Preziosissimo e interessantissimo articolo di Aldo Zana apparso sulla rivista mensile "Auto d'Epoca" - COPYRIGHT ALDO ZANA
ENZO E IL DUCE
Come la Scuderia Ferrari si raccontava nel 1936. Cronache, commenti, mezze verità, propaganda di regime, risultati di un anno di corse. Un’analisi dei modi e dei contenuti della comunicazione attraverso il notiziario della Scuderia.
di Aldo Zana
Questo testo è un’analisi dei modi e dei contenuti comunicazionali che appaiono dai 15 numeri del notiziario La Scuderia Ferrari dell’anno XIV EF (Era Fascista), anno VI della pubblicazione. Secondo il calendario gregoriano, è il 1936, anche se il primo numero è datato 5 dicembre 1935: l’anno fascista iniziava il 28 ottobre, anniversario della Marcia su Roma, e il conto partiva dal 1922.
I volumetti, rarissimi nell’edizione originale, sono stati riprodotti una quindicina di anni fa dalle Edizioni Il Fiorino di Modena, che pare ne abbiano ancora qualche copia.
L’analisi è limitata a un corpus documentale ben delimitato (280 pagine di cui 30 di pubblicità) e non ha quindi alcuna pretesa di completezza. Tiene conto di quanto è oggi noto sulle corse di quell’anno e inquadra i contenuti del notiziario nel contesto storico-politico dell’Italia e dell’Europa nel 1936.
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Proviamo a leggere i 15 numeri del notiziario La Scuderia Ferrari dell’anno XIV-1936 con una visione che vada oltre la cronaca di corse, uomini, macchine. Vediamo queste pagine per quello che erano: un potente strumento di comunicazione e propaganda, finalizzate al vantaggio della Scuderia e del suo padre-padrone Enzo Ferrari.
Ci troviamo davanti a un maestro della comunicazione e della manipolazione di fatti e cronache, Ferrari, e a una struttura, la Scuderia, così efficiente e organizzata da riuscire a pubblicare un notiziario di buon livello grafico ed editoriale nel mezzo di un’attività sportiva senza respiro.
La prosa e le scelte iconografiche permettono anche di buttare un flash su di un aspetto di solito lasciato al buio: la posizione di Enzo Ferrari e della sua Scuderia nei confronti del fascismo.
Posizione che, da quanto appare ad occhi contemporanei e da questi soli documenti, fa pensare a un certo distacco: le molte concessioni alla becera propaganda imposta dal regime non vanno oltre quanto era allora comune a tutti. Il limite dell’adesione convinta ed entusiasta non sembra essere mai superato: e già questo non era facile per una struttura che viveva del finanziamento di un’industria di Stato, l’Alfa Romeo; che aveva bisogno del pieno supporto delle autorità fasciste e fascistizzate per operare; che non poteva che essere uno dei simboli della propaganda nazionalista, tanto più in un periodo in cui la Germania nazista iniziava a dominare le corse automobilistiche.
CRONACHE E CENSURE
I lettori (sarebbe interessante conoscere la lista di spedizione) non si sono probabilmente accorti che l’anno XIV appartiene all’Auto Union di Bernd Rosemeyer (anzi, Bernardo, come diligentemente scrive il redattore, seguendo le disposizioni del Minculpop - Ministero per la Cultura Popolare - per l’italianizzazione dei nomi, ormai ben oltre la soglia del ridicolo): cinque vittorie totali, tre vittorie nei quattro Gran Premi validi per il campionato europeo, allora del tutto equivalente all’attuale mondiale F1.
La Scuderia Ferrari si è ben difesa, meglio della più potente Daimler-Benz, le cui W25K sono state inesorabilmente battute dalle Auto Union, tanto da obbligare la squadra al ritiro prima di fine stagione.
Le Alfa 8C e 12C della Scuderia hanno vinto 12 corse su 22, con un totale di 68 presenze in Europa, Brasile, Stati Uniti; hanno battuto tre volte l’Auto Union (Barcelona, Budapest, Milano), ma nulla hanno potuto nelle gare importanti, nonostante il valore aggiunto di Tazio Nuvolari. Invece, da queste pagine, sembra che il 1936 sia stato un anno tutto rosso Alfa.
