccafogli
L’UOMO NERO “annata 1976” dei tifosi ferraristi non è molto cambiato. In cima al suo metro e ottantasei monta ancora lo stesso sorriso innocente da ragazzone di buona famiglia, quasi una smorfia da presa di giro. Proprio come quando, undici anni fa, nel diluvio che concluse la stagione al Fuji, sfilò il titolo mondiale da sotto le unghie di Lauda e della Ferrari. Quell’anno, James Hunt popolò gli incubi della “gens” ferrarista – o laudiana che dir si voglia – che vide in lui un ribelle prima un po’ presuntuoso, poi fin troppo forte, nei confronti del dominio che il celebre binomio del Cavallino stava imponendosi a metà anni ’70. Hunt centrò quel titolo iridato, per poi recitare parti da comprimario fino a ritirarsi definitivamente dalla scena automobilistica del 1979, dopo il Gran Premio di Montecarlo, la sua ultima corsa al volante di una Formula 1. Rimase per un po’ fuori dal giro, poi vi rientrò per fare il commentatore di lusso della Tv britannica Bbc ai Gran Premi. Oggi si è perfettamente calato in questo ruolo, ma la “ufficialità” con cui parla ai microfoni televisivi ancora contrasta con lo stile “casual” che sfodera nei box e nel paddock dei circuiti. A Montecarlo, guardandolo camminare tranquillamente a piedi scalzi sul molo del porticciolo, come non ricordare che, una decina di anni fa, in questo abbigliamento lui andava serenamente alle conferenze stampa e a ritirare le sue coppe sul podio a fine gara? James Hunt, insomma, non è cambiato gran che. Semplice e ostentatamente anticonvenzionale era, semplice e anticonvenzionale è oggi. Con un po’ di maturità in più, come impone un quadro privato che conta ora una avviata attività commerciale in Inghilterra, un figlio, Tom, di un anno e mezzo e un secondo in arrivo a fine giugno dalla seconda moglie. E soprattutto come impone il quarantesimo compleanno, che James festeggerà il prossimo 29 agosto. Si sono attenuate le spinte emotive che ai tempi delle sue prime gare in Inghilterra lo battezzarono “Hunt the shunt”, cioè Hunt l’incidente e che qualche anno più tardi, nel ’76 appunto gli permisero di centrare con la Mclaren il titolo mondiale al termine di una stagione che l’iniziale dominio della Ferrari, poi il drammatico incidente di Lauda al Nurburgring e quindi il testa a testa finale, resero incandescente. Ma non si è attenuato il suo amore per l’ambiente della F.1 che oggi frequenta con propositi professionali ma non senza il grande piacere di “esserci” quasi ad ogni gara.
Si, è vero – conferma lui stesso - : le cose sono molto cambiate dai giorni in cui decisi di ritirarmi. Dopo il 1979, per due o tre anni non ho sentito il bisogno di tornare sui campi di gara. Mi limitavo a comparire qualche volta al mattino della domenica per commentare il Gp alla televisione, per poi fuggire subito. Ma da tre o quattro anni a questa parte, mi piace arrivare sui circuiti già il venerdì e rimanervi fino a dopo la corsa. Mi fa piacere incontrare i vecchi amici, o quelli nuovi che mi sono fatto nel frattempo. Mi entusiasmo osservare “dentro” una realtà che dall’esterno è troppo facilmente compresa solo in parte”.
Saturazione da Formula 1
- Niente più stress, quindi. Anche per te, come per molti altri piloti, il ritiro arrivò in un momento di “saturazione” per la F1?
