FORMULA 1 - I Magnifici Anni '60

Estratti della carta stampata e suggerimenti sui libri relativi al mondo dei motori

da sundance76 » 27/11/2021, 11:23

"Normalmente abbiamo tre meccanici e tre vetture, più il capomeccanico e un meccanico di riserva che lavora su quella che ne ha più bisogno. Ma questa volta abbiamo due vetture soltanto. La terza non è ancora pronta. Ciononostante ho portato tutta la squadra, cioè cinque meccanici, e c'è un gran da fare. Le macchine sono nuove. Le stiamo ancora studiando"

(Colin Chapman, venerdì 16 giugno 1967, Spa-Francorchamps)

Questa parola "studiando" appare molto spesso. E' quasi come se avessero costruito qualcosa e ora cercassero di scoprire ciò che precisamente hanno costruito. Questo non è molto lontano dalla verità. Sanno quello che sta dentro e hanno una idea abbastanza precisa di ciò che si può fare. Ma non è possibile valutare la resistenza di ogni particolare, visto che anche le sollecitazioni sono sempre diverse. L'unica risposta a ogni nuova soluzione può giungere soltanto dall'esperienza di gara.

(Richard Garrett, "Veloci e furiosi - retroscena dei Gran Premi", versione italiana di "Fast and furious - The story of the world championship of drivers")
Allegati
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"Chi cerca di conoscere il passato capirà sempre meglio degli altri il presente e il futuro, e non soltanto nel nostro piccolo mondo di effimere quanto amate frenesie corsaiole." G. C.

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da leon_90 » 27/11/2021, 21:13

5 meccanici :D :D che divario con oggi
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da sundance76 » 05/01/2022, 9:49

Il capomeccanico Giulio Borsari accanto a una Ferrari 512 (o 1512). Non so in occasione di quale gara.
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da duvel » 05/01/2022, 11:26

E' il paddock di Zandvoort
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da sundance76 » 05/01/2022, 14:40

duvel ha scritto:E' il paddock di Zandvoort


Grazie Duvel! Quindi Olanda '65, e quella è la macchina di Surtees.
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da leon_90 » 05/01/2022, 21:08

Ferrari 512 nel '65 col numero 2 sono state:

- Bandini in Sudafrica e Belgio
- Surtees in Olanda
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da duvel » 05/01/2022, 23:44

E' il particolare selciato del retrobox che rende(va) inconfondibile Zandvoort

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La Eagle di Gurney al GP del '67
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da sundance76 » 05/02/2022, 14:51

Le prove del GP d'Olanda 1969:

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da sundance76 » 26/04/2022, 8:57

GLI SPONSOR PETROLIFERI DICONO "BASTA": LA FORMULA 1 IN PERICOLO


Interessantissimo testo tratto da “Fast and furious”, di Richard Garrett, 1968, ed. it. “Veloci e furiosi”, ed. Lea:


“[..] Quando arrivò il mese di settembre 1967, si entrò in quella cha posso definire «zona del no comment». Il mondo della Formula 1 emetteva tutti i rumori di un vulcano che da una parte non vuol eruttare, ma che nondimeno non vuol perdere lo status di vulcano. I brontolii erano abbastanza minacciosi, eppure era quasi impossibile tirar fuori un qualcosa di caldo dal cratere bollente.
Si sapeva che parecchi piloti erano insoddisfatti dei propri datori di lavoro, per lo più perché non avevano vinto nessuna corsa nei Gran Premi e, in molti di essi, non avevano neanche portato a termine la gara. Tale fatto, come gran parte di loro non senza ragione indicò, non era dovuto tanto a una loro colpa quanto alle imperfezioni delle vetture.

Naturalmente, ovunque circolavano voci. Secondo una di queste, che sembrava abbastanza plausibile, la Honda stava per ritirarsi definitivamente dall'automobilismo (in seguito, però, la Honda non si ritirò). La vettura, anche con la destrezza di un meccanico e pilota della taglia di John Surtees, non aveva dimostrato grandi possibilità fino a che non vinse il Gran Premio d'Italia. Ciò in gran parte era dovuto al fatto che erano verificate delle difficoltà all'interno della fabbrica in Giappone. Il programma della produzione delle vetture di serie della ditta era rimasta indietro. Degli ingegneri dovettero essere distolti dal progetto della vettura da corsa per essere impiegati nei reparti della normale produzione. Le possibilità di affermazioni nella Formula 1 furono distrutte, quindi, non per mancanza di capacità ma per la trascuratezza della Casa.

Ma l'avvenimento che veramente diede il via a questo periodo di incertezze, fu divulgato dai giornali verso la fine di agosto. Con grande meraviglia di tutti, e col dispiacere di parecchi interessati, la BP annunciava la sua intenzione di ritirarsi dall'automobilismo verso la fine dell'anno. La decisione era definita come «​​misura economica».