Vediamo un paio di esempi.
GP di Tripoli, 10 maggio. Pesante sconfitta della Scuderia nella corsa-scandalo falsata dagli ordini superiori di far vincere Achille Varzi, in quanto italiano se pure alla guida di un’Auto Union, rallentando dai box il tedesco Hans Stuck, con l’altra Auto Union, dominatore della gara.
Con Nuvolari dolorante alle costole, conseguenza di una botta rimediata in prova, le Alfa Romeo si devono limitare al ruolo di comparse: pagano alle Auto Union ben 30 km/h di velocità massima. La colpa, nelle pagine dell’house organ, è delle gomme Englebert, peraltro fornite “gratuitamente”: lo dimostra un lungo articolo a tesi (numero 8, pagina 3) del dott. Giuseppe Filippini, il redattore tecnico della pubblicazione. Il titolo è molto creativo: “Tripoli e le gomme” con i caratteri disegnati come fossero pneumatici che perdono pezzi di battistrada.
La sublimazione della disinformazija è nel titolo a pagina 2 del numero 10, 25 giugno: “Un’affermazione che vale una vittoria”. Si parla delle Eifelrennenen del 14 giugno, quando Rosemeyer si meritò il titolo di Nebelmeister per una vittoria, entrata nella leggenda delle corse, tra la nebbia fitta del Nürburgring, 2’12”8 davanti a Nuvolari, il solo in grado di tentare una qualche resistenza.
A parte la illogicità della contrapposizione tra i due sinonimi del titolo, la verità è che Nuvolari è arrivato secondo perché non è stato in grado di tenere dietro Rosemeyer, troppo superiore a lui e alla sua Alfa. Certo, dietro Nuvolari ci sono, nemmeno tanto lontani, Brivio e Farina con le altre due Alfa della Scuderia e poi, più staccati, Lang e Chiron (Mercedes) e Varzi (Auto Union), ma essere battuti in pista da un pilota e da una macchina superiori, che “affermazione” è?
Come è abituale in caso di sconfitte, cronache e commenti sono lasciati a estratti degli articoli dei quotidiani, scegliendo oculatamente un florilegio di parole che esaltano la prova e il risultato delle Alfa Romeo battute dai tedeschi.
Per la Scuderia, la colpa della sconfitta è della nebbia: “La gara, svoltasi alla presenza di oltre 300 mila persone, è stata falsata da una pioggia violentissima e, da ultimo, dalla nebbia che ha impedito a Nuvolari, che per 6 giri aveva condotto la gara da dominatore, di riportarsi in prima posizione come avrebbero consentito la sua macchina e il suo valore”. Come se, sulle colline dell’Eifel, nuvole basse e pioggia non si fossero mai viste o la nebbia fosse scesa a comando dell’Auto Union.
Anche dalla breve crestomazia di articoli traspare lo stesso livello di scusanti così infantili che, quasi in una logica per assurdo, potrebbero essere state scritte e scelte di proposito, come a far intuire che se ne dà conto solo per distratta obbedienza alla linea del partito.
Difficile credere, infatti, che giornalisti del calibro di Corrado Filippini e Giovanni Canestrini possano aver scritto, rispettivamente sul Littoriale e sulla Gazzetta dello Sport parole risibili o in malafede come: “Senza Rosemeyer l’Auto Union non avrebbe certamente vinto” (Il Littoriale); “Il migliore elogio che si possa tributare ai corridori della Scuderia Ferrari è quindi quello di aver saputo, ciò malgrado, precedere nettamente tutti gli altri avversari, Rosemeyer escluso” (La Gazzetta dello Sport). Già, ma la nebbia non c’era anche per Bernardo Rosemeyer? Ed è forse una colpa per l’Auto Union avvalersi del suddetto Bernardo come prima guida?