“Certo: ne avevo abbastanza. Il fatto è che nelle corse non sempre si può avere la vettura migliore, o comunque quella in grado di lottare per la vittoria. Io per tre anni ho gareggiato con monoposto sempre peggiori: la Formula 1 non è più stimolante quando un pilota, anche andando il meglio, può lottare per il decimo posto… Già nel 1977, l’anno dopo il titolo, con la Mclaren vinsi tre Gran Premi, ma la macchina era terribile. Non riuscivo a capire cosa non funzionasse a dovere. E pensare che un anno prima l’avevo avuta quasi sempre perfetta… Era una situazione molto frustante. Beh, a dire la verità, per un paio di gare la Mclaren non fu un gran che anche nel ’76. Fu quando passammo dalla M23 alla M26 ci volle tempo per svilupparla sulle piste, per trovare il giusto equilibrio. Ma sapevo che avremmo presto avuto in mano una macchina vincente. Anche nei confronti della Ferrari 312 T2, che quell’anno sembrava imbattibile.”- La “bomba” Hunt esplose decisamente nel 1976, quando passasti alla Mclaren “vedova” di Fittipaldi e vincesti il titolo dopo quel memorabile finale con Lauda. Ma si iniziò a parlare molto di Hunt già nel 1975, quando correve con la Hesketh e conquistasti il tuo primo Gran Premio, in Olanda, proprio davanti a Lauda…
“Beh, a dire il vero non mi ricordo un gran che in fatto di dettagli: non mi sforzo per ricordare il mio passato, preferisco vivere pienamente il mio presente. Ricordo quegli anni come un periodo molto eccitante, anche divertente. Tutto accade per evoluzione spontanea: io amavo le macchine, le corse, e tutto andò per il meglio. Mi trovai in Formula 1 e ebbi la fortuna di poter presto combattere per le prime posizioni. Ma senza particolari tensioni, senza viverla come l’occasione che non avrei mai dovuto perdere. Nel 1975, ad esempio, la Hesketh diventò una buona vettura e ce la feci anche a vincere una gara. Ma sapevo di non avere una monoposto “davvero” all’altezza delle più forti. In quella stagione non riuscii a centrare una pole position… Ma tutto ciò mi valse la chiamata alla Mclaren, che era uno dei top team del momento. Con loro inizia a vincere e arrivò anche il titolo. Fu molto più dura negli anni seguenti, quando improvvisamente mi trovai escluso dalla lotta per il successo. Allora sì che provai momenti davvero difficili: per un pilota è terribile uscire dal giro “giusto””.
- Quando, esattamente, decidesti di semettere con la F1?
“Avevo sempre pensato che non sarei invecchiato in F.1. Ma diciamo che all’inizio del ’79 già sapevo che non sarei andato oltre la fine della stagione. Poi scoprimmo che la Wolf, per la quale correvo quell’anno, era semplicemente non competitiva. Non c’erano soldi per migliorare la situazione e decisi che non aveva senza continuare per fare solamente mezze figure. Mi ritirai a metà stagione, dopo il Gp di Montecarlo”.
Maggio 1978 l’occasione mancata
- E pensare che nel 1978 si parlò di Hunt alla Ferrari…
“E’ vero – risponde immediatamente, come sempre. Sembra che i ricordi gli tornino improvvisamente e non ha nessuna voglia di nasconderli -. Avrei potuto alla andare Ferrari, che mi contattò nel maggio del ’78. Non ci andai: non me la sentivo di venire a vivere in Italia, che amo ma che sarebbe stata troppo, come dire?, soffocante per me in quel momento. Non me la sentivo di affrontare il tifo dei ferraristi, di diventare i loro idolo. Allora fu la decisione giusta. Oggi però sono convinto che fu un grosso errore”.
- Il rapporto Ferrari-Hunt non sarà dimenticato tanto facilmente da chi, verso la metà degli Anni ’70, seguiva la F.1. Lauda e la “rossa”, avevano dominato alla grande la stagione ’75, riportando a Maranello quel titolo che mancava dal 1964. L’inizio del ’76, con l’esordio al secondo Gp stagionale, della 312 T2, aprì una serie impressionante di vittorie, tanto che Lauda, a fine luglio, comandava un campionato che – pareva – non avrebbe mai potuto perdere. Invece la Mclaren stava crescendo e Hunt balzò fuori quasi dal nulla. Vinse in Spagna ma fu squalificato per una minima irregolarità nelle misure della vettura. Tornò a trionfare in Germania, proprio nel Gp che segnò il dramma di Lauda e che diede inizio alla serie di risultati che portarono poi al combattuto finale e al risultato che ben conosciamo.
- Hunt in ascesa e la Ferrari di Lauda lassù, nell’irraggiungibile firmamento della F.1. Quando capisti che ce l’avresti potuta fare a batterli?
“ Sempre – non esita neppure per un istante -. Non appena provai la Mclaren capii che quella era una vettura vincente. Alla prima uscita in Brasile, centrai la pole position. In più, c’era in arrivo il nuovo modello, quello siglato M26. Sapevamo che avremmo soltanto dovuto curare l’affidabilità, pensando a farla crescere bene gara dopo gara. Né io né il team pensavamo al titolo. Se avessimo lavorato bene, avremmo anche potuto battere la Ferrari. Ma non ci mettevamo più problemi di quelli che avremmo dovuto avere”.- Ma Lauda infilò una serie di vittorie, una dopo l’altra. Vinse Brasile e Sudafrica; poi Spagna – con contestazione -, Montecarlo, Belgio e Gran Bretagna. Pensavi ancora di poter vincere il mondiale?