La guerra arabo-israeliana, la chiusura del canale di Suez e i prezzi del grezzo che aumentavano incessantemente, avevano determinato una situazione particolarmente grave nell'economia della BP. Ovviamente, quindi, bisognava operare dei tagli da qualche parte. Il primo a essere annunciato provocò una piccola rivolta tra i figli dei dipendenti della ditta. Prima di allora la direzione era solita allestire per loro una festa annuale a Natale. Ora, necessità per risparmio, tali feste non ci state risparmiando. Quanti soldi furono risparmiati esattamente, non ordinando poche inezie come gelati, crackers, ecc., non fu mai dichiarato.

Sul fronte automobilistico il risparmio noto ammontava a 750 milioni all'anno, sebbene molti assicuravano che la cifra era molto minore. Certamente c'è da dubitare che il ritiro dall'automobilismo ha potuto affettare la montagna di preoccupazioni (secondo una valutazione 150 miliardi) provocata dalla situazione del petrolio. Ma forse questo non era il punto. Devo confessare che non sto in confidenza con i dirigenti della BP, ma quand’anche lo fossi stato, difficilmente in tali circostanze mi avrebbero messo a parte di notizie che poi avrei pubblicato. Nondimeno non si può evitare di concludere che il vero scopo fu di mostrare che la BP non se ne stava con le mani in mano.

Nessuno naturalmente sa quali interessi misero in moto la BP. Una voce popolare indicò il governo, e questo mi sembra abbastanza. Fino a poco tempo fa il governo inglese, detenendo il 51% delle azioni, aveva il pieno controllo della BP. Nel 1967, però, la BP rilevò il settore chimico e della plastica della Distiller’s Company. Agli azionisti di quest'ultima furono date nuove azioni emesse dalla compagnia petrolifera, II governo non era entrato in questa faccenda, e di conseguenza la sua quota nella BP fu ridotta a meno del 50 per cento (probabilmente circa al 48 per cento). Ma anche così, sarebbe stato necessario un voto unanime degli altri interessati per bloccare la proposta. Inoltre, secondo il suo modo di vedere in quel momento, il governo deve aver considerato l'automobilismo come una frivolezza inutile, della quale si può facilmente fare a meno (posso dire in tutta sicurezza che la signora Barbara Castle, attuale Ministro dei trasporti, non ha mai visto una gara automobilistica e ha rifiutato ogni invito).

L'unico aspetto piacevole in tutta questa faccenda era il punto di vista preso dai giornali e dalle riviste che ne hanno fatto la cronaca. Lodavano la partecipazione della BP nel passato, e diedero i tributi dovuti al lavoro svolto dai rappresentanti automobilistici delle compagnie petrolifere. Motor ebbe molte parole gentili per Denis Druitt, che ebbe la responsabilità degli interessi automobilistici della BP negli ultimi quattordici anni, e altrettanto fece David Benson nel Daily Express. Scriveva Benson: «Il fatto è che gli uomini di questa professione danno molto più di sé stessi di quanto ci si aspetterebbe nei lavori noiosi. Viaggiano in continuazione, vedono raramente le loro famiglie, spesso lavorano ventiquattro ore su ventiquattro. Denis Druitt della BP è un uomo così familiare sulle piste di tutto il mondo, che sarebbe impossibile iniziare una corsa senza di lui». Ci si domanda se Jim Clark e Graham Hill salirebbero mai su una vettura da corsa senza che Geoffrey Murdoch della Esso sia vicino a loro. Egli si assicura che vadano al circuito molto in anticipo, che non siano preoccupati per la folla che li circonda prima della gara, e che siano sufficientemente nutriti e rilassati per quando si andranno a disporre nello schieramento.
L’Inghilterra ha conquistato la supremazia sulle vetture e sui piloti europei negli ultimi quindici anni, per lo più per mezzo dell'appoggio entusiasta del mondo del commercio.

E così, per usare un termine coniato da uno dei suoi concorrenti, questa era la BP che fu! La Cooper-Maserati, la Honda, Rob Walker e altri, tutto a un tratto venivano a sapere che uno dei loro maggiori appoggi economici stava per venir meno. A onor del vero, la BP stava lasciando aperta la possibilità, per le sue compagnie operanti in tutto il mondo, di continuare con l'automobilismo anche se su una base strettamente nazionale. Forse questa era una buona notizia per gli organizzatori di rally locali e di corse in salita. Per quanto riguarda invece coloro che si occupano di gare e rally su scala internazionale, era inutile.