POLEMICHE E VELENI
Uno degli obiettivi di un notiziario è la possibilità di poter dire la propria opinione senza sottostare a regole e censure altrui. E, in questo, Ferrari si dimostra maestro, facendo della sua pubblicazione un testo degno di essere studiato nelle facoltà di comunicazione.
Primo esempio, così importante da meritare uno dei tre soli pezzi firmati Enzo Ferrari: Il caso Dreyfus, facile titolo copiato da Emil Zola per ribattere puntigliosamente un’intervista del pilota francese, passato (pro-tempore) alla Talbot, lasciando di colpo la Scuderia.
Ferrari, il 16 dicembre 1935-XIV, intinge la penna nel veleno per una lettera a Maurice Henry, il direttore dell’Auto (la più importante pubblicazione francese di motori): René (cioè, Renato) Dreyfus soffre di “sorprendente amnesia” e ha parlato con “precipitazione” e con “asserzioni in contrasto con i fatti”.
Insomma, quel francese è un mendace, indegno della “speciale deferenza e considerazione che la Scuderia e l’Alfa Romeo gli hanno sempre usato”.
La spiegazione va, forse, cercata più in alto. Il 18 novembre 1935, la Società delle Nazioni ha comminato all’Italia le sanzioni (le “inique sanzioni” della propaganda di regime) per l’aggressione all’Etiopia. La Francia è in prima linea nell’imporre le sanzioni e censurare il comportamento dell’Italia. Dall’alto si fa sapere che è impossibile, in questa situazione, tollerare piloti francesi in difesa dei colori italiani sulle piste europee: sia Luigi Chiron sia Renato Dreyfus devono lasciare la Scuderia.
Il 7 marzo 1936, Hitler ordina di invadere la Renania, parte di Germania sotto controllo francese dal 1919. A metà luglio inizia la guerra civile in Spagna con la Francia contrapposta a Italia e Germania. In mezzo a tutti questi eventi drammatici, il circo dei Grand Prix sembra continuare la propria vita indipendente: Luigi trova subito un volante alla Daimler-Benz, mentre Renato, il 2 agosto 1936, è a Livorno per la Coppa Ciano alla guida di un’Alfa Romeo della Scuderia: tutto dimenticato.
Renato, ebreo, è un pilota bravo e le ignobili leggi razziali non sono ancora state promulgate in Italia. La Scuderia sembra assicurargli una copertura personale sufficientemente forte, oltre a un’auto più competitiva di qualsiasi Talbot.
Secondo esempio, ben più clamoroso. GP di Monaco, 13 aprile: un’inondazione d’olio dalla 8C-35 numero 28 di Mario Tadini, alla chicane del porto, mette fuori gara otto auto, compresa l’Alfa di Farina. La versione comunemente accettata del fatto è che Tadini sia stato fatto partire nonostante una vistosa perdita d’olio per intascare i 10.000 franchi del premio di partenza. Lo scrivono e lo dicono in tanti, compreso Alfred Neubauer, direttore sportivo Mercedes.
E’ un’accusa infamante e Ferrari non può tacere. Scende in campo di persona a pagina 1 del numero 7 (29 aprile). Il titolo è ovvio: La macchia d’olio. Ferrari non raccoglie “la insinuazione grossolana” dei giornali tedeschi, ma spiega come, alla fine del primo giro (cioè dopo che l’auto ha sparso il suo olio sulla pista), Tadini sia stato fermato ai box dove: “Bazzi e Marinoni constatarono la rottura di un tubo di portata dell’olio in corrispondenza di una flangia, accertando così l’entità di un guasto ch’era stato giudicato, a prima vista, come un usuale invasamento d’olio per troppo pieno.”
Se questa è la verità di Ferrari, perché Tadini è stato fatto ripartire nonostante aver acclarato un guaio così serio e pericoloso per lui e gli altri piloti? Questo sarebbe un comportamento ancora più grave, irresponsabile, antisportivo. A meno che il regolamento di gara non prescrivesse una percorrenza minima per avere il premio di partenza. Dopo quello che appare come un clamoroso autogol, Ferrari gioca la carta dell’orgoglio del povero: “E’ vero che non abbiamo i mezzi economici di cui dispongono i nostri concorrenti … ma non per questo i 10.000 franchi di Monaco potevano suggerirci ciò che ci ha attribuito solo chi non ci conosce”.