“No. Non potei dirlo. Alla vigilia del Gp di Germania il suo vantaggio era troppo grande perché noi potessimo sperare. Avrebbe dovuto accadere l’impossibile, e infatti l’impossibile accadde. Ma non ce ne facevamo un cruccio. Ancora oggi penso che sia stupido mettersi dei pensieri per ciò che non si può modificare con il proprio comportamento. E’ sufficiente fare il meglio delle proprie possibilità, non sbagliare in quelli che sono i propri compiti. Noi facevamo questo nel mondiale. A ogni gara vedevamo miglioramenti ma sapevamo che Lauda e la Ferrari erano fortissimi. E comunque continuavamo a lavorare per regolare la macchina al meglio, per studiare intelligenti tattiche di gara. Non sempre si può vincere: a volte è meglio accontentarsi di un buon terzo posto. E’ inutile pensare sempre al campionato”.- Poi Lauda incappò nel rogo del Nurburgring e tu vincesti la gara…
“No, un momento. Io avrei vinto comunque in Germania, senza problemi. La nostra vettura era perfetta al Nurburgring, e io sapevo che senza guai avremmo vinto noi. Niki era in prima fila, accanto a me e che partivo in pole position. Magari avrebbe concluso con il secondo posto, e con quei punti la mia rimonta sarebbe stata impossibile. Ma questo è un altro fatto. Anche dopo il suo incidente, noi non iniziammo a pensare al titolo. Niki sarebbe sopravvissuto? Sarebbe tornato alle corse? Nessuno lo sapeva. Erano giorni drammatici e nessuno era in grado di fare un qualsiasi piano per le gare seguenti. Niki tornò in pista a Monza: la sua fu in’impresa eccezionale e il mio distacco da lui era ancora grandissimo. Ma a Monza io non potei neppure combattere: mi fecero partire per ultimo in seguito alle benzine irregolari. Da lì, avrei potuto vincere una gara che per me era tanto importante? Mi ritirai, ma non smettemmo – parla sempre al plurale, coinvolgendo così il suo team – di cercare di vincere ad ogni gara”.
Quel giorno memorabile sul circuito del Fuji
Poi tutto si decise in quell’ultimo scontro al Fuji…
“Quello sì che fu un gran giorno – sorride – drammatico, coinvolgente come nessun altro, eccezionale sotto ogni aspetto. Alla vigilia della corsa Niki era ancora in vantaggio su di me: avrei dovuto vincere per forza e anche quella volta ce l’avrei fatta senza problemi. Ci fu il diluvio e Niki non voleva correre. Beh, lo capivo: dopo tutto quello che aveva passato in estate… Quando mi segnalarono che Niki si era ritirato, pensai di avere gara e titolo in mano. Ma la pista iniziò ad asciugarsi e non mi chiamavano mai ai box per montare le gomme da asciutto. Alla fine non riuscii a vincere e quando mi fermai ero furente perché pensavo che a causa della loro indecisione non ce l’avevo fatta a prendere i punti necessari per il campionato. E invece avevo vinto di un punto. Fu eccezionale. Che giornata memorabile. E anche un po’ stressante. Ma anche allora riuscii a concentrarmi esclusivamente sul mio lavoro: non sciupai troppe energie nel preoccuparmi del diluvio, di come Niki avrebbe guidato, di ciò che non avrei ma i potuto controllare…”.- E quanta differenza c’è fra la Formula 1 di oggi e quella dei giorni memorabili?
“Beh – ci riflette sopra -, tecnologicamente tutto è molto cambiato, ma i Gran Premi sono sempre uguali. Sempre gli stessi piloti a vincere, i più bravi; sempre le stesse vetture, cioè le migliori. Non penso che le monoposto di oggi siano molto differente, da guidare, rispetto a quelle di una decina di anni fa. Oggi, con le soste ai box per montare i pneumatici “freschi” e con la limitazione di carburante, le gare impongono ai piloti di pensare maggiormente. Ai miei tempi le corse erano “sprint”: tirate dalla partenza all’arrivo. Oggi bisogna pensare molto di più. Ed è questo che lascia intendere chi siano i migliori in campo”.- E cioè?