Poco dopo l'annuncio della BP, parlai al telefono con Roy Salvadori. Disse: «Senza l’appoggio dei baroni del petrolio non possiamo continuare con l'automobilismo». Altri si mostrarono più ottimisti. Fecero la profezia che c'erano altre compagnie petrolifere che aspettavano al varco, per prendere con piacere il posto della BP. Tra quelle nominate c'erano l'Elf, la Gulf, e la Castrol.
Com'era mio dovere, investigai. La Elf, che è una compagnia petrolifera francese di stato, sì era interessata a una tale partecipazione, ma solo per quanto riguardava un ritorno francese alle gare di Formula 1. Da qualche tempo si sapeva che il governo francese era disposto a finanziare un tale impresa. I due designati a ricevere il denaro erano la Renault-Alpine, che aveva un ottimo passato nella 24 Ore di Le Mans, e che lavorava su un motore di 3 litri per la Formula 1, e la Matra. La Matra aveva prodotto una macchina che, spinta con motori della BRM e della Ford-Cosworth, si era comportata sempre più brillantemente nelle corse di Formula 2.

La soluzione logica pareva un'alleanza tra la Renault-Alpine e la Matra, con la prima che forniva il motore e la seconda la vettura. Gli interessi politici però, per quanto si poté capire, erano contrari a tale collaborazione. L'appoggio statale andò alla Matra, con l'intesa che quella doveva essere una ventura completamente francese. Era probabile che la nuova vettura sarebbe stata pronta in tempo per la stagione del 1968 Jean-Pierre Beltoise e Servoz Gavin erano i preferiti come piloti, Michelin avrebbe prodotto i pneumatici da corsa per il progetto e la Elf (naturalmente) avrebbe fornito la benzina, i lubrificanti e i contanti.

La Elf dunque non era il folletto benigno (per mantenere la fantasia ispirata dal nome) che i protagonisti in piú gravi difficoltà, dall'altra parte della Manica, avevano sperato.
La Gulf per un bel periodo di tempo era stata fatta oggetto di voci che, a giudicare da una conversazione avuta con un dirigente delle pubbliche relazioni completamente, erano per lo più infondate. Mi disse: «Quest'anno abbiamo fornito benzina e lubrificanti alla Mirage per alcuni esperimenti, e forse seguiremo la prossima stessa via l'anno. Ma, per quanto io possa prevedere, qualsiasi partecipazione in Formula 1 è fuori questione».

E così è rimasta la Castrol. La Castrol ha una forte tradizione automobilistica che inizia col suo fondatore, lord Wakefield, il quale appoggiò numerosi tentativi per primati aerei e terrestri. La compagnia aveva fama di spendere molto nei campi di corse e rally del motociclismo (le squadre di rally sia della BMC che della Ford usavano i prodotti della Castrol). Inoltre, questa era la ditta che era venuta in aiuto di Dan Gurney, dopo che questi aveva passato più di sei mesi con il solo appoggio della Goodyear (a parte le distribuzioni di olio, benzina e premi speciali della Shell). L'alleanza con Gurney era forse un segno premonitore del maggior interesse verso la Formula 1 da parte della Castrol? Forse, come suggeriscono, la ditta avrebbe dirottato un po' dei soldi dal motociclismo per riversarli squadre e sui piloti precedentemente appoggiati dalla BP?

L'atmosfera di quel particolare periodo era così carica di nervosismo che il portavoce della Castrol, con cui ho parlato, aveva comprensibilmente un po' paura di dire la verità. Parecchie volte inghiottì pezzettini di frasi, prima che potessero raggiungermi. Nondimeno era preparato a fornirmi la seguente informazione: «Sentiamo che al momento i rally sono di maggior beneficio per noi. L'automobilista medio si associa più con Paddy Hopkirk che, diciamolo pure, con Jim Clark. La vettura del primo ha la stessa forma di quelle che si vedono per le strade. Non c'è senso nel vincere le corse dei bolidi di Formula 1 se non possono essere raccontate al pubblico. Quando Paddy Hopkirk vince il rally di Monte Carlo, noi guadagniamo. Al momento stiamo formulando dei piani. Non li posso svelare, non oserei». E concluse dicendo: «La politica economica dev'essere regolata in base alle richieste del mercato». Non mi lasciò nessuna speranza che si stesse preparando un grande piano di investimenti per il mondo della Formula 1.

Quando la BP si ritirò dall'automobilismo internazionale, il corrispondente del Daily Telegraph scrisse testualmente: «In questi ultimi anni, è opinione diffusa negli ambienti delle compagnie petrolifere che le squadre e i piloti, con la richiesta di somme favolose, stanno mettendo in dubbio l'appoggio futuro. Questo, anche se non è probabile, ha forse fornito lo spunto per la bomba che doveva scoppiare poco dopo nel mondo automobilistico, già così agitato».
In quel periodo ero in viaggio. Quando tornai, un amico disse: «Hai sentito di quella faccenda della Firestone?». Feci capire che non avevo visto un giornale da almeno una settimana e quello proseguì: «Si ritirano dall'automobilismo». Questo sembrava essere il colpo decisivo. Al di là di ogni decisione presa dalle compagnie petrolifere, i costruttori di pneumatici erano sicuri. Infatti, la concorrenza tra loro, per accaparrarsi costruttori e piloti, sembrava quasi così aspra come quella che si scatena durante le gare vere e proprie.

