Baldi ha scritto:.....
Quindi propondo di non mettere più nulla qua dentro
e "scervellarsi" ...
Chiedo scusa se non ho seguito l'avviso, ma certe cose fluiscono spontaneamente dalla tastiera e seguono il filo della cronaca, pur essendo legate a epoche diversissime...Premesso che mi piacerebbe davvero conoscere il pensiero e le reazioni del Drake sullo stato attuale della Ferrari (oh, se mi piacerebbe...
), posto qui sotto a tal proposito un'antica storia, proveniente da un futuro non lontanissimo, sul'origine di un famoso marchio.
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Il piccolo Francesco era cresciuto in un mondo smaterializzato.
I suoi genitori avevano assistito all'ultima guerra, quella che aveva portato al completo smantellamento degli Stati Nazionali. Nulla più rimaneva delle organizzazioni geograficamente individuate sotto le quali suo bisnonno era vissuto.
Il Dio denaro aveva infine vinto, ma nella vittoria aveva in gran parte distrutto la sua stessa creatura. Le spinte centrifughe disgregatrici delle nazioni erano state incoraggiate e armate dalle grandi multinazionali, che intravedevano nella funzione regolatrice delle organizzazioni territoriali una limitazione al loro potere, da demolire definitivamente.
La sua nazione in particolare era stata particolarmente sfortunata, e la prima a crollare. A seguito della Grande Privazione - la pauperizzazione forzata della gran parte della popolazione allo scopo di renderla mera produttrice a basso costo - il popolo si era sollevato contro lo Stato Nazionale, che si era disgregato passando dapprima attraverso le Unioni Federali, poi organizzazioni di microstati, per le città stato, e infine in un’amalgama senza nome, distretti semideserti, enormi città sparse senza inizio né fine, porzioni di territorio, signorie senza padroni rette soltanto dal debole potere dei vari controllori locali, signorotti alle dipendenze delle caste economiche, emissari dei potentati stranieri ancora in grado di generare beni e servizi e di disporre di forze dell’ordine private a protezione dei loro beni.
La distruzione di ogni forma di controllo aveva portato all'espansione disordinata e caotica dell’edilizia, fomentata dalla casta dei costruttori, che senza freno costruivano disseminando il paesaggio di orribili e bassi blocchi costruiti indiscriminatamente sul territorio. Inizialmente ognuno di questi nuovi distretti era reso autonomo, indipendente e protetto, ma col tempo bande di predoni anarchici facevano razzie, rendendo la popolazione soggetta a continui trasferimenti in zone ritenute più sicure. Soltanto poche famiglie riuscivano ad assoldare guardie private per la propria sicurezza, e a loro volta si condensavano in nuovi gruppi abitativi, destinati però sempre più a migrare seguendo le microindustrie che nascevano e morivano a seconda dei periodi e delle opportunità sull’intero sconquassato territorio. La parola “precario” aveva ormai preso il posto della parola “cittadino”, tanto da rendersene un sinonimo. I campi avevano smesso di essere coltivati, a favore delle microcoltivazioni di fanghi algali, ben più produttivi e nutrienti. Il territorio assomigliava sempre più ad una vasta distesa cimiteriale, dove la natura non più controllata dall’uomo riprendeva lentamente possesso delle terre, seppellendo tra rovi e arbusti le antiche rovine abbandonate. Ora gran parte delle terre emerse erano sprofondate in questo caos medievale post-economico. E pareva ormai soltanto un miraggio raggiungere l'aldilà dell’Atlantico, per ora in salvo dalle devastazioni. Gli Stati Uniti del Nord avevano sigillato le frontiere, ed era impossibile non solo l’emigrazione, ma anche il semplice attraversamento del confine senza speciali permessi. Il terrore per la denazionalizzazione del resto del mondo li aveva isolati, rendendoli un’enorme isola militarizzata in mezzo ad un mare di frantumaglia informe in continua guerriglia. Eppure molti sostenevano che proprio da lì fosse partito il cancro della dematerializzazione capitalistica.
Francesco aveva 17 anni. Erano anni che aveva un chiodo fisso, un desiderio terribile. Aveva sentito che qualcun altro ci aveva provato. Ma nessuno poteva dire se ce l’aveva mai fatta. Aveva rubato un grosso pacco di fibra di vetro, una bombola d’ossigeno, delle resistenze, un pacco di gallette, un paio di litri d’acqua. E si era nascosto nel carrello del grande aereo mimetico, da dove quel signore scortato era uscito, e da dove sarebbe rientrato nel giro di qualche ora.
Si svegliò completamente bagnato, la pelle tesa e indurita, i muscoli contratti, un dolore alla testa lancinante. Ma vivo. Il suo ultimo ricordo era legato al rumore e al freddo micidiale che pareva volesse aumentare all’infinito.