“Chi sono i migliori? Prost, senza dubbio. E’ in assoluto il pilota più conteso della F.1 e nessun altro è al suo livello. Ha poi il vantaggio di correre con una Mclaren, senza dubbio la migliore vettura del momento”.- E gli altri?
“Beh, ovviamente ci sono Williams e Lotus. Ma la Lotus ha fatto un grande errore. Le sospensioni a controllo elettronico sono certamente un asso nella manica per il futuro, ma loro non avrebbero dovuto svilupparle sui campi di gara, alla luce del sole. Così facendo hanno regalato un grosso vantaggio alla concorrenza. La Williams ha una grande monoposto, ma penso che al momento i due piloti non siano al “top”. Mansell e Piquet sono si fortissimi, ma hanno troppe tensioni sulle loro spalle. Non ultima quella legata alla loro concorrenza diretta”.
Le notti brave con Niki Lauda
- E cosa pensi di Senna?
“Un paio di anni fa pensavo che Senna era un potenziale campione del mondo, ma che gli mancava qualcosa per farcela in pieno. Lo penso anche adesso. L’anno scorso, in Messico, lui partì fortissimo e presto fu costretto a fermarsi per cambiare i pneumatici. L’asfalto messicano è molto abrasivo e lui lo sapeva benissimo. Eppure una volta sostituite le gomme, ripartì con lo stesso ritmo di prima, con il risultato di doversi ben presto fermare per un altro cambio. Questo non è ragionare, e Senna deve imparare a pensare di più. Ecco: ritengo che uk grande problema di Senna sia che lui è potenzialmente fortissimo, ma non impara a correggere i propri errori. Forse è un mancanza del suo team, che non gli insegna…”.- Prost è il migliore. Qualche somiglianza con il Lauda degli anni d’oro?
“Forse sì. Ma con una grossa differenza: Prost ha talento naturale, Niki non ne ha mai avuto. Con duro lavoro e applicazione eccezionale, Lauda riuscì a diventare un ottimo pilota, ma mai velocissimo. Prost invece lo è ha imparato tutto quanto un campione del mondo deve sapere. Niki era perfetto su tutta la linea, ma gli mancava qualcosa in velocità pura. L’ho sempre pensato e non lo ho mai nascosto neppure a lui…”.- Tu e Lauda eravate i due principali avversari di allora, ma eravate anche amici fuori dalle piste. Nel suo ultimo libro (“La mia storia”) Niki ha scritto che tu eri forse il personaggio più “movimentato” della Formula 1 in quanto a feste, ragazze, notti brave. Lui, invece ha sempre affermato che per vincere in F.1 era necessario andare a letto presto, non bere alcolici e così via…
“Lo scrive, ma non lo faceva.. Niki è sempre stato – e ancora è – un tipo eccezionale con il quale svegliarsi la sera. E’ stato lui, senza dubbio, il pilota con il quale mi sono divertito nei Gran Premi”.
- Ma lui ha anche descritto particolari “piccanti”. Dice, ad esempio, che in certe feste tu eri coinvolto con la tua ragazza e che lei non ti impediva – anzi, ti incoraggiava – di spassartela con altre…
“Beh – attimo di pausa -, non è proprio esatto, ma ci va vicino. Mi sorprende, semmai, che proprio Niki abbia avuto il coraggio di ricordare simili momenti- Lui e io abbiamo fatto un sacco di cose “brutte” insieme: ecco perché ricorda esattamente di cosa io facessi con le ragazze…”.
- E in argomenti come questo, sono cambiate molte cose in F.1? Rimpiangi qualcosa di allora?
“ Forse la Formula 1 è cambiata anche per quanto riguarda i divertimenti: oggi la pressione sui piloti è eccessiva e loro non hanno più tanta voglia di distrarsi come facevamo noi. Rimpianti? Uno, forse: il non avere gareggiato per la Ferrari. Allora, per il 1978, fu una decisione giusta. Ma oggi, mi brucia molto il non aver mai portato una Ferrari alla vittoria. Quella che io rifiutai nel 1978 andò a Scheckter. E l’anno seguente vinse il campionato a mani basse…”.
Ultima modifica di
Mclaren7C il 24/02/2011, 21:14, modificato 1 volta in totale.