Presi il telefono, riuscii a mettermi in contatto con un addetto alle pubbliche relazioni della Firestone, e subito gli chiesi: «Cos’è questa faccenda che voi vi ritirate dall'automobilismo?» Questi risposero: «La Firestone si ritira dall'automobilismo? Cretinate». «Così ho letto sui giornali», replicai. E ancora l'uomo della Firestone: «Lei non crederà tutto ciò che legge sui giornali, vero? Abbiamo deciso di non corrispondere più offerte in denaro. Continueremo con i nostri contratti e servizi esistenti, ma basta con gli onorari che sono sempre in aumento. Abbiamo contratti solo con le squadre. Non crediamo nei contratti con i piloti. Apportiamo dei tagli drastici. Non ci troveremo mai con le spalle al muro».

Il dramma però non era ancora finito. Mentre le mille voci sembravano affievolirsi, e la situazione sembrava ritornata alla normalità, la Esso mise tutto in subbuglio un'altra volta. Venerdì 20 ottobre, proprio quando il «circo» dei Gran Premi arrivava a Città del Messico per l'ultima gara del campionato per l'ultima gara del campionato 1967, i dirigenti della compagnia petrolifera annunciarono che anche loro hanno abbandonato le gare automobilistiche.

Secondo quanto riportato dal Sun, l'annuncio era stato dato da Frank Bowen, direttore generale e amministratore della ditta. «Ci dispiace molto», aveva dichiarato Bowen, «dover fare questo passo, ma nonostante il fatto che siamo la compagnia petrolifera che abbia avuto più successi nei Gran Premi negli ultimi anni, un impegno del genere è immensamente difficile da mantenere, a causa dell'aumento della concorrenza e delle pressioni economiche».

Appena ebbi letto il resoconto dei giornali, telefonai alla Esso. «Sì», rispose un addetto alle pubbliche relazioni, «è completamente vero. Sì, è una questione di un aumento di pressioni economiche e di concorrenza. La crisi di Suez? È un fattore che contribuisce».

E così, improvvisamente, quel grigio giorno di ottobre, la squadra della Lotus e di Jack Brabham si trovarono senza la prospettiva di avere l'appoggio di una compagnia petrolifera per il 1968. Le sovvenzioni della Esso alle due squadre corrispondevano, rispettivamente a 45 milioni, più gli aiuti sotto forma di ricerche, benzina, olio gratis, e così via. Senza dubbio, era stato bello era durato. Ma ora, a un tratto, tutto era finito.

Dopo aver parlato con il portavoce della Esso, telefonai a Phil Kerr, il manager di Brabham. «Che succederà?» chiesi. «Dimmelo tu», rispose. «Vorrei proprio saperlo. Non si può stare nell'automobilismo senza un appoggio. Costa troppo». Gli augurai buona fortuna, il che era il meno che potessi fare, e cercai di mettermi in contatto con qualcuno della Lotus. Tutti quelli che forse erano in grado di dirmi qualcosa o si trovavano al Salone dell'automobile o in Messico. Non è che avesse molta importanza. Come seppi dopo, la loro situazione era tanto incerta quanto quella di Brabham.

All'inizio della stagione tre erano le compagnie petrolifere più importanti che appoggiavano le corse di Formula 1: la Shell, la BP e la Esso. Ora, era rimasta solo la Shell. Bisogna dire che la Elf stava per entrare in lizza, ma solo per aiutare la Matra. C'era inoltre una certa dose di scetticismo al riguardo, in quanto non si arriva a comprendere come la Elf avrebbe rifornito di benzina i suoi concorrenti in Messico e in altre gare fuori dell'Europa. Ma lasciamo guardare. La cosa importante al momento era: che cosa avrebbe fatto la Shell?

Tornai al telefono. «Al momento rimane la linea di condotta della Shell invariata», mi dissero. «Volete continuare ad appoggiare le corse di F1?» chiesi. «Intendiamo fare esattamente ciò che ho detto», rispose l'uomo addetto alle pubbliche relazioni. Gli concessi il beneficio del dubbio. Mi sembrava molto probabile che avrebbero continuato con lo sport, data la situazione interessante che si era venuta a verificare. A meno che qualcosa di inaspettato non fosse successo, potevano scegliere tra tutte le migliori vetture e i migliori piloti di Formula 1 del mondo. La situazione dava tante possibilità quante nessuna compagnia petrolifera aveva mai avuto. Ovviamente, qualsiasi condizione volessero imporre, qualsiasi sarebbe stata accettata data la loro enorme forza contrattuale.