E poi passa all’acredine e al complimento iettatorio, insegnando a Neubauer che: “non è generoso per nessuno, tanto meno per chi abitualmente vince, accusare altri di sistemi scorretti”. (Invettiva che funziona: quella di Montecarlo resterà la sola vittoria importante della Mercedes nell’anno più nero della sua storia sportiva).
E infine, si appella ai grandi valori della patria italiana. Citazione doverosa per chi è alla ricerca di coperture politiche e, probabilmente, di quei finanziamenti statali che invidia ai tedeschi:” No, egregio ingegnere (Neubauer, che ingegnere non è mai stato-ndr), per noi italiani e fascisti, l’essere onesti e corretti in tutti i paesi ed in tutte le circostanze, non è un privilegio né un vanto, ma semplicemente un dovere!”.
E’ l’unica volta che Ferrari, in uno scritto da lui firmato nel 1936, si autodefinisce fascista: evidentemente, ne valeva la pena.
A metà anno, il Minculpop emana la direttiva che impone ai giornali italiani di parlare bene della Germania e di tutto quanto è tedesco, in ottemperanza alla nuova politica filo-nazista del governo. Da allora, le sconfitte dietro le Auto Union vengono incassate in silenzio. L’enfasi è sulle vittorie Alfa Romeo, ottenute in assenza delle frecce d’argento.
GIORNALISTI: QUANDO IL FLOBERT E’ UN’ARMA UMANITARIA
Enzo Ferrari, nei suoi ultimi anni, ha scritto una serie di ritratti di giornalisti che ha regalato alle vittime in un prezioso libretto dal titolo Flobert, come era chiamato il fucile ad aria compressa.
La capacità di ritrattista con penna d’oro e inchiostro al vetriolo, se pure non ancora letale come nel libro, è evidente in certi pezzi, non firmati, pubblicati sulla Scuderia Ferrari in questo anno XIV.
Giovanni Canestrini si merita il primo ritratto (n. 1, pag. 31). E’ uno scritto Enzo Ferrari Doc, tanto pieno di messaggi coperti e parole tra le righe da risultare quasi incomprensibile. Ma quello che si legge è di alto livello. L’ing. Canestrini è caldamente invitato a continuare a scrivere perché: “noi leggeremo, discuteremo, vedremo uomini e cose attraverso i suoi occhi poiché la sorte ha voluto che i nostri occhi vedessero di meno”. Come dire che si inventa quello che scrive. Ma con che classe è detto!
Nelle righe precedenti, Canestrini si è preso del logorroico; distratto dalla corsa a troppe prebende e glorie; in rapida picchiata verso la senescenza; con un fisico né grasso né magro, ma comunque poco gradevole; erratico nel tenere la linea nei suoi scritti. Infine, la stoccata finale: è un “tecnico”. Sissignori, scritto così, tra virgolette.
Corrado Filippini viene trattato molto meglio (n. 1, pag. 33) e lo stile non sembra quello di Ferrari. Filippini è “giornalista notissimo”, ma soprattutto segretario della Sezione Corridori Automobilisti inquadrata nel Sindacato Nazionale Fascista degli Sportivi Professionisti. Per la Scuderia e i costruttori è il rappresentante dei piloti con il quale trattare premi, assicurazioni, cassa previdenza, viaggi all’estero. E’ uno importante e va tenuto buono e amico.
Emilio De Martino, colonna della Gazzetta dello Sport, sembra essersi meritato la penna di Enzo Ferrari (n. 1, pag. 35): l’autore colpisce la voglia di giovanilismo della sua vittima, nonostante sia ormai “sulla soglia della maturità”, lo descrive in “maglietta e calzoncini”, uno che “ama sentirsi sempre giovane”, lo irride perché “guidatore impeccabile che a parità di mezzi non esiterebbe, siamo sicuri, a misurarsi anche con Nuvolari”.