Vagò a lungo, senza meta, come un lupo sperduto nell’immensità di una foresta. Conosceva poche parole di quella lingua, non essendo mai potuto andare a scuola, ma in poco tempo imparò a sopravvivere e comunicare, e riuscì infine a dirigersi a Nord e raggiungere la sua meta; arrivò in Candia, dove abbracciò i suoi lontani parenti. Erano passati tre lunghi anni di infinite tribolazioni.
Suo zio era concessionario di automobili. La sua famiglia lo era da generazioni. Molto tempo prima, e questo lo scoprì in seguito, importavano automobili europee, auto di lusso. Ora ovviamente non era più così, la chiusura delle frontiere aveva reso l’ultimo Stato completamente avulso dal resto del mondo già da molto tempo.
Francesco non riusciva a smettere di visitare il magazzino accanto alla grande officina, sommersa da un marasma di ricambi contemporanei e di antichi cimeli di vecchie glorie.
Un giorno un luccichio lo abbagliò, e intuì la presenza di un oggetto nascosto sotto varie cianfrusaglie. Lo liberò e raccolse, sentendosi irresistibilmente attratto da esso. Lo rigirò a lungo tra le sue mani, ripulendolo e lucidandolo alla bell’e meglio.
“Zio, cos’è questo?”, domandò indicando il rettangolino giallo, con all’interno l’effige di un animale nero ritto sulle zampe posteriori. E superiormente tre strisce colorate.
Lo zio parve traballare, sbiancando, come colpito da un improvviso malore. Francesco lo afferrò per un braccio, temendo di vederselo crollare da un momento all’altro. “Niente, non è niente. A volte i ricordi sembrano investirti come gigantesche ondate, e immergerti risvegliando con violenza terribili dolori mai sopiti. Quello? Non è nulla, non è più nulla. Credevo di non possedere più niente di... Puoi tenerlo, se vuoi. Anzi, mi piacerebbe davvero che lo prendessi tu. Solamente scorgerlo mi procura una grande sofferenza.”
Francesco non ebbe il cuore di chiedere di più, e strinse l’oggetto portogli dalla grossa mano dello zio.
Passarono gli anni. Francesco aveva legato ad una catenella il simbolo, tenendolo sempre al collo; l’aveva eletto a suo portafortuna. E la fortuna davvero pareva averlo toccato. La concessionaria, passata sotto il suo controllo, aveva assunto tutt’altro aspetto, passando da grande e confusionaria rivendita a florido punto di riferimento per l’intera regione. Lo zio era morto da qualche tempo, senza figli, lasciandogli in eredità una sconfinata passione per il mondo della locomozione su ruota, ma al contempo un vuoto incolmabile; un’enorme mancanza, un grande tassello mancava alla sua conoscenza della storia dell’auto. Qualsiasi riferimento alle creazioni del vecchio mondo parevano essere state cancellate. “Praticamente mai esistita”, rispondevano in coro tutti gli appassionati e i mezzi di informazione interpellati sulla storia dell’auto europea. I suoi ricordi di ragazzo si spingevano nel rimembrare quelle ridicole e silenziose carriole grigie, tutte uguali, che circolavano ai suoi tempi. Mezzi privi di valore, cancellati dalla storia. Ma che significato mai poteva avere quel simbolo che ora portava addosso e che aveva turbato così profondamente suo zio? Che cosa nascondeva? Che terribile segreto celava in sé?
Un giorno, finalmente, trovò un vecchio, ultracentenario, che lo mise sulla buona strada. Il suo ricordo era strano e confuso, probabilmente frutto a sua volta di racconti di altri. Pareva quasi più mitologia che realtà, ma qualcosa dentro di sé gli diceva che il vecchio non mentiva. Francesco cercò pazientemente di ricostruire le scalcagnate memorie dell’anziano; pressappoco parlava di auto a petrolio o simili, che venivano costruite aldilà dell’oceano. Vetture veloci, potenti, pericolose...vetture da sogno per la vita di tutti i giorni, e vetture da corsa per ricordare di essere vivi. Poi un giorno tutto cambiò. Il marchio venne sradicato dalla sua terra d’origine e portato proprio nel Nord America, dove nel tempo avrebbe subito un lungo declino, fino alla malinconica chiusura. Il suo ricordo soltanto era resistito sino alla Rivolta Patriottica, dove sarebbe stato distrutto assieme ad ogni altra forma di sentimentalismo legato alla vecchia Europa.
Francesco decise che era il momento di mettersi all’opera e partire. Decise che era il momento di ricercare l’origine di quel mito, e di trovare al contempo la sua origine, sperduta in una terra senza più connotati.
Una terra spogliata e abbandonata, e proprio per questo pronta a rinascere più rigogliosa che mai.
Si recò all’ambasciata per il rilascio dei permessi. “Firmi qui!” gli ordinò una voce perentoria. Francesco prese una penna a cui era particolarmente affezionato, dallo strano inchiostro viola, e scrisse a chiare lettere nome e cognome. Un nome americanizzato, un cognome che, ironia del destino, sarebbe passato alla storia. La voce tuonò nuovamente. “Bene, è tutto a posto, ha il permesso. Le auguro un buon viaggio, signor Frank Ferrari.”