L'azione della Firestone forse costituiva un tentativo per frenare l'offerta in danaro. Il ritiro della Esso lo confermava. I giorni dei soldi facili, dei grossi onorari, quando i migliori piloti ricevevano paghe altissime, erano finiti. La Formula 1 è diventata, un tratto, la cenerentola del mondo sportivo.

Precedentemente ho espresso l'opinione che, se fosse necessario l'entusiasmo di quelli che richiedono alle corse automobilistiche l'avrebbe mandato avanti. Ora vedremo. E senza tanti contanti, ci vorrà un entusiasmo veramente enorme.

Ma prima di recriminare, esaminiamo la situazione da un altro punto di vista. Che tipo di guadagno hanno avuto le compagnie petrolifere in cambio dei loro contributi? Ovviamente, ci possono essere alcuni vantaggi per investimenti così grandi. Dopo tutto, se si volesse contribuire a una istituzione benefica, ce ne sarebbero molte e di migliori.

Le possibilità per le ricerche, il prestigio, l'influenza sulle generazioni dei giovani, la pubblicità persuasiva basata sul successo dei loro protetti, queste sono alcune delle risposte. Dall'altra parte, e con l'eccezione del golf (in questo caso però l'appoggio si limita ai premi in contanti), nessun altro sport ha ricevuto sovvenzioni pari a quelle concesse per le corse automobilistiche. Nell'industria dello spettacolo l'unica cosa paragonabile, in Inghilterra, è il teatro, che ha ricevuto un enorme aiuto dal Consiglio delle arti.

Naturalmente, maggiore è l'affluenza del pubblico che va alle corse di Formula 1, meno bisogno c'è di qualsiasi forma di aiuto finanziario. Non c'è modo di assicurarsi un pubblico più numeroso. Il successivo passo nella mia inchiesta mi portò nell'ufficio di un amico psichiatra, David Gordon, il quale ha compiuto studi in un gran numero di paesi europei, nel tentativo di scoprire che cosa c'è nello sport che attira la gente. Mi disse: «La gente va a una corsa di Formula 1 perché è eccitante. C'è il rombo dei motori e la velocità. La velocità è potenza, la razza umana ne è sempre rimasta affascinata. Ma non c'è nessuna possibilità che gli spettatori cerchino di identificarsi completamente con i piloti».

D'altra parte, ci deve pur essere un certo grado di identificazione: in quanto il pilota e il suo atto esprimono appunto il desiderio di coraggio, di controllo e di potenza dello spettatore. In un certo senso lo spettatore entra nel mondo della fantasia. Vede qualcuno a cui può sognare di assomigliare, ma che non potrà mai sperare di essere in realtà. Questa identificazione parziale è essenziale perché lo spettatore possa provare eccitazione.
Senza di essa considererebbe l'automobilismo allo stesso modo in cui un visitatore guarda un quadro famoso in una galleria d'arte. Ci sarebbe soddisfazione e gioia, sì. Ma non sarebbe preso da disinteresse e da un'eccitazione struggenti.

È precisamente questo fantastico tipo di identificazione, questa sensazione che si esprime nelle parole: «Mi piacerebbe essere come questo pilota, ma va molto oltre i miei limiti e le mie possibilità», che ridimensiona il successo pratico dell'appoggio alle corse automobilistiche. Il pubblico non può andare via da una corsa e pensare che nella vita quotidiana potrebbe usare le stesse vetture, gli stessi pneumatici o persino la stessa benzina usata nella gara. Secondo il signor Gordon, gli spettatori hanno uno di questi due punti di vista. «Alcuni considerano i piloti scavezzacolli», disse. «Uomini che non valutano molto la loro vita, che sono votati alla morte. L'altro punto di vista è che gli scavezzacolli sono persone poco intelligenti, e i corridori non possono farne parte. Questi ultimi considerano il ​​pilota come un uomo che ha il controllo completo della sua vettura. È un uomo dalla volontà di ferro, un maestro».

Il novanta per cento del divertimento, certo, sta nel parteggiare per l'uno o l'altro pilota. «Se non c'è un pilota adatto da sostenere», disse il signor Gordon, "bisogna inventare una ragione per appoggiarne un altro. È necessario. Bisogna soffrire con lui e godere il successo con lui. Il divertimento sta nel volere che vinca il tal dei tali».
D'accordo col punto di vista della Castrol (anche se il signor Gordon non è mai stato assunto da questa compagnia), crede che l'automobilista normale trovi più facile identificarsi con i piloti dei rally.