Unico straniero impallinato da Ferrari è Maurizio (Maurice) Henry, direttore dell’Auto. Non a caso, nello stesso numero 2 della lettera sul caso Dreyfus, da lui Henry innescato, eccone, a pagina 7, il ritratto apparentemente agiografico: “dà alla professione tutto il suo intelligente entusiasmo”, è “un giovane e ormai eminente collega”, scrive “con vivace prosa” e “col suo carattere latino ha sempre esaltato il nostro sport automobilistico”.
Mai credere a un giornalista che parla bene di un collega.
PILOTI: I NOSTRI EROI
Tazio, l’unico, l’immortale (n. 1, pag. 2), si merita due pagine (18 e 19) sull’ultimo numero dell’anno XIV. E’ un pezzo bello, importante, difficile, fuori dal coro, firmato con due asterischi, forse opera di Enzo Ferrari, anche se il suo stile tranchant non traspare.
E’ una rarità l’interpretazione di Nuvolari in chiave psicologica. Eroe faustiano, uomo moderno che tende “all’affermazione di sé stesso” e che: “in ogni ostacolo superato o vinto trova non già un quietivo per soffermarsi o posare, ma un motivo sempre più urgente per proseguire senza soste in una ascesa continua verso un indeterminato che viene posto sempre più alto”.
Nuvolari corre come solo lui sa fare per “amore della gloria oppure del guadagno” o rischia la vita “perché egli sente che solamente rischiandola egli riesce a vincerla in un attimo tutta intera e sino al punto supremo?”.
La mistica faustiana e le mitologie nietschiana e soreliana del perfetto superuomo-eroe di destra si integrano in questa analisi di Nuvolari, che ha la sintesi, come d’obbligo, nelle righe finali: “Egli, da lungo tempo ormai, ha fatto la rinuncia definitiva di tutto se stesso per potere affermare veramente tutto se stesso. Egli è pronto a pagare ogni successo col massimo prezzo, e per questo egli ha vinto, per questo egli è grande”.
Che differenza con le poche righe che introducono i palmarés dei piloti della Scuderia nell’imminente stagione 1936 (n. 1, pag. 9-15). Nuvolari riceve 14 righe farcite dei soliti aggettivi magniloquenti. Renato Dreyfus (1905-1993) ha anche lui 14 righe di testo, ma, aggiungendo foto e risultati, si prende più spazio di Nuvolari: è un’apologia, probabilmente voluta in base alla consolidata abitudine di Ferrari di mettere i suoi piloti uno contro l’altro. Ecco un altro motivo che spiega perché il suo abbandono della Scuderia è bruciato tanto a Ferrari, che si era sprecato in una presentazione così.
Mario Tadini (1905-1983), cui la Scuderia deve molto, compresa la sua stessa esistenza, ha 18 righe di luci e ombre: “mentalità dilettantistica”, ma è “forse lo stilista migliore che si conosca”; “non ama gli sforzi rudi e neppure predilige i percorsi pesanti”, ma “quando è in vena vale i migliori in senso assoluto”.
Carlo Mario Pintacuda (1900-1972) vale anche lui 18 righe, che lo inquadrano come una promessa non del tutto mantenuta: “è il più anziano tra i piloti della nuova generazione …. Farà molta strada”. Amen.
Giuseppe Farina (1906-1966) è il newcomer nella Scuderia: 19 righe compensano un palmarés ancora scarno per ovvie ragioni anagrafiche. “E’ un pilota di qualità fondamentali eccellenti … Per passare definitivamente nel ruolo dei grandi campioni non gli difetta oramai più che un poco di esperienza”.
In coda a queste schede sui piloti, sintetiche e – tutto sommato – oggettive, vanno citati i pezzi dedicati ai “collaboratori tecnici”: Luigi Bazzi, Attilio Marinoni, Battista Guidotti. Sono gli uomini del back-office presentati con belle parole che saranno piaciute a loro (cui erano indirizzate per ulteriore motivazione) e che ci tramandano ritratti vivi e precisi.
- continua -