Quando si discute sul motivo per cui si va a una corsa automobilistica, ci sono, inevitabilmente, una o due persone pronte a mettere tutto in relazione con il desiderio della massa di vedere un bagno di sangue. «Ciò che la gente vuol vedere sono gli scontri», dicono. In America hanno cercato di soddisfare questo desiderio, inventando uno spettacolo che consiste interamente in scontri di automobili. Il veicolo che sopravvive a questa dura fragorosa prova di metallo in collisione, è il vincitore.

In realtà, chiunque pensa di frequente queste orge di gotterdammerung automotivo nella speranza di vedere sangue versato, avrà una delusione. Si dice che i casi di incidenti alle persone sono molto più bassi che nelle forme più ortodosse dello sport automobilistico (se "sport" in questo caso è la parola giusta).

Il punto di vista del signor Gordon è che il pubblico dell'automobilismo non vuole vedere incidenti. «Infatti », disse, «quando si verificano degli incidenti, tutti sperano che non sia successo niente di serio», Comunque, se si pensa ai gladiatori della Roma antica, l'automobilismo sarebbe molto deludente per il tipo di pubblico che li andava a vedere.

Forse voi vorrete paragonare le vostre reazioni con quelle espresse in ciò che meglio definire come «il punto di Vista Gordon». Se il signor Gordon ha ragione nell'affermare che ciò che il pubblico vuole alle corse di Formula 1 è il rombo dei motori, la velocità e la potenza, bisogna chiedersi se, in tutta onestà, l'edizione attuale della formula contiene gli ingredienti migliori per attirare il pubblico. Bisogna ammettere che le vetture (quando corrono) raggiungono il massimo in fatto di potenza, e i piloti in destrezza e coraggio. D'altra parte, bisogna guardare i filmati e le fotografie delle vecchie vetture da corsa per accorgersi che gli odierni bolidi fanno meno impressione sull'immaginazione.

Osservate qualsiasi fotografia di vetture del 1967: poi paragonatele alle Auto-Union disegnate da Ferdinand Porsche, alle rosse urlanti Alfa Romeo e alle fragorose Mercedes d'ante-guerra. Lo stesso vale per le vetture del dopoguerra (l'originale BRM, le Maserati e le prime Ferrari). Si dovrà concludere che disporre il motore nella parte posteriore forse è stata una cosa tecnicamente giusta, ma ha tolto allo sport molto del suo piacere visivo.

Fino a un certo punto, si potrebbe fare la stessa discussione rispetto ai piloti. I piloti di Formula 1 sono le dive di uno spettacolo alquanto pericoloso. Come ogni diva, dovrebbero attirare seguiti popolari. Pochi, per esempio Graham Hill (che è stato designato come una delle ultime grandi personalità dello sport), ne hanno. La maggior parte non ne ha. Perciò, sembrano confermate certe opinioni non infrequenti, secondo cui le grandi personalità lasciarono l'automobilismo con la morte o con il ritiro, per esempio Peter Collins, Stirling Moss, Mike Hawthorn, Taffy von Trips. Ci sono piloti che fanno il possibile per evitare la pubblicità. Nessun'altra industria dello spettacolo potrebbe sopportare tale atteggiamento per molto tempo.

La vita sarebbe molto più comoda se le carestie fossero accompagnate da appetiti in diminuzione, ma, come un operaio dell'Oxfam vi dirà, non è così. Ne consegue che, anche quando c'è una assoluta mancanza di sovvenzioni, non per questo la necessità di tali aiuti diminuisce. Infatti, alla fine del 1967, succedeva proprio il contrario.

Quando la formula di 3 litri fu introdotta nel 1966, c'erano molti che dubitarono seriamente che ci sarebbero state delle vetture sufficienti per formare uno schieramento di partenza. Due anni dopo sembrava che probabilmente ce ne sarebbero state troppe. Non meno di dodici squadre avevano annunciato la loro intenzione di partecipare alle gare di Formula 1 nel 1968. Le cose erano arrivate a un punto tale che, secondo un osservatore bene informato, «sembra che forse vedremo persino le squadre ufficiali delle Case costruttrici lottare per un posto nel Gran Premio di Monaco». La maggior parte dei nuovi arrivati ​​era ovviamente a corto di danaro, ma questa era solo una delle loro preoccupazioni. L’altra era la mancanza di piloti. Di bravi ce ne sono molti, ma si può contare solo su mezza dozzina per vincere un Gran Premio.

[..]
In Italia, Franco Lini rinunciò al suo incarico di direttore sportivo della Ferrari e tornò al giornalismo. Tuttavia, all'inizio della stagione del 1968, dette un contributo sostanziale all'apparato farraginoso dei Grand Prix. Una delle cose strane del Campionato mondiale Conduttori era che, nonostante tutta la fama che la sua conquista potrebbe suscitare, non prevedeva un trofeo vero e proprio. Il giornale di Franco Lini, Autosprint, vi pose assegnazione provvedendovi. Così, nella Corsa dei Campioni a Brands Hatch, nel marzo 1968, Franco Lini consegnò un magnifico trofeo d'oro a Denis Hulme.

Questa gara, a proposito, era fatta oggetto di una di quelle dispute ben note negli ambienti automobilistici. In questa occasione, si trattava della pubblicità.

Poco tempo prima il Royal Automobile Club aveva abrogato il suo vecchio divieto contro le scritte pubblicitarie sulle vetture da corsa. La FIA osservò che ogni Automobile Club nazionale era libero di decidere per proprio conto al riguardo, ma suggerì che non sarebbe stata una brutta idea seguire l'esempio del RAC. Stabilì, quindi, che ogni reclame non poteva occupare una superficie maggiore di cm 140, senza possibilità di trucchi. In altre parole, non si poteva dedicare uno spazio alla parola Coca e un altro alla parola Cola. La compagnia delle sigarette Players fu la prima a sfruttare questa opportunità. In cambio di una somma, che si dice si sia aggirata sui 150 milioni, persuase la Lotus a ribattezzare le proprie vetture «Lotus Gold Leaf» (foglia d’oro), e a ridipingere le vetture coi colori che appaiono sui pacchetti di sigarette Players Gold Leaf.

A questo punto cominciarono i guai. La direzione di Brands Hatch, dove doveva aver luogo la prima gara di Formula 1 della nuova stagione, disse che qualcosa come il cinquanta per cento delle sue entrate provenivano dai compensi delle compagnie televisive. Purtroppo le due compagnie interessate non volevano nessuna pubblicità sulle vetture. La BBC fece presente che una norma proibiva la pubblicità in qualsiasi forma sui suoi programmi televisivi. La compagnia televisiva privata, a sua volta, spiegò che, poiché le sue entrate dipendono dalla pubblicità, certamente non era disposta a fare della pubblicità gratis riprendendo le reclame sulle vetture.

Per un po' sembrò che la direzione di Brands Hatch non sarebbe riuscita a vendere i diritti televisivi e che la gara sarebbe stata abbandonata. Ma il buon senso alla fine prevalse. Si giunse all'accordo che i prodotti usati sulle vetture (pneumatici, candele e cosí via) possono essere reclamizzati in questo modo.

Per quanto riguardava la Players, conclusero che «Gold Leaf» era parte del nome della vettura e quindi era permesso stampare tali parole sulla carrozzeria. Quanto ai colori della Foglia d'oro non potevano fare nessuna obiezione.

Tuttavia le compagnie televisive posero un divieto per il marinaio che è il marchio di fabbrica della Players. Questa era completamente fuori questione. Su richiesta della televisione, un cerchietto nero doveva coprire la faccia già sofferente del marinaio. Tutto ciò forse sembra puerile, e probabilmente lo è [..]”.


Inoltre, in un articolo a pag. 10 de “L’Unità” del 26 dicembre 1967, intitolato: “Forse un duello Clark-Brabham”, nelle righe finali si legge:
"[..] Nell'elenco dei piloti, manca più di qualcuno noto: sono venute meno le centinaia di milioni di due case petrolifere e di una di pneumatici (Esso, BP e la Firestone) che hanno contribuito con dovizia all'ingaggio fino a quest'anno di molti conduttori. È un principio di una crisi e della disoccupazione? Non crediamo; già si parla di incollare sui bolidi decalcomanie pubblicitarie. Gli USA insegnano".


Infine, sugli AS dell’epoca si legge che dopo il ritiro di Esso, BP e Firestone, la Fia consentì la pubblicità di prodotti estranei all’automobilismo, con Colin Chapman che si accordò con la Gold Leaf per una sponsorizzazione pari a 90 milioni di lire dell’epoca per la F1 e 40 milioni per la F2, in un momento in cui il budget complessivo necessario a un top team era valutato sui 300 milioni di lire del '68, equivalenti a circa 3 milioni di euro del 2022.
Differenti le opinioni di Chapman e Cooper.
Colin considerava troppo bassi i premi d’ingaggio per i piloti, e diceva che “il valore pubblicitario dei piloti è molto alto per un organizzatore, poiché contribuiscono a richiamare pubblico e aumentare gli incassi”.
John Cooper invece affermava che “i piloti affermati oggi pretendono degli ingaggi troppo alti. Le case petrolifere si sono ritirate dalle corse per questo motivo”.
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da Niki » 26/04/2022, 11:54

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da leon_90 » 26/04/2022, 22:12

Veramente interessante! Spiega anche tante cose di quanto accadde nel '68. In soldoni, il ritiro dei colossi petroliferi aprì la strada agli sponsor. D'altra parte è vero che i piloti volevano sempre di più e le auto aumentavano di costi di progettazione e costruzione, e l'esborso economico perdeva di senso per queste aziende come per gli stessi organizzatori. Ecco allora che si crea in questo vuoto lo spazio necessario per i marchi per introdursi e portare quel denaro che serviva e ora mancava o non era più sufficiente, laddove per loro l'investimento non solo ha senso ma è proficuo.

Interessante anche la parte riguardante il fascino delle auto e dei piloti degli anni '30 e '50. Ovvio che chi scrive doveva aver vissuto la propria giovinezza in quegli anni. Oggi giorno pare che la F1, o in generale le auto da Grand Prix, siano nate nella seconda metà degli anni '60, e se gli anni '30 godono di una fievole luce di interesse da parte di pochi, i '50 sono invece completamente dimenticati e ignorati. Notevole anche il fatto che si dica che non ci siano piloti particolarmente famosi. Il '67 oggi giorno è un concentrato di leggende dell'automobilismo per l'appassionato contemporaneo: Hill, Clark, Surtees, Brabham, Hulme, Ickx, Bonnier, Rodriguez, Rindt, Siffert, Stewart, Gurney, McLaren, Bandini, Amon, Ginther, Scarfiotti.
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da sundance76 » 26/04/2022, 22:31

leon_90 ha scritto:
Interessante anche la parte riguardante il fascino delle auto e dei piloti degli anni '30 e '50. Ovvio che chi scrive doveva aver vissuto la propria giovinezza in quegli anni. Oggi giorno pare che la F1, o in generale le auto da Grand Prix, siano nate nella seconda metà degli anni '60, e se gli anni '30 godono di una fievole luce di interesse da parte di pochi, i '50 sono invece completamente dimenticati e ignorati. Notevole anche il fatto che si dica che non ci siano piloti particolarmente famosi. Il '67 oggi giorno è un concentrato di leggende dell'automobilismo per l'appassionato contemporaneo: Hill, Clark, Surtees, Brabham, Hulme, Ickx, Bonnier, Rodriguez, Rindt, Siffert, Stewart, Gurney, McLaren, Bandini, Amon, Ginther, Scarfiotti.


Sì, ma infatti i giornalisti anni '60 spesso guardavano le corse e rimpiangevano gli anni '30. Anche George Monkhouse diceva che le macchine anni '60, piccole, basse, con potenze non esorbitanti, senza bisogno di rifornimenti, con poco powerslide, erano più veloci ma meno belle da vedere rispetto alle bestie anni '30 o anche alle lotte Alfa-Ferrari del '51, e le gare erano considerate meno eccitanti e spettacolari proprio per questa evoluzione (macchine poco potenti, pur se più veloci). Riprendendo un'espressione di Gerald Rose, alcuni definivano le monoposto di F1 da 1500 del periodo 1961-65 come "topolini con meccanismi d'orologi".
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da 330tr » 27/04/2022, 7:22

Grazie, Sun, molto interessante.
Ne discutemmo altrove, anche i piloti nei primi anni '60 erano piuttosto insoddisfatti di dover guidare vetturette con motorini aspirati di 1500cc, in pratica una formula addestrativa, preferendo di gran lunga i prototipi.
Ma nel '66 c'è già stato il raddoppio delle potenze, con quanto ne consegue.
Quello del giornalista, come traspare, è più un "rimpianto estetico"; un conto è vedere dei poderosi missili lucidi cavalcati da temerari aggrappati ad un timone di legno, un altro è vedere microscopici trabiccoletti metallici visivamente neanche rifiniti, col motore esposto, il pilota appena visibile immerso dentro un guscio di oramai volgarissima plastica..
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da sundance76 » 27/04/2022, 17:41

D'altronde, come dicevano gli inglesi in quel periodo, "If you haven't seen the big 30's Grand Prix cars racing, then you just haven't seen car-racing"
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da leon_90 » 27/04/2022, 19:05

Sto seguendo la serie "F1 Story" sul canale "La F1 dimenticata", davvero interessante perchè permette di seguire gara per gara le varie stagioni (per ora fino a inizio '63) e farsi una idea più completa dell'andamento di queste. Mi ha sicuramente aiutato a espandere la mia conoscenza sulle stagioni di F1 finora coperte.
Devo dire che i detrattori di Moss che affermavano che era uno scassa-macchine penso proprio avessero ragione. Seguendo gara per gara ci si rende conto che aveva davvero poca sensibilità del mezzo, pur migliorando sotto questo aspetto negli anni. Se non ha mai vinto il campionato una ragione c'è e non è la sfortuna (come io stesso pensavo). Altra cosa scoperta, la vittoria di Baghetti a Reims fu merito del grosso vantaggio Ferrari sulle avversarie (e questo si sapeva) ma anche di una gran bella botta di culo che aveva tolto di mezzo tutti e 3 i suoi (molto più veloci) colleghi. Qui l'episodio:

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